Ultimi commenti

Scozia
19 Marzo 2025 | 14.00
unodibergamo
19 Marzo 2025 | 13.24

Non tifo Gasperini, tifo Atalanta e non credo ci sia dubbio alcuno sul fatto che Gasperini sia il miglior allenatore che l'Atalanta abbia avuto in tutta la sua storia.


Per i numeri incontrovertibili, per il cambio di mentalità che ha fatto compiere a tutti noi, compresi noi tifosi. Per la qualità del calcio proposto. Per i risultati economici che ha portato alla società. Per quel rapporto umano che, seppur nelle sue spigolosità caratteriali (chi di noi non ne ha?), che è riuscito ad instaurare con una tifoseria ed una città, come nessun altro mai è stato capace di instaurare a tal punto.


Forse solo il Mondo sull'aspetto del rapporto umano gli si avvicina. Ma quello era un calcio dove i rapporti umani contavano molto di più ed era paradossalmente più "facile" instaurarli.


Gasperini si è fatto amare dalla tifoseria in un momento storico nel quale il calcio è lontano anni luce dagli aspetti romantici ed umani. Troppo spesso ci si dimentica di alcune cose che invece segnano in modo indelebile la figura di una persona, sconosciuta prima e poi cara a tutti noi.


Io non dimentico le sue lacrime e la sua commozione in occasione della presenza sua, della società e della squadra nel consiglio comunale di Bergamo, quando parlò con il cuore in mano dicendo , se non ricordo male queste parole:

"Oggi...abbiamo capito cosa c'è dietro questa squadra, la storia della città. E' straordinario constatare l'attaccamento, la fede, ciò che rappresenta l'Atalanta per il suo territorio. Dietro di noi c'è una grande forza, un legame e un senso di appartenenza che mi faccio carico di trasmettere a giocatori che vengono da altri Paesi e altre culture.....ci siamo resi conto della felicità enorme dietro di noi, la cosa che ci ha dato più piacere è aver regalato una soddisfazione incredibile alla gente...il più grande successo è stato rendere felice la gente, che ti abbraccia dopo aver vissuto settimane intere per l'Atalanta, sacrificando anche il proprio lavoro per seguirci a Roma e a Dublino. Qualcosa di meraviglioso".


Spero con tutto me stesso che Gasperini rimanga ancora per tanti anni sulla nostra panchina.


Mi rammarico per chi non riesca a capire quanto Gasperini sia stato, sia e sarà importante per noi. Persone che forse sono accecato da quel perverso senso che gli esseri umani spesso hanno di non godere di quanto di bello gli accade volendo andare verso la ricerca della felicità che in realtà è proprio li sotto al nostro naso.


Lunga vita al Gasp!

prytz
19 Marzo 2025 | 14.50

Apprezzo molto questo tuo commento, mi piace ed in buona parte mi riconosco

Solo che .. io sono allergico alla agiografia .. e purtroppo questo social pullulano di agiografie sul Gasp ..

Non credo neanche gli si faccia un buon servizio, levando e giudicando lesivo ogni "diritto di critica" sia sul suo lavoro sia suoi vari comportamenti, ma questa è una mia opinione ..

Lo pensavo prima ed in parte lo penso ancora, perchè immaginavo che se le critiche arrivano a destinazione il soggetto possa valutarle, perfino accettarle, perfino migliorare i suoi comportamenti e le sue performances.

Però mi sbagliavo, nel caso in questione non è così. Intanto lui non ama essere criticato, ed in secondo luogo l'ambiente dei tifosi, al 98%, non accetta che gli si possa portare neanche un embrione di critica.

Così uno che tifa Atalanta deve (per esempio, ma chissà quante ne possiamo dire) rassegnarsi a vedere prendere goal su palla inattiva, a perdere sempre contro Spiaze Inzaghi , a pareggiare in casa meritando di vincere, ecc. , e  soprattutto alla VERITA' ASSOLUTA non dimostrata e non dimostrabile , ma appunto tale è perchè VERITA' DI FEDE, cioè che NESSUN ALTRO ALLENATORE al mondo potrà in futuro mai fare meglio di Gasperini qua all'Atalanta . E questo gridato da 20 e passa mila persone non può che convincere la società e chi deve prendere decisioni che non ci può essere un "futuro" per l'Atalanta dopo Gasperini, se non che sia triste ed avvilente.

Io scrivo contestando questa mentalità presente in modo maggioritario nella tifoseria, cioè il toglierci il diritto ad immaginare un futuro diverso e - si sa mai - chi può dirlo - perfino migliore .

Ma se poi Gasperini rimane sono contento, ormai è un usato sicuro 

Tony1907
19 Marzo 2025 | 12.54
EMANUELE-B
19 Marzo 2025 | 14.43
paolo_trei
19 Marzo 2025 | 14.17
Scozia
19 Marzo 2025 | 14.00
moreto
19 Marzo 2025 | 14.23
Scozia
19 Marzo 2025 | 14.00
Scozia
19 Marzo 2025 | 14.00
crazyhorse200
19 Marzo 2025 | 14.02
amigosincero
19 Marzo 2025 | 14.00
unodibergamo
19 Marzo 2025 | 13.24

Non tifo Gasperini, tifo Atalanta e non credo ci sia dubbio alcuno sul fatto che Gasperini sia il miglior allenatore che l'Atalanta abbia avuto in tutta la sua storia.


Per i numeri incontrovertibili, per il cambio di mentalità che ha fatto compiere a tutti noi, compresi noi tifosi. Per la qualità del calcio proposto. Per i risultati economici che ha portato alla società. Per quel rapporto umano che, seppur nelle sue spigolosità caratteriali (chi di noi non ne ha?), che è riuscito ad instaurare con una tifoseria ed una città, come nessun altro mai è stato capace di instaurare a tal punto.


Forse solo il Mondo sull'aspetto del rapporto umano gli si avvicina. Ma quello era un calcio dove i rapporti umani contavano molto di più ed era paradossalmente più "facile" instaurarli.


Gasperini si è fatto amare dalla tifoseria in un momento storico nel quale il calcio è lontano anni luce dagli aspetti romantici ed umani. Troppo spesso ci si dimentica di alcune cose che invece segnano in modo indelebile la figura di una persona, sconosciuta prima e poi cara a tutti noi.


Io non dimentico le sue lacrime e la sua commozione in occasione della presenza sua, della società e della squadra nel consiglio comunale di Bergamo, quando parlò con il cuore in mano dicendo , se non ricordo male queste parole:

"Oggi...abbiamo capito cosa c'è dietro questa squadra, la storia della città. E' straordinario constatare l'attaccamento, la fede, ciò che rappresenta l'Atalanta per il suo territorio. Dietro di noi c'è una grande forza, un legame e un senso di appartenenza che mi faccio carico di trasmettere a giocatori che vengono da altri Paesi e altre culture.....ci siamo resi conto della felicità enorme dietro di noi, la cosa che ci ha dato più piacere è aver regalato una soddisfazione incredibile alla gente...il più grande successo è stato rendere felice la gente, che ti abbraccia dopo aver vissuto settimane intere per l'Atalanta, sacrificando anche il proprio lavoro per seguirci a Roma e a Dublino. Qualcosa di meraviglioso".


Spero con tutto me stesso che Gasperini rimanga ancora per tanti anni sulla nostra panchina.


Mi rammarico per chi non riesca a capire quanto Gasperini sia stato, sia e sarà importante per noi. Persone che forse sono accecato da quel perverso senso che gli esseri umani spesso hanno di non godere di quanto di bello gli accade volendo andare verso la ricerca della felicità che in realtà è proprio li sotto al nostro naso.


Lunga vita al Gasp!

