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11 Settembre 2025 | 11.20

Moralmente sì, chi guarda le partite su streaming illegali è nel torto. La logica del "se non ti piace e/o non vuoi pagare, non guardi la partita" ha senso, tuttavia in un contesto di monopolio lo perde un po'.

Solo una piattaforma ti garantisce ti vedere tutte le partita della tua squadra, l'unico competitor ti permette di vedere solo il 30% delle partite. L'abbonamento alla piattaforma (DAZN) che ti permette di vedere tutte le partite di campionato nella sua forma più conveniente comporta un esborso di 30 euro mensili per 12 mensilità, quindi paghi anche quando non vedi le partite durante la pausa estiva. Se la tua squadra poi disgraziatamente gioca in Champions League devi abbonarti anche al competitor. O paghi per la versione satellitare 24.99 al mese con contratto di 18 mesi, o paghi la versione online 29.99 per una mensilità oppure 19.99 al mese ma con l'obbligo di 12 mesi. Inoltre, per fortuna non nel nostro caso quest'anno, almeno per il girone, alcune partite sono visibili solamente su Amazon Prime.

Ma che servizio ricevo spendendo minimo 539.82 euro annui? (una spesa non indifferente per l'italiano medio). Quasi zero prepartita, pubblicità durante l'azione, commentatori schierati, buffering (pur con una buona linea internet), pochissime analisi tecniche/grafiche, post partita occasionalmente, se voglio guardare una partita in differita perché ero al lavoro apro l'homepage e mi spoilero il risultato della gara. E in più finanzio una Lega Serie A corrotta fino al midollo, totalmente priva di buonsenso e con iniziative del ***** come la Supercoppa in Arabia Saudita.

Come ha detto un utente prima di me, se siamo in un mercato libero europeo perché non posso abbonarmi a un servizio, che ne so, polacco che mi fa vedere le partite a 10 euro al mese?

Faccio un danno all'Atalanta stessa non abbonandomi? Quando posso macino km per andarmi a vedere le partite allo stadio, compro le magliette, gli sponsor sui tabelloni pubblicitari li vedo comunque. Ma personalmente se dovessimo tornare ad avere in rosa giocatori come Plasmati e Parravicini non mi dispiacerebbe, invece di avere a che fare ogni anno con i vari Lookman e Koopmeiners.

beernez3
10 Settembre 2025 | 17.39

Ragazzi, volevo un attimo tornare sugli scontri di settimana scorsa tra i nostri ultrà e quelli del Como, e dire la mia opinione.


A me la cosa che fa più rabbia non è tanto lo scontro in sé – che, sia chiaro, personalmente non condivido – quanto l’atteggiamento delle istituzioni. Ogni volta che succede qualcosa, la risposta è sempre la stessa: vietare le trasferte. Una scorciatoia che colpisce tutti indistintamente e serve solo a coprire l’incapacità di chi dovrebbe gestire l’ordine pubblico.


Prefetti, questori, dirigenti di pubblica sicurezza: gente che percepisce stipendi da capogiro, pagata per prevenire e organizzare, e che invece si limita al divieto generalizzato. Possibile che nessuno di loro abbia pensato che far viaggiare atalantini e comaschi negli stessi orari e lungo le stesse tratte fosse una scelta suicida? Non dimentichiamo il contesto: l’anno scorso i comaschi avevano provocato a Bergamo con striscioni persino sui cavalcavia cittadini, non serve essere un esperto per capirlo, basta un minimo di buon senso. Ma siccome manca la professionalità, si ricorre alla repressione indiscriminata, come se il problema fossero i tifosi e non l’inefficienza di chi occupa certe poltrone.


E questa è la vera ingiustizia: chi sbaglia nel suo lavoro viene protetto e ben retribuito, mentre un intero popolo di tifosi viene punito senza distinzione. All’estero, in Germania, Danimarca, Polonia, Austria o in Svizzera, le istituzioni si assumono la responsabilità e gestiscono situazioni anche più difficili, nei paesi da me citati il concetto stesso di “bando delle trasferte” è inesistente: non si colpisce l’intera comunità di tifosi, ma si lavora per gestire i rischi con organizzazione e responsabilità, come dovrebbe fare chi governa l’ordine pubblico. Da noi, invece, si nascondono dietro divieti che non risolvono nulla.


