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Pampa
24 Agosto 2024 | 10.33

È da qualche giorno che mi ronza in testa questa riflessione, questo articolo mi dà la spinta giusta per cercare di tradurla in parole. Ma cosa siamo diventati? La vecchia cara Atalanta nostra non esiste più da un certo punto di vista. Sono tifoso di vecchia data ma nato nel 1977, non abbastanza vecchio anagraficamente per avere visto la serie C, la vittoria in Coppa Italia o i mitici spareggi con relativo esodo. Però diverse retrocessioni amare e conseguenti annate in B le ho vissute. Questa situazione nuova, di una società forte e facoltosa, di un monte stipendi in continua crescita, di uno status internazionale e nazionale (inferiore, ma si sa che in itaglia la meritocrazia conta poco) riconosciuto mi esalta ma da un lato mi spaventa. Gli over 25/30 sanno cosa vuol dire amare l'Atalanta, oltre il risultato. Sanno che non va lasciata mai sola. Sanno che bisogna esserci prima, durante e dopo. Ma i neoatalantini, quelli della seconda era Percassi, quelli che hanno iniziato a seguirla dall'avvento del genio Gasp come reagiranno alle prime avversità (posto che arrivino)? Già tra gli atalantini di vecchia data qualcuno si è fatto la bocca buona ed ha iniziato a criticare, a mio avviso esagerando, alcune scelte della società e alcune prestazioni/risultati della squadra. Come tanti non vorrei mai svegliarmi da questo lunghissimo sogno ma sono consapevole che, qualora dovessimo tornare nella parte destra, o rimanere fuori dalle coppe per una stagione, o lottare per la permanenza (tutte cose che col vate in panca non accadranno) io ci sarò. Non è questione di salire o scendere dal carro. Secondo me è questione di DNA atalantino, dovremmo educare i nostri figli e nipoti con lezioni di storia e di tifo, per evitare di diventare come i tifosi delle "nobili storiche" che tanto odiamo, sportivamente parlando.