Pasodoble
19 Marzo 2025 | 11.32
cavron
19 Marzo 2025 | 12.53
Nemesis68
19 Marzo 2025 | 11.07
SudatoDinverno
18 Marzo 2025 | 23.31

“Caro Direttore, questo non è più accanimento, io lo chiamo annientamento. Ho raggiunto i trent'anni di daspo e, pur vivendo lontano dalla mia città da ben sette anni (ormai sono quasi otto), questo non è servito perchè si capisse di lasciarmi vivere la mia vita! Anche se sono lontano, patisco la stessa, troppa repressione e l'umiliazione di non avere l'indipendenza, di essere autonomo nel lavoro sta prendendo il sopravvento. Una patente negata da già ben otto anni per mancanza di requisiti morali. Un'attività lavorativa alla quale prestavo la mia opera e grazie alla quale, in sei anni sono rinato, chiusa per farmi ancora del male. Me la stavo godendo troppo, secondo loro... Nel frattempo, in questi anni un arresto assurdo a Terni e due processi inventati, fortunatamente e giustamente chiusi con l'assoluzione piena a Bergamo. Troppa invidia, troppa vigliaccheria, troppa slealtà. E sì che lo ****** Mazinga, al secolo Elio Carminati, mi regalò il suo libro con tanto di dedica: quanto mancano questi uomini. Non finisce mai questa storia, non ha scadenza. Finirà, ne sono pienamente convinto, quando io sarò sfinito in età anziana. Mia sorella Paola, 64 anni, a mia insaputa è andata in Questura più volte nel corso di questi ultimi anni. Colloqui con il questore in persona al, quale, mia sorella Paola chiedeva uno sguardo lungo, uno spiraglio di luce per suo fratello, perché a tutto c'è un limite, con la paura di perdere forza, scoraggiarsi di fronte a un percorso solo repressivo: "A mio fratello non è mai stata data una possibilità". Non è il questore il problema, è il contorno che non va bene, con un giornale che, come disse Don Sergio Colombo, nei miei confronti è stato poco cristiano, ha sempre buttato fango sulla mia persona, sul mio cognome, screditandomi e annientandomi senza se e senza ma e, di conseguenza, anche su tutta la mia famiglia. "Ago e filo nel cassetto per lo scudetto" Intanto, il film "A guardia di una fede" che racconta la mia storia e la storia della Curva Nord atalantina, ha partecipato al Torino Film Festival e merita di essere visto. Non tanto per me, ma per il regista bergamasco Andrea Zambelli che, con un grande lavoro, ha letteralmente conquistando l'interesse e la curiosità del tifo europeo, registrando pienoni in molte sale cinematografiche. Io amo l'Atalanta, ho vissuto e creduto che con lei crescessi anch'io, crescessero il nostro popolo, il senso di appartenenza, la passione, il cuore. L'Atalanta nel bene e nel male. Mio padre, storico romantico di quell'Atalanta che vinse il titolo di campione d'Italia Primavera nel '48-'49, allo stadio Flaminio, contro la Lazio, allenatore il cavalier Ciatto, con TItta Rota, mio padre e gli altri nove, tutti bergamaschi in campo. Mia madre che, in fin di vita mi disse, con voce bassa e faticosa: "Claudio, ti ho messo ago e filo nel cassetto del comodino perché, se io non ce la faccio, lo scudetto sulla maglia te lo cuce la zia Rosanna". Io penso siano le persone a fare la qualità, la differenza: nel lavoro, nella vita, nella famiglia, in qualsiasi campo, Proverò anch'io a fare la differenza e continuerò a mettermi al servizio della mia Atalanta, della Curva, della nostra storia. So bene che andrò incontro molto probabilmente a un prezzo alto da pagare. So anche bene, però, che questo atto d'amore è l'unica pace interiore capace di darmi una grande forza, per resistere e non affliggermi fino alla depressione e alla morte. Voglio lottare, non morire e, se Dio vorrà, smuovere uomini, coscienze di tante e troppe persone che pensano solo a stare sul carro dei più forti e non capiscono come la libertà rimanga la più grande partita da vincere. L'Atalanta è arrivata dov'è arrivata non per caso, ma grazie all'anima, al cuore e alla sensibilità di un popolo nei suoi confronti. "Mai dimenticare da dove veniamo e che cosa eravamo" Nell'anno dello scudetto - perché io ci credo, eccome - questo è l'anno giusto di un percorso societario straordinario, guidato da un tecnico unico che fa la differenza. Quella differenza che, vent'anni fa, ha reso grandi anche noi della Curva nel credere alla salvezza con Delio Rossi, malgrado la squadra fosse scarsa e alla fine retrocesse in Serie B. Oggi più che bisogna mai stare vicino alla squadra, senza dimenticare da dove veniamo e che cosa eravamo, senza essere distruttivi dopo un risultato negativo. Penso a Ivan, Pelé e Giorgio, i miei più grandi amici di sempre che non sono più fianco a me, a noi. Mi ripeto sempre: che cosa potevo fare di più, che cosa potevamo fare di più per loro. Dovevamo capirli. Oggi capite anche me, basta ipocrisia. 

Claudio Galimberti”

crazyhorse200
19 Marzo 2025 | 12.13
Andrea BG
19 Marzo 2025 | 11.39

Se solo li avessero curati sin dai primi sintomi, anzichè "tachipirina e vigile attesa".

Riporto una testimonianza, del settembre 2020, di un medico di base di Nembro..

"Il medico di base Riccardo Munda, 39 anni da Mazzarino (Caltanissetta), è uno di quelli che la guerra al Covid l’ha fatta in prima linea. Munda assiste circa 1400 pazienti in due ambulatori a Selvino e a Nembro in provincia di Bergamo, dove il numero di morti rispetto al 2019 è aumentato del 1000%. Eppure, tra i suoi pazienti nessuno è morto, né ha avuto bisogno di ricovero. Il segreto non sta in qualche ritrovato miracoloso della scienza. Anzi, Munda non ha nemmeno i titoli per esercitare come medico di base. «Sono solo un sostituto provvisorio», racconta lui stesso. «Se domani venisse un medito titolare io perderei il posto da un giorno all’altro. Non sono specializzato perché dopo la laurea avevo bisogno di lavorare e nessuno mi avrebbe mantenuto per frequentare i corsi di formazione. Ma dalla laurea in poi ho sempre lavorato».

Giornalista: "Lei non ha perso nemmeno un paziente per il Covid"

Medico: "Tra quelli che ho curato, nessuno. Uno dei miei assistiti in realtà è morto, ma non si era rivolto a me. Si sentì male durante un weekend, lo portarono in ospedale ed è morto lì, “parcheggiato” in un reparto Covid per settimane, come la maggior parte dei malati gravi."

Giornalista: "Come si spiega questo risultato?"

Medico: "Sono andato a casa dei pazienti tutti i giorni, mentre praticamente tutte le persone morte sono rimaste per settimane a casa senza assistenza. Riferivano i sintomi al medico di famiglia, alla guardia medica, al 118, ma c’era sempre qualcuno più urgente da seguire. Se i medici di base avessero visitato i pazienti e attivato per tempo l’assistenza domiciliare integrata, con l’ossigenoterapia e un infermiere per la reidratazione, le persone si sarebbero salvate. Così ho fatto io, che non sono certo un luminare. La responsabilità è tutta della medicina territoriale. I miei colleghi ospedalieri non sono arrivati neanche a visitare i pazienti, perché non ci sono abbastanza medici per un numero così grande di malati. Gran parte di queste persone sono morte senza vedere un medico."

Andrea BG
19 Marzo 2025 | 11.39

Se solo li avessero curati sin dai primi sintomi, anzichè "tachipirina e vigile attesa".

Riporto una testimonianza, del settembre 2020, di un medico di base di Nembro..