Il nodo è tutto qui: non nella passione degli ultras, che con tutte le sue contraddizioni rimane il cuore pulsante del calcio italiano, ma nell’incapacità di uno Stato che, invece di fare il proprio dovere, preferisce scaricare la colpa sugli altri.

magallanes1
11 Settembre 2025 | 11.11
diegobg
11 Settembre 2025 | 09.16
castebg
11 Settembre 2025 | 11.07

Concordo sul senso: chi usufruisce di servizi di Streaming illegale commette illecito ed è giusto che se viene beccato paghi (stesso concetto delle multe alle auto: se la piazzi in divieto "accetti il rischio" di venire beccato e prendere la multa; se la becchi non è colpa del vigile ma tua).

Fatta questa doverosa premessa ci sono da fare diverse considerazioni:

- In Italia per guardare l'Atalanta (mi limito alla nostra squadra per il ragionamento) in toto occorre fare 3 abbonamenti, ossia DAZN, PRIME e SKY, ognuno con suoi costi e condizioni... un assurdo ginepraio reso ancora più assurdo dal fatto che a volte per vedere una stessa competizione occorrono due abbonamenti (SKY e PRIME si dividono la Champions).

- esisterebbe un principio, nel fantastico mondo economico occidentale del "libero mercato", chiamato "concorrenza"; ora, dov'è la concorrenza nel mondo delle Pay tv sportive in Italia? Per la Serie A o pago DAZN o...? Chi stimola DAZN a offrire un miglior servizio (che l'attuale faccia schifo è palese) a dei prezzi competitivi (il pacchetto per la singola squadra è un insulto alla decenza e all'umana intelligenza)? In un mondo in cui la scelta è tra illegale e legale (giustamente) offrire nell'ambito del legale più scelte VERE in modo tale che ognuno opti per la più attrattiva e che le piattaforme siano stimolate è soluzione non solo di buon senso, ma anche logica. Invece la via presa è quella del maggior profitto possibile a discapito dell'utente perchè dove qualità e prezzo sono imposte è ovvio siano la prima al minimo possibile e il secondo al massimo possibile.

- In Italia guardare il Calcio (lo dice Calcio e Finanza) al minimo costa 584,80 euro (con vincoli di 12 mesi); non è poco, specie per chi mette anche qualche soldino nel vedere la Dea allo stadio (io faccio Abbonamento Serie A + CL + varie partite) e magari anche in un paio di trasferte. In Italia la situazione stipendi non serva dica quale sia.

Forse un modello alla "offerte telefoniche" (da quando si è aperto il mercato ci sono compagnie di ogni tipo e ognuno valuta pro e contro, costi e benefici) farebbe bene al mercato in toto: largo a nuovi broadcaster, largo alla concorrenza e largo a una maggior flessibilità nelle offerte per uno sport che dovrebbe essere popolare.

My two cents a livello di idea (che recupero da quello che faceva Premium anni fa) che si basa sulla mia personalissima esperienza di calcio: mi offrissero la possibilità di comprare la singola gara, anche a 3/4 €, ci starei. In casa la Dea la vedo allo stadio, quindi mi restano una media di 4 gare extra: 12/16 € al mese per me è onesto. Ma 48.73 € (584,80: 12 pagati, tra l'altro, anche quando il calcio è fermo) è assurdo per vedere 4 gare... oltre 12 € a gara?!? Certo che cerco alternative!

CRI BG
11 Settembre 2025 | 10.46
diegobg
11 Settembre 2025 | 09.16
leo78
10 Settembre 2025 | 19.14
Titti70pl
10 Settembre 2025 | 23.24
beernez3
10 Settembre 2025 | 19.30

Leo 78, Mi dispiace, ma il tuo discorso è pieno di contraddizioni e semplificazioni pericolose.


Prima di tutto, dire “me ne sbatto e vieto tutto” come se fosse normale, perché prevenire richiede organizzazione e risorse, non è una scelta neutra: è la prova lampante di incapacità da parte di chi guadagna stipendi da capogiro per fare proprio quel lavoro. Non è un’opzione discutibile, è il loro compito: pianificare, gestire, prevenire incidenti senza colpire migliaia di persone innocenti. Se vietare fosse davvero l’unica soluzione, allora qualsiasi evento pubblico diventerebbe impossibile. Ma fuori dall’Italia funziona diversamente: in Germania, Svizzera o Danimarca, le trasferte non vengono mai “bannate”, nemmeno con tifoserie storicamente rivali, perché le autorità sanno gestire, organizzare e prevenire.


Secondo punto: generalizzare gli ultras come se fossero tutti “ragazzotti da menarsi” è ingiusto e fuorviante. La maggior parte dei tifosi non ha mai alzato un dito e subisce i divieti solo perché le istituzioni non vogliono fare il loro lavoro. Punire chi non c’entra nulla non è giustizia, è repressione. Il problema, come ho detto più volte, sta nelle inefficienze istituzionali, non negli ultras in quanto tali.


Infine, citare la morte di un ragazzo per strumentalizzare la discussione è inaccettabile, soprattutto se non c’entra nulla con gli episodi di cui parliamo. Mescolare tragedie reali e fatti sportivi per legittimare la repressione totale non è argomentare: è manipolare emotivamente chi legge.


Quindi la verità è questa: vietare le trasferte è la soluzione più comoda per chi guadagna tanto e fa poco. Gli ultras non vanno giustificati, ma vanno compresi e gestiti, non puniti a casaccio. Chi non riesce a farlo, semplicemente, non è all’altezza del ruolo che ricopre.

E-E-Evair
11 Settembre 2025 | 06.54
giuliano70
10 Settembre 2025 | 22.15
beernez3
10 Settembre 2025 | 17.39

Ragazzi, volevo un attimo tornare sugli scontri di settimana scorsa tra i nostri ultrà e quelli del Como, e dire la mia opinione.


A me la cosa che fa più rabbia non è tanto lo scontro in sé – che, sia chiaro, personalmente non condivido – quanto l’atteggiamento delle istituzioni. Ogni volta che succede qualcosa, la risposta è sempre la stessa: vietare le trasferte. Una scorciatoia che colpisce tutti indistintamente e serve solo a coprire l’incapacità di chi dovrebbe gestire l’ordine pubblico.


Prefetti, questori, dirigenti di pubblica sicurezza: gente che percepisce stipendi da capogiro, pagata per prevenire e organizzare, e che invece si limita al divieto generalizzato. Possibile che nessuno di loro abbia pensato che far viaggiare atalantini e comaschi negli stessi orari e lungo le stesse tratte fosse una scelta suicida? Non dimentichiamo il contesto: l’anno scorso i comaschi avevano provocato a Bergamo con striscioni persino sui cavalcavia cittadini, non serve essere un esperto per capirlo, basta un minimo di buon senso. Ma siccome manca la professionalità, si ricorre alla repressione indiscriminata, come se il problema fossero i tifosi e non l’inefficienza di chi occupa certe poltrone.


E questa è la vera ingiustizia: chi sbaglia nel suo lavoro viene protetto e ben retribuito, mentre un intero popolo di tifosi viene punito senza distinzione. All’estero, in Germania, Danimarca, Polonia, Austria o in Svizzera, le istituzioni si assumono la responsabilità e gestiscono situazioni anche più difficili, nei paesi da me citati il concetto stesso di “bando delle trasferte” è inesistente: non si colpisce l’intera comunità di tifosi, ma si lavora per gestire i rischi con organizzazione e responsabilità, come dovrebbe fare chi governa l’ordine pubblico. Da noi, invece, si nascondono dietro divieti che non risolvono nulla.


Il nodo è tutto qui: non nella passione degli ultras, che con tutte le sue contraddizioni rimane il cuore pulsante del calcio italiano, ma nell’incapacità di uno Stato che, invece di fare il proprio dovere, preferisce scaricare la colpa sugli altri.

leo78
10 Settembre 2025 | 19.14
mr magoo
10 Settembre 2025 | 21.24
beernez3
10 Settembre 2025 | 17.39

Ragazzi, volevo un attimo tornare sugli scontri di settimana scorsa tra i nostri ultrà e quelli del Como, e dire la mia opinione.


A me la cosa che fa più rabbia non è tanto lo scontro in sé – che, sia chiaro, personalmente non condivido – quanto l’atteggiamento delle istituzioni. Ogni volta che succede qualcosa, la risposta è sempre la stessa: vietare le trasferte. Una scorciatoia che colpisce tutti indistintamente e serve solo a coprire l’incapacità di chi dovrebbe gestire l’ordine pubblico.