"Il medico di base Riccardo Munda, 39 anni da Mazzarino (Caltanissetta), è uno di quelli che la guerra al Covid l’ha fatta in prima linea. Munda assiste circa 1400 pazienti in due ambulatori a Selvino e a Nembro in provincia di Bergamo, dove il numero di morti rispetto al 2019 è aumentato del 1000%. Eppure, tra i suoi pazienti nessuno è morto, né ha avuto bisogno di ricovero. Il segreto non sta in qualche ritrovato miracoloso della scienza. Anzi, Munda non ha nemmeno i titoli per esercitare come medico di base. «Sono solo un sostituto provvisorio», racconta lui stesso. «Se domani venisse un medito titolare io perderei il posto da un giorno all’altro. Non sono specializzato perché dopo la laurea avevo bisogno di lavorare e nessuno mi avrebbe mantenuto per frequentare i corsi di formazione. Ma dalla laurea in poi ho sempre lavorato».

Giornalista: "Lei non ha perso nemmeno un paziente per il Covid"

Medico: "Tra quelli che ho curato, nessuno. Uno dei miei assistiti in realtà è morto, ma non si era rivolto a me. Si sentì male durante un weekend, lo portarono in ospedale ed è morto lì, “parcheggiato” in un reparto Covid per settimane, come la maggior parte dei malati gravi."

Giornalista: "Come si spiega questo risultato?"

Medico: "Sono andato a casa dei pazienti tutti i giorni, mentre praticamente tutte le persone morte sono rimaste per settimane a casa senza assistenza. Riferivano i sintomi al medico di famiglia, alla guardia medica, al 118, ma c’era sempre qualcuno più urgente da seguire. Se i medici di base avessero visitato i pazienti e attivato per tempo l’assistenza domiciliare integrata, con l’ossigenoterapia e un infermiere per la reidratazione, le persone si sarebbero salvate. Così ho fatto io, che non sono certo un luminare. La responsabilità è tutta della medicina territoriale. I miei colleghi ospedalieri non sono arrivati neanche a visitare i pazienti, perché non ci sono abbastanza medici per un numero così grande di malati. Gran parte di queste persone sono morte senza vedere un medico."

fabioccolo
19 Marzo 2025 | 09.55
albisarnico
19 Marzo 2025 | 11.29

Mamma 73 anni , ipertesa con pastiglia e basta. Papà esami a gennaio, non ce n'era uno fuori posto. Nessun farmaco. 190 cm per 110 kg di uomo , peraltro i nonni paterni longevi di famiglia (entrambi mancati a 92 anni.

La domenica ricoverano la mamma , due gg. prima (il venerdì) papà comincia ad avere febbre e tosse, nessuno dei 2 con difficoltà respiratorie. La domenica carico mamma sull'ambulanza per Iseo , mi dicono di farmi fare prescrizione per ossigeno per papà e il lunedì trovo una bombolina per pura fortuna. La sera del lunedì , sta x terminare , saturazione a 82 , chiamo il 118 e dicono che richiameranno. In 3 ore provo a risollecitare per 2 volte, mi dicono che hanno i centralini intasati. Il martedì mattina saturazione a 78 , richiamo e finalmente mandano ambulanza, sempre per Iseo. Scende con le sue gambe , sale su ambulanza  salutando la vicina alla finestra. Ha il cellulare , quindi ci sentiamo. Non riesco a parlare coi medici fino al giovedì pomeriggio alle 15 circa , mi dicono che mamma è critica e hanno dovuto sedarla perchè agitata e non voleva tenere il C.Pap...papà invece "sta abbanstanza bene , ci ha firmato assenso per cura sperimentale, domattina faremo esami e se vanno bene partiamo subito con la cura. La mattina del venerdì alle 3 arriva la telefonata , riconosco il numero e penso al peggio che , infatti, arriva. Mamma è mancata. Avviso mio fratello. Alle 6 , mi chiama mio fratello , disperato, dicendomi che l'hanno chiamato e anche papà se n'è andato. Una roba surreale. In meno di 3 ore di distanza, li abbiamo persi tutti e due, e fino ad una settimana prima stavano bene. Non ho mai voluto controbattere a chi sollevava sospetti sui camion militari , non ne ho mai avuto la voglia. A distanza di tempo , devo dire che si pensava che si cambiasse tutti in meglio , e devo constatare che non è stato così , e mi ci metto io per primo. Questo articolo mi ha fatto pensare agli "scontri" qui dentro , non solo quelli che mi riguardano , ma anche in generale tra gli altri. E sono arrivato alla conclusione che...non ne vale la pena. Mi sento di chiedere scusa a qualcuno. Non faccio nomi , non ce n'è bisogno.

SudatoDinverno
18 Marzo 2025 | 23.31

“Caro Direttore, questo non è più accanimento, io lo chiamo annientamento. Ho raggiunto i trent'anni di daspo e, pur vivendo lontano dalla mia città da ben sette anni (ormai sono quasi otto), questo non è servito perchè si capisse di lasciarmi vivere la mia vita! Anche se sono lontano, patisco la stessa, troppa repressione e l'umiliazione di non avere l'indipendenza, di essere autonomo nel lavoro sta prendendo il sopravvento. Una patente negata da già ben otto anni per mancanza di requisiti morali. Un'attività lavorativa alla quale prestavo la mia opera e grazie alla quale, in sei anni sono rinato, chiusa per farmi ancora del male. Me la stavo godendo troppo, secondo loro... Nel frattempo, in questi anni un arresto assurdo a Terni e due processi inventati, fortunatamente e giustamente chiusi con l'assoluzione piena a Bergamo. Troppa invidia, troppa vigliaccheria, troppa slealtà. E sì che lo ****** Mazinga, al secolo Elio Carminati, mi regalò il suo libro con tanto di dedica: quanto mancano questi uomini. Non finisce mai questa storia, non ha scadenza. Finirà, ne sono pienamente convinto, quando io sarò sfinito in età anziana. Mia sorella Paola, 64 anni, a mia insaputa è andata in Questura più volte nel corso di questi ultimi anni. Colloqui con il questore in persona al, quale, mia sorella Paola chiedeva uno sguardo lungo, uno spiraglio di luce per suo fratello, perché a tutto c'è un limite, con la paura di perdere forza, scoraggiarsi di fronte a un percorso solo repressivo: "A mio fratello non è mai stata data una possibilità". Non è il questore il problema, è il contorno che non va bene, con un giornale che, come disse Don Sergio Colombo, nei miei confronti è stato poco cristiano, ha sempre buttato fango sulla mia persona, sul mio cognome, screditandomi e annientandomi senza se e senza ma e, di conseguenza, anche su tutta la mia famiglia. "Ago e filo nel cassetto per lo scudetto" Intanto, il film "A guardia di una fede" che racconta la mia storia e la storia della Curva Nord atalantina, ha partecipato al Torino Film Festival e merita di essere visto. Non tanto per me, ma per il regista bergamasco Andrea Zambelli che, con un grande lavoro, ha letteralmente conquistando l'interesse e la curiosità del tifo europeo, registrando pienoni in molte sale cinematografiche. Io amo l'Atalanta, ho vissuto e creduto che con lei crescessi anch'io, crescessero il nostro popolo, il senso di appartenenza, la passione, il cuore. L'Atalanta nel bene e nel male. Mio padre, storico romantico di quell'Atalanta che vinse il titolo di campione d'Italia Primavera nel '48-'49, allo stadio Flaminio, contro la Lazio, allenatore il cavalier Ciatto, con TItta Rota, mio padre e gli altri nove, tutti bergamaschi in campo. Mia madre che, in fin di vita mi disse, con voce bassa e faticosa: "Claudio, ti ho messo ago e filo nel cassetto del comodino perché, se io non ce la faccio, lo scudetto sulla maglia te lo cuce la zia Rosanna". Io penso siano le persone a fare la qualità, la differenza: nel lavoro, nella vita, nella famiglia, in qualsiasi campo, Proverò anch'io a fare la differenza e continuerò a mettermi al servizio della mia Atalanta, della Curva, della nostra storia. So bene che andrò incontro molto probabilmente a un prezzo alto da pagare. So anche bene, però, che questo atto d'amore è l'unica pace interiore capace di darmi una grande forza, per resistere e non affliggermi fino alla depressione e alla morte. Voglio lottare, non morire e, se Dio vorrà, smuovere uomini, coscienze di tante e troppe persone che pensano solo a stare sul carro dei più forti e non capiscono come la libertà rimanga la più grande partita da vincere. L'Atalanta è arrivata dov'è arrivata non per caso, ma grazie all'anima, al cuore e alla sensibilità di un popolo nei suoi confronti. "Mai dimenticare da dove veniamo e che cosa eravamo" Nell'anno dello scudetto - perché io ci credo, eccome - questo è l'anno giusto di un percorso societario straordinario, guidato da un tecnico unico che fa la differenza. Quella differenza che, vent'anni fa, ha reso grandi anche noi della Curva nel credere alla salvezza con Delio Rossi, malgrado la squadra fosse scarsa e alla fine retrocesse in Serie B. Oggi più che bisogna mai stare vicino alla squadra, senza dimenticare da dove veniamo e che cosa eravamo, senza essere distruttivi dopo un risultato negativo. Penso a Ivan, Pelé e Giorgio, i miei più grandi amici di sempre che non sono più fianco a me, a noi. Mi ripeto sempre: che cosa potevo fare di più, che cosa potevamo fare di più per loro. Dovevamo capirli. Oggi capite anche me, basta ipocrisia. 