Prefetti, questori, dirigenti di pubblica sicurezza: gente che percepisce stipendi da capogiro, pagata per prevenire e organizzare, e che invece si limita al divieto generalizzato. Possibile che nessuno di loro abbia pensato che far viaggiare atalantini e comaschi negli stessi orari e lungo le stesse tratte fosse una scelta suicida? Non dimentichiamo il contesto: l’anno scorso i comaschi avevano provocato a Bergamo con striscioni persino sui cavalcavia cittadini, non serve essere un esperto per capirlo, basta un minimo di buon senso. Ma siccome manca la professionalità, si ricorre alla repressione indiscriminata, come se il problema fossero i tifosi e non l’inefficienza di chi occupa certe poltrone.


E questa è la vera ingiustizia: chi sbaglia nel suo lavoro viene protetto e ben retribuito, mentre un intero popolo di tifosi viene punito senza distinzione. All’estero, in Germania, Danimarca, Polonia, Austria o in Svizzera, le istituzioni si assumono la responsabilità e gestiscono situazioni anche più difficili, nei paesi da me citati il concetto stesso di “bando delle trasferte” è inesistente: non si colpisce l’intera comunità di tifosi, ma si lavora per gestire i rischi con organizzazione e responsabilità, come dovrebbe fare chi governa l’ordine pubblico. Da noi, invece, si nascondono dietro divieti che non risolvono nulla.


Il nodo è tutto qui: non nella passione degli ultras, che con tutte le sue contraddizioni rimane il cuore pulsante del calcio italiano, ma nell’incapacità di uno Stato che, invece di fare il proprio dovere, preferisce scaricare la colpa sugli altri.

beernez3
10 Settembre 2025 | 17.39

Ragazzi, volevo un attimo tornare sugli scontri di settimana scorsa tra i nostri ultrà e quelli del Como, e dire la mia opinione.


A me la cosa che fa più rabbia non è tanto lo scontro in sé – che, sia chiaro, personalmente non condivido – quanto l’atteggiamento delle istituzioni. Ogni volta che succede qualcosa, la risposta è sempre la stessa: vietare le trasferte. Una scorciatoia che colpisce tutti indistintamente e serve solo a coprire l’incapacità di chi dovrebbe gestire l’ordine pubblico.


Prefetti, questori, dirigenti di pubblica sicurezza: gente che percepisce stipendi da capogiro, pagata per prevenire e organizzare, e che invece si limita al divieto generalizzato. Possibile che nessuno di loro abbia pensato che far viaggiare atalantini e comaschi negli stessi orari e lungo le stesse tratte fosse una scelta suicida? Non dimentichiamo il contesto: l’anno scorso i comaschi avevano provocato a Bergamo con striscioni persino sui cavalcavia cittadini, non serve essere un esperto per capirlo, basta un minimo di buon senso. Ma siccome manca la professionalità, si ricorre alla repressione indiscriminata, come se il problema fossero i tifosi e non l’inefficienza di chi occupa certe poltrone.


E questa è la vera ingiustizia: chi sbaglia nel suo lavoro viene protetto e ben retribuito, mentre un intero popolo di tifosi viene punito senza distinzione. All’estero, in Germania, Danimarca, Polonia, Austria o in Svizzera, le istituzioni si assumono la responsabilità e gestiscono situazioni anche più difficili, nei paesi da me citati il concetto stesso di “bando delle trasferte” è inesistente: non si colpisce l’intera comunità di tifosi, ma si lavora per gestire i rischi con organizzazione e responsabilità, come dovrebbe fare chi governa l’ordine pubblico. Da noi, invece, si nascondono dietro divieti che non risolvono nulla.


Il nodo è tutto qui: non nella passione degli ultras, che con tutte le sue contraddizioni rimane il cuore pulsante del calcio italiano, ma nell’incapacità di uno Stato che, invece di fare il proprio dovere, preferisce scaricare la colpa sugli altri.

beernez3
10 Settembre 2025 | 19.30

Leo 78, Mi dispiace, ma il tuo discorso è pieno di contraddizioni e semplificazioni pericolose.


Prima di tutto, dire “me ne sbatto e vieto tutto” come se fosse normale, perché prevenire richiede organizzazione e risorse, non è una scelta neutra: è la prova lampante di incapacità da parte di chi guadagna stipendi da capogiro per fare proprio quel lavoro. Non è un’opzione discutibile, è il loro compito: pianificare, gestire, prevenire incidenti senza colpire migliaia di persone innocenti. Se vietare fosse davvero l’unica soluzione, allora qualsiasi evento pubblico diventerebbe impossibile. Ma fuori dall’Italia funziona diversamente: in Germania, Svizzera o Danimarca, le trasferte non vengono mai “bannate”, nemmeno con tifoserie storicamente rivali, perché le autorità sanno gestire, organizzare e prevenire.


Secondo punto: generalizzare gli ultras come se fossero tutti “ragazzotti da menarsi” è ingiusto e fuorviante. La maggior parte dei tifosi non ha mai alzato un dito e subisce i divieti solo perché le istituzioni non vogliono fare il loro lavoro. Punire chi non c’entra nulla non è giustizia, è repressione. Il problema, come ho detto più volte, sta nelle inefficienze istituzionali, non negli ultras in quanto tali.


Infine, citare la morte di un ragazzo per strumentalizzare la discussione è inaccettabile, soprattutto se non c’entra nulla con gli episodi di cui parliamo. Mescolare tragedie reali e fatti sportivi per legittimare la repressione totale non è argomentare: è manipolare emotivamente chi legge.


Quindi la verità è questa: vietare le trasferte è la soluzione più comoda per chi guadagna tanto e fa poco. Gli ultras non vanno giustificati, ma vanno compresi e gestiti, non puniti a casaccio. Chi non riesce a farlo, semplicemente, non è all’altezza del ruolo che ricopre.

beernez3
10 Settembre 2025 | 17.39

Ragazzi, volevo un attimo tornare sugli scontri di settimana scorsa tra i nostri ultrà e quelli del Como, e dire la mia opinione.


A me la cosa che fa più rabbia non è tanto lo scontro in sé – che, sia chiaro, personalmente non condivido – quanto l’atteggiamento delle istituzioni. Ogni volta che succede qualcosa, la risposta è sempre la stessa: vietare le trasferte. Una scorciatoia che colpisce tutti indistintamente e serve solo a coprire l’incapacità di chi dovrebbe gestire l’ordine pubblico.


Prefetti, questori, dirigenti di pubblica sicurezza: gente che percepisce stipendi da capogiro, pagata per prevenire e organizzare, e che invece si limita al divieto generalizzato. Possibile che nessuno di loro abbia pensato che far viaggiare atalantini e comaschi negli stessi orari e lungo le stesse tratte fosse una scelta suicida? Non dimentichiamo il contesto: l’anno scorso i comaschi avevano provocato a Bergamo con striscioni persino sui cavalcavia cittadini, non serve essere un esperto per capirlo, basta un minimo di buon senso. Ma siccome manca la professionalità, si ricorre alla repressione indiscriminata, come se il problema fossero i tifosi e non l’inefficienza di chi occupa certe poltrone.


E questa è la vera ingiustizia: chi sbaglia nel suo lavoro viene protetto e ben retribuito, mentre un intero popolo di tifosi viene punito senza distinzione. All’estero, in Germania, Danimarca, Polonia, Austria o in Svizzera, le istituzioni si assumono la responsabilità e gestiscono situazioni anche più difficili, nei paesi da me citati il concetto stesso di “bando delle trasferte” è inesistente: non si colpisce l’intera comunità di tifosi, ma si lavora per gestire i rischi con organizzazione e responsabilità, come dovrebbe fare chi governa l’ordine pubblico. Da noi, invece, si nascondono dietro divieti che non risolvono nulla.


Il nodo è tutto qui: non nella passione degli ultras, che con tutte le sue contraddizioni rimane il cuore pulsante del calcio italiano, ma nell’incapacità di uno Stato che, invece di fare il proprio dovere, preferisce scaricare la colpa sugli altri.

detector
10 Settembre 2025 | 20.02
beernez3
10 Settembre 2025 | 17.39

Ragazzi, volevo un attimo tornare sugli scontri di settimana scorsa tra i nostri ultrà e quelli del Como, e dire la mia opinione.


A me la cosa che fa più rabbia non è tanto lo scontro in sé – che, sia chiaro, personalmente non condivido – quanto l’atteggiamento delle istituzioni. Ogni volta che succede qualcosa, la risposta è sempre la stessa: vietare le trasferte. Una scorciatoia che colpisce tutti indistintamente e serve solo a coprire l’incapacità di chi dovrebbe gestire l’ordine pubblico.