Claudio Galimberti”

Lorenz67
19 Marzo 2025 | 09.43

lungi da me lamentarmi o addossare alla terna la colpa della sconfitta: loro sono piu' forti in ogni zona del campo e l'hanno dimostrato ampiamente.. anzi a me e' sembrato che non spingessero sull'acceleratore a un certo punto... paghi e contenti di un pareggio. Pero' tutto questo non toglie che l'arbitro e' stato di gran lunga il peggiore in campo, sporcando notevolmente una partita sostanzialmente corretta e scontentando entrambe le squadre ma danneggiando piu' la Dea (naturalmente!!).

Ora a me sta benissimo che arbitri alla "inglese" lasciando correre tanti contrastini per velocizzare gioco e spettacolo: ma a tutto c'e' un limite santoiddio!! Se Look viene placcato e tirato in terra al limite dell'area a due metri da te non puoi far correre!! Se Acerbi ad ogni contrasto quasi strappa e toglie la maglia a reteguie non puoi non fischiargli nemmeno un fallo! Perche' legittimi lui e tutti gli altri a continuare a farlo bellamente! Ma abbracciare, strattonare, placcare non sono permessi da regolamento caxxxxo!! Per non parlare delle proteste.... loro hanno praticamente fatto tutto quello che volevano.. poi primo ammonito bellanova perche alza la mano protestando giustamente per un fallo che aveva subito e si e' visto fischiare la punizione contro! Espulsione di Ederson dovuta a grande mancanza di buonsenso.. non e' un giocatore che protesta.. se lo fa platealmente e' perche' qualcosa di sbagliato hai fatto... ok ammoniscilo ma fai finta di niente per i due secondi di applauso a caldo.. come hai fatto finta di niente quando ti han mandato a quel paese (piu' di una volta) a turno i Barella, i Bastoni e i Lautaro!! Poi chiaro, combinato il patatrac e' uscito il codone di paglia e via decisioni contro i bauscia.. cartellini, punizioni contro.. tanto sullo 0-2 il compito era stato ampiamente eseguito :( E questo e' un "internazionale"!!! Pensa te come stiamo messi... avesse fischiato 5 punizioni in piu' e dato 2-3 cartellini nel primo tempo avremmo assistito a tutt'altro spettacolo nel finale... ammalato di protagonismo.. speriamo vada presto in pensione perche' questo e' un danno al calcio!

AntPans
18 Marzo 2025 | 22.50
SudatoDinverno
18 Marzo 2025 | 23.31

“Caro Direttore, questo non è più accanimento, io lo chiamo annientamento. Ho raggiunto i trent'anni di daspo e, pur vivendo lontano dalla mia città da ben sette anni (ormai sono quasi otto), questo non è servito perchè si capisse di lasciarmi vivere la mia vita! Anche se sono lontano, patisco la stessa, troppa repressione e l'umiliazione di non avere l'indipendenza, di essere autonomo nel lavoro sta prendendo il sopravvento. Una patente negata da già ben otto anni per mancanza di requisiti morali. Un'attività lavorativa alla quale prestavo la mia opera e grazie alla quale, in sei anni sono rinato, chiusa per farmi ancora del male. Me la stavo godendo troppo, secondo loro... Nel frattempo, in questi anni un arresto assurdo a Terni e due processi inventati, fortunatamente e giustamente chiusi con l'assoluzione piena a Bergamo. Troppa invidia, troppa vigliaccheria, troppa slealtà. E sì che lo ****** Mazinga, al secolo Elio Carminati, mi regalò il suo libro con tanto di dedica: quanto mancano questi uomini. Non finisce mai questa storia, non ha scadenza. Finirà, ne sono pienamente convinto, quando io sarò sfinito in età anziana. Mia sorella Paola, 64 anni, a mia insaputa è andata in Questura più volte nel corso di questi ultimi anni. Colloqui con il questore in persona al, quale, mia sorella Paola chiedeva uno sguardo lungo, uno spiraglio di luce per suo fratello, perché a tutto c'è un limite, con la paura di perdere forza, scoraggiarsi di fronte a un percorso solo repressivo: "A mio fratello non è mai stata data una possibilità". Non è il questore il problema, è il contorno che non va bene, con un giornale che, come disse Don Sergio Colombo, nei miei confronti è stato poco cristiano, ha sempre buttato fango sulla mia persona, sul mio cognome, screditandomi e annientandomi senza se e senza ma e, di conseguenza, anche su tutta la mia famiglia. "Ago e filo nel cassetto per lo scudetto" Intanto, il film "A guardia di una fede" che racconta la mia storia e la storia della Curva Nord atalantina, ha partecipato al Torino Film Festival e merita di essere visto. Non tanto per me, ma per il regista bergamasco Andrea Zambelli che, con un grande lavoro, ha letteralmente conquistando l'interesse e la curiosità del tifo europeo, registrando pienoni in molte sale cinematografiche. Io amo l'Atalanta, ho vissuto e creduto che con lei crescessi anch'io, crescessero il nostro popolo, il senso di appartenenza, la passione, il cuore. L'Atalanta nel bene e nel male. Mio padre, storico romantico di quell'Atalanta che vinse il titolo di campione d'Italia Primavera nel '48-'49, allo stadio Flaminio, contro la Lazio, allenatore il cavalier Ciatto, con TItta Rota, mio padre e gli altri nove, tutti bergamaschi in campo. Mia madre che, in fin di vita mi disse, con voce bassa e faticosa: "Claudio, ti ho messo ago e filo nel cassetto del comodino perché, se io non ce la faccio, lo scudetto sulla maglia te lo cuce la zia Rosanna". Io penso siano le persone a fare la qualità, la differenza: nel lavoro, nella vita, nella famiglia, in qualsiasi campo, Proverò anch'io a fare la differenza e continuerò a mettermi al servizio della mia Atalanta, della Curva, della nostra storia. So bene che andrò incontro molto probabilmente a un prezzo alto da pagare. So anche bene, però, che questo atto d'amore è l'unica pace interiore capace di darmi una grande forza, per resistere e non affliggermi fino alla depressione e alla morte. Voglio lottare, non morire e, se Dio vorrà, smuovere uomini, coscienze di tante e troppe persone che pensano solo a stare sul carro dei più forti e non capiscono come la libertà rimanga la più grande partita da vincere. L'Atalanta è arrivata dov'è arrivata non per caso, ma grazie all'anima, al cuore e alla sensibilità di un popolo nei suoi confronti. "Mai dimenticare da dove veniamo e che cosa eravamo" Nell'anno dello scudetto - perché io ci credo, eccome - questo è l'anno giusto di un percorso societario straordinario, guidato da un tecnico unico che fa la differenza. Quella differenza che, vent'anni fa, ha reso grandi anche noi della Curva nel credere alla salvezza con Delio Rossi, malgrado la squadra fosse scarsa e alla fine retrocesse in Serie B. Oggi più che bisogna mai stare vicino alla squadra, senza dimenticare da dove veniamo e che cosa eravamo, senza essere distruttivi dopo un risultato negativo. Penso a Ivan, Pelé e Giorgio, i miei più grandi amici di sempre che non sono più fianco a me, a noi. Mi ripeto sempre: che cosa potevo fare di più, che cosa potevamo fare di più per loro. Dovevamo capirli. Oggi capite anche me, basta ipocrisia. 