Prefetti, questori, dirigenti di pubblica sicurezza: gente che percepisce stipendi da capogiro, pagata per prevenire e organizzare, e che invece si limita al divieto generalizzato. Possibile che nessuno di loro abbia pensato che far viaggiare atalantini e comaschi negli stessi orari e lungo le stesse tratte fosse una scelta suicida? Non dimentichiamo il contesto: l’anno scorso i comaschi avevano provocato a Bergamo con striscioni persino sui cavalcavia cittadini, non serve essere un esperto per capirlo, basta un minimo di buon senso. Ma siccome manca la professionalità, si ricorre alla repressione indiscriminata, come se il problema fossero i tifosi e non l’inefficienza di chi occupa certe poltrone.


E questa è la vera ingiustizia: chi sbaglia nel suo lavoro viene protetto e ben retribuito, mentre un intero popolo di tifosi viene punito senza distinzione. All’estero, in Germania, Danimarca, Polonia, Austria o in Svizzera, le istituzioni si assumono la responsabilità e gestiscono situazioni anche più difficili, nei paesi da me citati il concetto stesso di “bando delle trasferte” è inesistente: non si colpisce l’intera comunità di tifosi, ma si lavora per gestire i rischi con organizzazione e responsabilità, come dovrebbe fare chi governa l’ordine pubblico. Da noi, invece, si nascondono dietro divieti che non risolvono nulla.


Il nodo è tutto qui: non nella passione degli ultras, che con tutte le sue contraddizioni rimane il cuore pulsante del calcio italiano, ma nell’incapacità di uno Stato che, invece di fare il proprio dovere, preferisce scaricare la colpa sugli altri.

beernez3
10 Settembre 2025 | 17.39

Ragazzi, volevo un attimo tornare sugli scontri di settimana scorsa tra i nostri ultrà e quelli del Como, e dire la mia opinione.


A me la cosa che fa più rabbia non è tanto lo scontro in sé – che, sia chiaro, personalmente non condivido – quanto l’atteggiamento delle istituzioni. Ogni volta che succede qualcosa, la risposta è sempre la stessa: vietare le trasferte. Una scorciatoia che colpisce tutti indistintamente e serve solo a coprire l’incapacità di chi dovrebbe gestire l’ordine pubblico.


Prefetti, questori, dirigenti di pubblica sicurezza: gente che percepisce stipendi da capogiro, pagata per prevenire e organizzare, e che invece si limita al divieto generalizzato. Possibile che nessuno di loro abbia pensato che far viaggiare atalantini e comaschi negli stessi orari e lungo le stesse tratte fosse una scelta suicida? Non dimentichiamo il contesto: l’anno scorso i comaschi avevano provocato a Bergamo con striscioni persino sui cavalcavia cittadini, non serve essere un esperto per capirlo, basta un minimo di buon senso. Ma siccome manca la professionalità, si ricorre alla repressione indiscriminata, come se il problema fossero i tifosi e non l’inefficienza di chi occupa certe poltrone.


E questa è la vera ingiustizia: chi sbaglia nel suo lavoro viene protetto e ben retribuito, mentre un intero popolo di tifosi viene punito senza distinzione. All’estero, in Germania, Danimarca, Polonia, Austria o in Svizzera, le istituzioni si assumono la responsabilità e gestiscono situazioni anche più difficili, nei paesi da me citati il concetto stesso di “bando delle trasferte” è inesistente: non si colpisce l’intera comunità di tifosi, ma si lavora per gestire i rischi con organizzazione e responsabilità, come dovrebbe fare chi governa l’ordine pubblico. Da noi, invece, si nascondono dietro divieti che non risolvono nulla.


Il nodo è tutto qui: non nella passione degli ultras, che con tutte le sue contraddizioni rimane il cuore pulsante del calcio italiano, ma nell’incapacità di uno Stato che, invece di fare il proprio dovere, preferisce scaricare la colpa sugli altri.

beernez3
10 Settembre 2025 | 19.30

Leo 78, Mi dispiace, ma il tuo discorso è pieno di contraddizioni e semplificazioni pericolose.