Claudio Galimberti”

SudatoDinverno
18 Marzo 2025 | 23.31

“Caro Direttore, questo non è più accanimento, io lo chiamo annientamento. Ho raggiunto i trent'anni di daspo e, pur vivendo lontano dalla mia città da ben sette anni (ormai sono quasi otto), questo non è servito perchè si capisse di lasciarmi vivere la mia vita! Anche se sono lontano, patisco la stessa, troppa repressione e l'umiliazione di non avere l'indipendenza, di essere autonomo nel lavoro sta prendendo il sopravvento. Una patente negata da già ben otto anni per mancanza di requisiti morali. Un'attività lavorativa alla quale prestavo la mia opera e grazie alla quale, in sei anni sono rinato, chiusa per farmi ancora del male. Me la stavo godendo troppo, secondo loro... Nel frattempo, in questi anni un arresto assurdo a Terni e due processi inventati, fortunatamente e giustamente chiusi con l'assoluzione piena a Bergamo. Troppa invidia, troppa vigliaccheria, troppa slealtà. E sì che lo ****** Mazinga, al secolo Elio Carminati, mi regalò il suo libro con tanto di dedica: quanto mancano questi uomini. Non finisce mai questa storia, non ha scadenza. Finirà, ne sono pienamente convinto, quando io sarò sfinito in età anziana. Mia sorella Paola, 64 anni, a mia insaputa è andata in Questura più volte nel corso di questi ultimi anni. Colloqui con il questore in persona al, quale, mia sorella Paola chiedeva uno sguardo lungo, uno spiraglio di luce per suo fratello, perché a tutto c'è un limite, con la paura di perdere forza, scoraggiarsi di fronte a un percorso solo repressivo: "A mio fratello non è mai stata data una possibilità". Non è il questore il problema, è il contorno che non va bene, con un giornale che, come disse Don Sergio Colombo, nei miei confronti è stato poco cristiano, ha sempre buttato fango sulla mia persona, sul mio cognome, screditandomi e annientandomi senza se e senza ma e, di conseguenza, anche su tutta la mia famiglia. "Ago e filo nel cassetto per lo scudetto" Intanto, il film "A guardia di una fede" che racconta la mia storia e la storia della Curva Nord atalantina, ha partecipato al Torino Film Festival e merita di essere visto. Non tanto per me, ma per il regista bergamasco Andrea Zambelli che, con un grande lavoro, ha letteralmente conquistando l'interesse e la curiosità del tifo europeo, registrando pienoni in molte sale cinematografiche. Io amo l'Atalanta, ho vissuto e creduto che con lei crescessi anch'io, crescessero il nostro popolo, il senso di appartenenza, la passione, il cuore. L'Atalanta nel bene e nel male. Mio padre, storico romantico di quell'Atalanta che vinse il titolo di campione d'Italia Primavera nel '48-'49, allo stadio Flaminio, contro la Lazio, allenatore il cavalier Ciatto, con TItta Rota, mio padre e gli altri nove, tutti bergamaschi in campo. Mia madre che, in fin di vita mi disse, con voce bassa e faticosa: "Claudio, ti ho messo ago e filo nel cassetto del comodino perché, se io non ce la faccio, lo scudetto sulla maglia te lo cuce la zia Rosanna". Io penso siano le persone a fare la qualità, la differenza: nel lavoro, nella vita, nella famiglia, in qualsiasi campo, Proverò anch'io a fare la differenza e continuerò a mettermi al servizio della mia Atalanta, della Curva, della nostra storia. So bene che andrò incontro molto probabilmente a un prezzo alto da pagare. So anche bene, però, che questo atto d'amore è l'unica pace interiore capace di darmi una grande forza, per resistere e non affliggermi fino alla depressione e alla morte. Voglio lottare, non morire e, se Dio vorrà, smuovere uomini, coscienze di tante e troppe persone che pensano solo a stare sul carro dei più forti e non capiscono come la libertà rimanga la più grande partita da vincere. L'Atalanta è arrivata dov'è arrivata non per caso, ma grazie all'anima, al cuore e alla sensibilità di un popolo nei suoi confronti. "Mai dimenticare da dove veniamo e che cosa eravamo" Nell'anno dello scudetto - perché io ci credo, eccome - questo è l'anno giusto di un percorso societario straordinario, guidato da un tecnico unico che fa la differenza. Quella differenza che, vent'anni fa, ha reso grandi anche noi della Curva nel credere alla salvezza con Delio Rossi, malgrado la squadra fosse scarsa e alla fine retrocesse in Serie B. Oggi più che bisogna mai stare vicino alla squadra, senza dimenticare da dove veniamo e che cosa eravamo, senza essere distruttivi dopo un risultato negativo. Penso a Ivan, Pelé e Giorgio, i miei più grandi amici di sempre che non sono più fianco a me, a noi. Mi ripeto sempre: che cosa potevo fare di più, che cosa potevamo fare di più per loro. Dovevamo capirli. Oggi capite anche me, basta ipocrisia. 

Claudio Galimberti”

Lorenz67
19 Marzo 2025 | 09.43

lungi da me lamentarmi o addossare alla terna la colpa della sconfitta: loro sono piu' forti in ogni zona del campo e l'hanno dimostrato ampiamente.. anzi a me e' sembrato che non spingessero sull'acceleratore a un certo punto... paghi e contenti di un pareggio. Pero' tutto questo non toglie che l'arbitro e' stato di gran lunga il peggiore in campo, sporcando notevolmente una partita sostanzialmente corretta e scontentando entrambe le squadre ma danneggiando piu' la Dea (naturalmente!!).

Ora a me sta benissimo che arbitri alla "inglese" lasciando correre tanti contrastini per velocizzare gioco e spettacolo: ma a tutto c'e' un limite santoiddio!! Se Look viene placcato e tirato in terra al limite dell'area a due metri da te non puoi far correre!! Se Acerbi ad ogni contrasto quasi strappa e toglie la maglia a reteguie non puoi non fischiargli nemmeno un fallo! Perche' legittimi lui e tutti gli altri a continuare a farlo bellamente! Ma abbracciare, strattonare, placcare non sono permessi da regolamento caxxxxo!! Per non parlare delle proteste.... loro hanno praticamente fatto tutto quello che volevano.. poi primo ammonito bellanova perche alza la mano protestando giustamente per un fallo che aveva subito e si e' visto fischiare la punizione contro! Espulsione di Ederson dovuta a grande mancanza di buonsenso.. non e' un giocatore che protesta.. se lo fa platealmente e' perche' qualcosa di sbagliato hai fatto... ok ammoniscilo ma fai finta di niente per i due secondi di applauso a caldo.. come hai fatto finta di niente quando ti han mandato a quel paese (piu' di una volta) a turno i Barella, i Bastoni e i Lautaro!! Poi chiaro, combinato il patatrac e' uscito il codone di paglia e via decisioni contro i bauscia.. cartellini, punizioni contro.. tanto sullo 0-2 il compito era stato ampiamente eseguito :( E questo e' un "internazionale"!!! Pensa te come stiamo messi... avesse fischiato 5 punizioni in piu' e dato 2-3 cartellini nel primo tempo avremmo assistito a tutt'altro spettacolo nel finale... ammalato di protagonismo.. speriamo vada presto in pensione perche' questo e' un danno al calcio!