Prima di tutto, dire “me ne sbatto e vieto tutto” come se fosse normale, perché prevenire richiede organizzazione e risorse, non è una scelta neutra: è la prova lampante di incapacità da parte di chi guadagna stipendi da capogiro per fare proprio quel lavoro. Non è un’opzione discutibile, è il loro compito: pianificare, gestire, prevenire incidenti senza colpire migliaia di persone innocenti. Se vietare fosse davvero l’unica soluzione, allora qualsiasi evento pubblico diventerebbe impossibile. Ma fuori dall’Italia funziona diversamente: in Germania, Svizzera o Danimarca, le trasferte non vengono mai “bannate”, nemmeno con tifoserie storicamente rivali, perché le autorità sanno gestire, organizzare e prevenire.


Secondo punto: generalizzare gli ultras come se fossero tutti “ragazzotti da menarsi” è ingiusto e fuorviante. La maggior parte dei tifosi non ha mai alzato un dito e subisce i divieti solo perché le istituzioni non vogliono fare il loro lavoro. Punire chi non c’entra nulla non è giustizia, è repressione. Il problema, come ho detto più volte, sta nelle inefficienze istituzionali, non negli ultras in quanto tali.


Infine, citare la morte di un ragazzo per strumentalizzare la discussione è inaccettabile, soprattutto se non c’entra nulla con gli episodi di cui parliamo. Mescolare tragedie reali e fatti sportivi per legittimare la repressione totale non è argomentare: è manipolare emotivamente chi legge.


Quindi la verità è questa: vietare le trasferte è la soluzione più comoda per chi guadagna tanto e fa poco. Gli ultras non vanno giustificati, ma vanno compresi e gestiti, non puniti a casaccio. Chi non riesce a farlo, semplicemente, non è all’altezza del ruolo che ricopre.

leo78
10 Settembre 2025 | 19.46
leo78
10 Settembre 2025 | 19.14
beernez3
10 Settembre 2025 | 19.30

Leo 78, Mi dispiace, ma il tuo discorso è pieno di contraddizioni e semplificazioni pericolose.


Prima di tutto, dire “me ne sbatto e vieto tutto” come se fosse normale, perché prevenire richiede organizzazione e risorse, non è una scelta neutra: è la prova lampante di incapacità da parte di chi guadagna stipendi da capogiro per fare proprio quel lavoro. Non è un’opzione discutibile, è il loro compito: pianificare, gestire, prevenire incidenti senza colpire migliaia di persone innocenti. Se vietare fosse davvero l’unica soluzione, allora qualsiasi evento pubblico diventerebbe impossibile. Ma fuori dall’Italia funziona diversamente: in Germania, Svizzera o Danimarca, le trasferte non vengono mai “bannate”, nemmeno con tifoserie storicamente rivali, perché le autorità sanno gestire, organizzare e prevenire.


Secondo punto: generalizzare gli ultras come se fossero tutti “ragazzotti da menarsi” è ingiusto e fuorviante. La maggior parte dei tifosi non ha mai alzato un dito e subisce i divieti solo perché le istituzioni non vogliono fare il loro lavoro. Punire chi non c’entra nulla non è giustizia, è repressione. Il problema, come ho detto più volte, sta nelle inefficienze istituzionali, non negli ultras in quanto tali.


Infine, citare la morte di un ragazzo per strumentalizzare la discussione è inaccettabile, soprattutto se non c’entra nulla con gli episodi di cui parliamo. Mescolare tragedie reali e fatti sportivi per legittimare la repressione totale non è argomentare: è manipolare emotivamente chi legge.


Quindi la verità è questa: vietare le trasferte è la soluzione più comoda per chi guadagna tanto e fa poco. Gli ultras non vanno giustificati, ma vanno compresi e gestiti, non puniti a casaccio. Chi non riesce a farlo, semplicemente, non è all’altezza del ruolo che ricopre.

beernez3
10 Settembre 2025 | 18.03
leo78
10 Settembre 2025 | 19.14
Paramo
10 Settembre 2025 | 18.52
fubal64
10 Settembre 2025 | 18.18
fubal64
10 Settembre 2025 | 18.18
beernez3
10 Settembre 2025 | 17.39

Ragazzi, volevo un attimo tornare sugli scontri di settimana scorsa tra i nostri ultrà e quelli del Como, e dire la mia opinione.