SudatoDinverno
18 Marzo 2025 | 23.31

“Caro Direttore, questo non è più accanimento, io lo chiamo annientamento. Ho raggiunto i trent'anni di daspo e, pur vivendo lontano dalla mia città da ben sette anni (ormai sono quasi otto), questo non è servito perchè si capisse di lasciarmi vivere la mia vita! Anche se sono lontano, patisco la stessa, troppa repressione e l'umiliazione di non avere l'indipendenza, di essere autonomo nel lavoro sta prendendo il sopravvento. Una patente negata da già ben otto anni per mancanza di requisiti morali. Un'attività lavorativa alla quale prestavo la mia opera e grazie alla quale, in sei anni sono rinato, chiusa per farmi ancora del male. Me la stavo godendo troppo, secondo loro... Nel frattempo, in questi anni un arresto assurdo a Terni e due processi inventati, fortunatamente e giustamente chiusi con l'assoluzione piena a Bergamo. Troppa invidia, troppa vigliaccheria, troppa slealtà. E sì che lo ****** Mazinga, al secolo Elio Carminati, mi regalò il suo libro con tanto di dedica: quanto mancano questi uomini. Non finisce mai questa storia, non ha scadenza. Finirà, ne sono pienamente convinto, quando io sarò sfinito in età anziana. Mia sorella Paola, 64 anni, a mia insaputa è andata in Questura più volte nel corso di questi ultimi anni. Colloqui con il questore in persona al, quale, mia sorella Paola chiedeva uno sguardo lungo, uno spiraglio di luce per suo fratello, perché a tutto c'è un limite, con la paura di perdere forza, scoraggiarsi di fronte a un percorso solo repressivo: "A mio fratello non è mai stata data una possibilità". Non è il questore il problema, è il contorno che non va bene, con un giornale che, come disse Don Sergio Colombo, nei miei confronti è stato poco cristiano, ha sempre buttato fango sulla mia persona, sul mio cognome, screditandomi e annientandomi senza se e senza ma e, di conseguenza, anche su tutta la mia famiglia. "Ago e filo nel cassetto per lo scudetto" Intanto, il film "A guardia di una fede" che racconta la mia storia e la storia della Curva Nord atalantina, ha partecipato al Torino Film Festival e merita di essere visto. Non tanto per me, ma per il regista bergamasco Andrea Zambelli che, con un grande lavoro, ha letteralmente conquistando l'interesse e la curiosità del tifo europeo, registrando pienoni in molte sale cinematografiche. Io amo l'Atalanta, ho vissuto e creduto che con lei crescessi anch'io, crescessero il nostro popolo, il senso di appartenenza, la passione, il cuore. L'Atalanta nel bene e nel male. Mio padre, storico romantico di quell'Atalanta che vinse il titolo di campione d'Italia Primavera nel '48-'49, allo stadio Flaminio, contro la Lazio, allenatore il cavalier Ciatto, con TItta Rota, mio padre e gli altri nove, tutti bergamaschi in campo. Mia madre che, in fin di vita mi disse, con voce bassa e faticosa: "Claudio, ti ho messo ago e filo nel cassetto del comodino perché, se io non ce la faccio, lo scudetto sulla maglia te lo cuce la zia Rosanna". Io penso siano le persone a fare la qualità, la differenza: nel lavoro, nella vita, nella famiglia, in qualsiasi campo, Proverò anch'io a fare la differenza e continuerò a mettermi al servizio della mia Atalanta, della Curva, della nostra storia. So bene che andrò incontro molto probabilmente a un prezzo alto da pagare. So anche bene, però, che questo atto d'amore è l'unica pace interiore capace di darmi una grande forza, per resistere e non affliggermi fino alla depressione e alla morte. Voglio lottare, non morire e, se Dio vorrà, smuovere uomini, coscienze di tante e troppe persone che pensano solo a stare sul carro dei più forti e non capiscono come la libertà rimanga la più grande partita da vincere. L'Atalanta è arrivata dov'è arrivata non per caso, ma grazie all'anima, al cuore e alla sensibilità di un popolo nei suoi confronti. "Mai dimenticare da dove veniamo e che cosa eravamo" Nell'anno dello scudetto - perché io ci credo, eccome - questo è l'anno giusto di un percorso societario straordinario, guidato da un tecnico unico che fa la differenza. Quella differenza che, vent'anni fa, ha reso grandi anche noi della Curva nel credere alla salvezza con Delio Rossi, malgrado la squadra fosse scarsa e alla fine retrocesse in Serie B. Oggi più che bisogna mai stare vicino alla squadra, senza dimenticare da dove veniamo e che cosa eravamo, senza essere distruttivi dopo un risultato negativo. Penso a Ivan, Pelé e Giorgio, i miei più grandi amici di sempre che non sono più fianco a me, a noi. Mi ripeto sempre: che cosa potevo fare di più, che cosa potevamo fare di più per loro. Dovevamo capirli. Oggi capite anche me, basta ipocrisia. 

Claudio Galimberti”

SudatoDinverno
18 Marzo 2025 | 23.31

“Caro Direttore, questo non è più accanimento, io lo chiamo annientamento. Ho raggiunto i trent'anni di daspo e, pur vivendo lontano dalla mia città da ben sette anni (ormai sono quasi otto), questo non è servito perchè si capisse di lasciarmi vivere la mia vita! Anche se sono lontano, patisco la stessa, troppa repressione e l'umiliazione di non avere l'indipendenza, di essere autonomo nel lavoro sta prendendo il sopravvento. Una patente negata da già ben otto anni per mancanza di requisiti morali. Un'attività lavorativa alla quale prestavo la mia opera e grazie alla quale, in sei anni sono rinato, chiusa per farmi ancora del male. Me la stavo godendo troppo, secondo loro... Nel frattempo, in questi anni un arresto assurdo a Terni e due processi inventati, fortunatamente e giustamente chiusi con l'assoluzione piena a Bergamo. Troppa invidia, troppa vigliaccheria, troppa slealtà. E sì che lo ****** Mazinga, al secolo Elio Carminati, mi regalò il suo libro con tanto di dedica: quanto mancano questi uomini. Non finisce mai questa storia, non ha scadenza. Finirà, ne sono pienamente convinto, quando io sarò sfinito in età anziana. Mia sorella Paola, 64 anni, a mia insaputa è andata in Questura più volte nel corso di questi ultimi anni. Colloqui con il questore in persona al, quale, mia sorella Paola chiedeva uno sguardo lungo, uno spiraglio di luce per suo fratello, perché a tutto c'è un limite, con la paura di perdere forza, scoraggiarsi di fronte a un percorso solo repressivo: "A mio fratello non è mai stata data una possibilità". Non è il questore il problema, è il contorno che non va bene, con un giornale che, come disse Don Sergio Colombo, nei miei confronti è stato poco cristiano, ha sempre buttato fango sulla mia persona, sul mio cognome, screditandomi e annientandomi senza se e senza ma e, di conseguenza, anche su tutta la mia famiglia. "Ago e filo nel cassetto per lo scudetto" Intanto, il film "A guardia di una fede" che racconta la mia storia e la storia della Curva Nord atalantina, ha partecipato al Torino Film Festival e merita di essere visto. Non tanto per me, ma per il regista bergamasco Andrea Zambelli che, con un grande lavoro, ha letteralmente conquistando l'interesse e la curiosità del tifo europeo, registrando pienoni in molte sale cinematografiche. Io amo l'Atalanta, ho vissuto e creduto che con lei crescessi anch'io, crescessero il nostro popolo, il senso di appartenenza, la passione, il cuore. L'Atalanta nel bene e nel male. Mio padre, storico romantico di quell'Atalanta che vinse il titolo di campione d'Italia Primavera nel '48-'49, allo stadio Flaminio, contro la Lazio, allenatore il cavalier Ciatto, con TItta Rota, mio padre e gli altri nove, tutti bergamaschi in campo. Mia madre che, in fin di vita mi disse, con voce bassa e faticosa: "Claudio, ti ho messo ago e filo nel cassetto del comodino perché, se io non ce la faccio, lo scudetto sulla maglia te lo cuce la zia Rosanna". Io penso siano le persone a fare la qualità, la differenza: nel lavoro, nella vita, nella famiglia, in qualsiasi campo, Proverò anch'io a fare la differenza e continuerò a mettermi al servizio della mia Atalanta, della Curva, della nostra storia. So bene che andrò incontro molto probabilmente a un prezzo alto da pagare. So anche bene, però, che questo atto d'amore è l'unica pace interiore capace di darmi una grande forza, per resistere e non affliggermi fino alla depressione e alla morte. Voglio lottare, non morire e, se Dio vorrà, smuovere uomini, coscienze di tante e troppe persone che pensano solo a stare sul carro dei più forti e non capiscono come la libertà rimanga la più grande partita da vincere. L'Atalanta è arrivata dov'è arrivata non per caso, ma grazie all'anima, al cuore e alla sensibilità di un popolo nei suoi confronti. "Mai dimenticare da dove veniamo e che cosa eravamo" Nell'anno dello scudetto - perché io ci credo, eccome - questo è l'anno giusto di un percorso societario straordinario, guidato da un tecnico unico che fa la differenza. Quella differenza che, vent'anni fa, ha reso grandi anche noi della Curva nel credere alla salvezza con Delio Rossi, malgrado la squadra fosse scarsa e alla fine retrocesse in Serie B. Oggi più che bisogna mai stare vicino alla squadra, senza dimenticare da dove veniamo e che cosa eravamo, senza essere distruttivi dopo un risultato negativo. Penso a Ivan, Pelé e Giorgio, i miei più grandi amici di sempre che non sono più fianco a me, a noi. Mi ripeto sempre: che cosa potevo fare di più, che cosa potevamo fare di più per loro. Dovevamo capirli. Oggi capite anche me, basta ipocrisia. 

Claudio Galimberti”

SudatoDinverno
18 Marzo 2025 | 23.31

“Caro Direttore, questo non è più accanimento, io lo chiamo annientamento. Ho raggiunto i trent'anni di daspo e, pur vivendo lontano dalla mia città da ben sette anni (ormai sono quasi otto), questo non è servito perchè si capisse di lasciarmi vivere la mia vita! Anche se sono lontano, patisco la stessa, troppa repressione e l'umiliazione di non avere l'indipendenza, di essere autonomo nel lavoro sta prendendo il sopravvento. Una patente negata da già ben otto anni per mancanza di requisiti morali. Un'attività lavorativa alla quale prestavo la mia opera e grazie alla quale, in sei anni sono rinato, chiusa per farmi ancora del male. Me la stavo godendo troppo, secondo loro... Nel frattempo, in questi anni un arresto assurdo a Terni e due processi inventati, fortunatamente e giustamente chiusi con l'assoluzione piena a Bergamo. Troppa invidia, troppa vigliaccheria, troppa slealtà. E sì che lo ****** Mazinga, al secolo Elio Carminati, mi regalò il suo libro con tanto di dedica: quanto mancano questi uomini. Non finisce mai questa storia, non ha scadenza. Finirà, ne sono pienamente convinto, quando io sarò sfinito in età anziana. Mia sorella Paola, 64 anni, a mia insaputa è andata in Questura più volte nel corso di questi ultimi anni. Colloqui con il questore in persona al, quale, mia sorella Paola chiedeva uno sguardo lungo, uno spiraglio di luce per suo fratello, perché a tutto c'è un limite, con la paura di perdere forza, scoraggiarsi di fronte a un percorso solo repressivo: "A mio fratello non è mai stata data una possibilità". Non è il questore il problema, è il contorno che non va bene, con un giornale che, come disse Don Sergio Colombo, nei miei confronti è stato poco cristiano, ha sempre buttato fango sulla mia persona, sul mio cognome, screditandomi e annientandomi senza se e senza ma e, di conseguenza, anche su tutta la mia famiglia. "Ago e filo nel cassetto per lo scudetto" Intanto, il film "A guardia di una fede" che racconta la mia storia e la storia della Curva Nord atalantina, ha partecipato al Torino Film Festival e merita di essere visto. Non tanto per me, ma per il regista bergamasco Andrea Zambelli che, con un grande lavoro, ha letteralmente conquistando l'interesse e la curiosità del tifo europeo, registrando pienoni in molte sale cinematografiche. Io amo l'Atalanta, ho vissuto e creduto che con lei crescessi anch'io, crescessero il nostro popolo, il senso di appartenenza, la passione, il cuore. L'Atalanta nel bene e nel male. Mio padre, storico romantico di quell'Atalanta che vinse il titolo di campione d'Italia Primavera nel '48-'49, allo stadio Flaminio, contro la Lazio, allenatore il cavalier Ciatto, con TItta Rota, mio padre e gli altri nove, tutti bergamaschi in campo. Mia madre che, in fin di vita mi disse, con voce bassa e faticosa: "Claudio, ti ho messo ago e filo nel cassetto del comodino perché, se io non ce la faccio, lo scudetto sulla maglia te lo cuce la zia Rosanna". Io penso siano le persone a fare la qualità, la differenza: nel lavoro, nella vita, nella famiglia, in qualsiasi campo, Proverò anch'io a fare la differenza e continuerò a mettermi al servizio della mia Atalanta, della Curva, della nostra storia. So bene che andrò incontro molto probabilmente a un prezzo alto da pagare. So anche bene, però, che questo atto d'amore è l'unica pace interiore capace di darmi una grande forza, per resistere e non affliggermi fino alla depressione e alla morte. Voglio lottare, non morire e, se Dio vorrà, smuovere uomini, coscienze di tante e troppe persone che pensano solo a stare sul carro dei più forti e non capiscono come la libertà rimanga la più grande partita da vincere. L'Atalanta è arrivata dov'è arrivata non per caso, ma grazie all'anima, al cuore e alla sensibilità di un popolo nei suoi confronti. "Mai dimenticare da dove veniamo e che cosa eravamo" Nell'anno dello scudetto - perché io ci credo, eccome - questo è l'anno giusto di un percorso societario straordinario, guidato da un tecnico unico che fa la differenza. Quella differenza che, vent'anni fa, ha reso grandi anche noi della Curva nel credere alla salvezza con Delio Rossi, malgrado la squadra fosse scarsa e alla fine retrocesse in Serie B. Oggi più che bisogna mai stare vicino alla squadra, senza dimenticare da dove veniamo e che cosa eravamo, senza essere distruttivi dopo un risultato negativo. Penso a Ivan, Pelé e Giorgio, i miei più grandi amici di sempre che non sono più fianco a me, a noi. Mi ripeto sempre: che cosa potevo fare di più, che cosa potevamo fare di più per loro. Dovevamo capirli. Oggi capite anche me, basta ipocrisia. 