A me la cosa che fa più rabbia non è tanto lo scontro in sé – che, sia chiaro, personalmente non condivido – quanto l’atteggiamento delle istituzioni. Ogni volta che succede qualcosa, la risposta è sempre la stessa: vietare le trasferte. Una scorciatoia che colpisce tutti indistintamente e serve solo a coprire l’incapacità di chi dovrebbe gestire l’ordine pubblico.


Prefetti, questori, dirigenti di pubblica sicurezza: gente che percepisce stipendi da capogiro, pagata per prevenire e organizzare, e che invece si limita al divieto generalizzato. Possibile che nessuno di loro abbia pensato che far viaggiare atalantini e comaschi negli stessi orari e lungo le stesse tratte fosse una scelta suicida? Non dimentichiamo il contesto: l’anno scorso i comaschi avevano provocato a Bergamo con striscioni persino sui cavalcavia cittadini, non serve essere un esperto per capirlo, basta un minimo di buon senso. Ma siccome manca la professionalità, si ricorre alla repressione indiscriminata, come se il problema fossero i tifosi e non l’inefficienza di chi occupa certe poltrone.


E questa è la vera ingiustizia: chi sbaglia nel suo lavoro viene protetto e ben retribuito, mentre un intero popolo di tifosi viene punito senza distinzione. All’estero, in Germania, Danimarca, Polonia, Austria o in Svizzera, le istituzioni si assumono la responsabilità e gestiscono situazioni anche più difficili, nei paesi da me citati il concetto stesso di “bando delle trasferte” è inesistente: non si colpisce l’intera comunità di tifosi, ma si lavora per gestire i rischi con organizzazione e responsabilità, come dovrebbe fare chi governa l’ordine pubblico. Da noi, invece, si nascondono dietro divieti che non risolvono nulla.


Il nodo è tutto qui: non nella passione degli ultras, che con tutte le sue contraddizioni rimane il cuore pulsante del calcio italiano, ma nell’incapacità di uno Stato che, invece di fare il proprio dovere, preferisce scaricare la colpa sugli altri.

fubal64
10 Settembre 2025 | 17.45
beernez3
10 Settembre 2025 | 17.39

Ragazzi, volevo un attimo tornare sugli scontri di settimana scorsa tra i nostri ultrà e quelli del Como, e dire la mia opinione.


A me la cosa che fa più rabbia non è tanto lo scontro in sé – che, sia chiaro, personalmente non condivido – quanto l’atteggiamento delle istituzioni. Ogni volta che succede qualcosa, la risposta è sempre la stessa: vietare le trasferte. Una scorciatoia che colpisce tutti indistintamente e serve solo a coprire l’incapacità di chi dovrebbe gestire l’ordine pubblico.


Prefetti, questori, dirigenti di pubblica sicurezza: gente che percepisce stipendi da capogiro, pagata per prevenire e organizzare, e che invece si limita al divieto generalizzato. Possibile che nessuno di loro abbia pensato che far viaggiare atalantini e comaschi negli stessi orari e lungo le stesse tratte fosse una scelta suicida? Non dimentichiamo il contesto: l’anno scorso i comaschi avevano provocato a Bergamo con striscioni persino sui cavalcavia cittadini, non serve essere un esperto per capirlo, basta un minimo di buon senso. Ma siccome manca la professionalità, si ricorre alla repressione indiscriminata, come se il problema fossero i tifosi e non l’inefficienza di chi occupa certe poltrone.


E questa è la vera ingiustizia: chi sbaglia nel suo lavoro viene protetto e ben retribuito, mentre un intero popolo di tifosi viene punito senza distinzione. All’estero, in Germania, Danimarca, Polonia, Austria o in Svizzera, le istituzioni si assumono la responsabilità e gestiscono situazioni anche più difficili, nei paesi da me citati il concetto stesso di “bando delle trasferte” è inesistente: non si colpisce l’intera comunità di tifosi, ma si lavora per gestire i rischi con organizzazione e responsabilità, come dovrebbe fare chi governa l’ordine pubblico. Da noi, invece, si nascondono dietro divieti che non risolvono nulla.


Il nodo è tutto qui: non nella passione degli ultras, che con tutte le sue contraddizioni rimane il cuore pulsante del calcio italiano, ma nell’incapacità di uno Stato che, invece di fare il proprio dovere, preferisce scaricare la colpa sugli altri.

Barbie
10 Settembre 2025 | 16.47