Claudio Galimberti”

SudatoDinverno
18 Marzo 2025 | 23.31

“Caro Direttore, questo non è più accanimento, io lo chiamo annientamento. Ho raggiunto i trent'anni di daspo e, pur vivendo lontano dalla mia città da ben sette anni (ormai sono quasi otto), questo non è servito perchè si capisse di lasciarmi vivere la mia vita! Anche se sono lontano, patisco la stessa, troppa repressione e l'umiliazione di non avere l'indipendenza, di essere autonomo nel lavoro sta prendendo il sopravvento. Una patente negata da già ben otto anni per mancanza di requisiti morali. Un'attività lavorativa alla quale prestavo la mia opera e grazie alla quale, in sei anni sono rinato, chiusa per farmi ancora del male. Me la stavo godendo troppo, secondo loro... Nel frattempo, in questi anni un arresto assurdo a Terni e due processi inventati, fortunatamente e giustamente chiusi con l'assoluzione piena a Bergamo. Troppa invidia, troppa vigliaccheria, troppa slealtà. E sì che lo ****** Mazinga, al secolo Elio Carminati, mi regalò il suo libro con tanto di dedica: quanto mancano questi uomini. Non finisce mai questa storia, non ha scadenza. Finirà, ne sono pienamente convinto, quando io sarò sfinito in età anziana. Mia sorella Paola, 64 anni, a mia insaputa è andata in Questura più volte nel corso di questi ultimi anni. Colloqui con il questore in persona al, quale, mia sorella Paola chiedeva uno sguardo lungo, uno spiraglio di luce per suo fratello, perché a tutto c'è un limite, con la paura di perdere forza, scoraggiarsi di fronte a un percorso solo repressivo: "A mio fratello non è mai stata data una possibilità". Non è il questore il problema, è il contorno che non va bene, con un giornale che, come disse Don Sergio Colombo, nei miei confronti è stato poco cristiano, ha sempre buttato fango sulla mia persona, sul mio cognome, screditandomi e annientandomi senza se e senza ma e, di conseguenza, anche su tutta la mia famiglia. "Ago e filo nel cassetto per lo scudetto" Intanto, il film "A guardia di una fede" che racconta la mia storia e la storia della Curva Nord atalantina, ha partecipato al Torino Film Festival e merita di essere visto. Non tanto per me, ma per il regista bergamasco Andrea Zambelli che, con un grande lavoro, ha letteralmente conquistando l'interesse e la curiosità del tifo europeo, registrando pienoni in molte sale cinematografiche. Io amo l'Atalanta, ho vissuto e creduto che con lei crescessi anch'io, crescessero il nostro popolo, il senso di appartenenza, la passione, il cuore. L'Atalanta nel bene e nel male. Mio padre, storico romantico di quell'Atalanta che vinse il titolo di campione d'Italia Primavera nel '48-'49, allo stadio Flaminio, contro la Lazio, allenatore il cavalier Ciatto, con TItta Rota, mio padre e gli altri nove, tutti bergamaschi in campo. Mia madre che, in fin di vita mi disse, con voce bassa e faticosa: "Claudio, ti ho messo ago e filo nel cassetto del comodino perché, se io non ce la faccio, lo scudetto sulla maglia te lo cuce la zia Rosanna". Io penso siano le persone a fare la qualità, la differenza: nel lavoro, nella vita, nella famiglia, in qualsiasi campo, Proverò anch'io a fare la differenza e continuerò a mettermi al servizio della mia Atalanta, della Curva, della nostra storia. So bene che andrò incontro molto probabilmente a un prezzo alto da pagare. So anche bene, però, che questo atto d'amore è l'unica pace interiore capace di darmi una grande forza, per resistere e non affliggermi fino alla depressione e alla morte. Voglio lottare, non morire e, se Dio vorrà, smuovere uomini, coscienze di tante e troppe persone che pensano solo a stare sul carro dei più forti e non capiscono come la libertà rimanga la più grande partita da vincere. L'Atalanta è arrivata dov'è arrivata non per caso, ma grazie all'anima, al cuore e alla sensibilità di un popolo nei suoi confronti. "Mai dimenticare da dove veniamo e che cosa eravamo" Nell'anno dello scudetto - perché io ci credo, eccome - questo è l'anno giusto di un percorso societario straordinario, guidato da un tecnico unico che fa la differenza. Quella differenza che, vent'anni fa, ha reso grandi anche noi della Curva nel credere alla salvezza con Delio Rossi, malgrado la squadra fosse scarsa e alla fine retrocesse in Serie B. Oggi più che bisogna mai stare vicino alla squadra, senza dimenticare da dove veniamo e che cosa eravamo, senza essere distruttivi dopo un risultato negativo. Penso a Ivan, Pelé e Giorgio, i miei più grandi amici di sempre che non sono più fianco a me, a noi. Mi ripeto sempre: che cosa potevo fare di più, che cosa potevamo fare di più per loro. Dovevamo capirli. Oggi capite anche me, basta ipocrisia. 

Claudio Galimberti”

SudatoDinverno
18 Marzo 2025 | 23.31

“Caro Direttore, questo non è più accanimento, io lo chiamo annientamento. Ho raggiunto i trent'anni di daspo e, pur vivendo lontano dalla mia città da ben sette anni (ormai sono quasi otto), questo non è servito perchè si capisse di lasciarmi vivere la mia vita! Anche se sono lontano, patisco la stessa, troppa repressione e l'umiliazione di non avere l'indipendenza, di essere autonomo nel lavoro sta prendendo il sopravvento. Una patente negata da già ben otto anni per mancanza di requisiti morali. Un'attività lavorativa alla quale prestavo la mia opera e grazie alla quale, in sei anni sono rinato, chiusa per farmi ancora del male. Me la stavo godendo troppo, secondo loro... Nel frattempo, in questi anni un arresto assurdo a Terni e due processi inventati, fortunatamente e giustamente chiusi con l'assoluzione piena a Bergamo. Troppa invidia, troppa vigliaccheria, troppa slealtà. E sì che lo ****** Mazinga, al secolo Elio Carminati, mi regalò il suo libro con tanto di dedica: quanto mancano questi uomini. Non finisce mai questa storia, non ha scadenza. Finirà, ne sono pienamente convinto, quando io sarò sfinito in età anziana. Mia sorella Paola, 64 anni, a mia insaputa è andata in Questura più volte nel corso di questi ultimi anni. Colloqui con il questore in persona al, quale, mia sorella Paola chiedeva uno sguardo lungo, uno spiraglio di luce per suo fratello, perché a tutto c'è un limite, con la paura di perdere forza, scoraggiarsi di fronte a un percorso solo repressivo: "A mio fratello non è mai stata data una possibilità". Non è il questore il problema, è il contorno che non va bene, con un giornale che, come disse Don Sergio Colombo, nei miei confronti è stato poco cristiano, ha sempre buttato fango sulla mia persona, sul mio cognome, screditandomi e annientandomi senza se e senza ma e, di conseguenza, anche su tutta la mia famiglia. "Ago e filo nel cassetto per lo scudetto" Intanto, il film "A guardia di una fede" che racconta la mia storia e la storia della Curva Nord atalantina, ha partecipato al Torino Film Festival e merita di essere visto. Non tanto per me, ma per il regista bergamasco Andrea Zambelli che, con un grande lavoro, ha letteralmente conquistando l'interesse e la curiosità del tifo europeo, registrando pienoni in molte sale cinematografiche. Io amo l'Atalanta, ho vissuto e creduto che con lei crescessi anch'io, crescessero il nostro popolo, il senso di appartenenza, la passione, il cuore. L'Atalanta nel bene e nel male. Mio padre, storico romantico di quell'Atalanta che vinse il titolo di campione d'Italia Primavera nel '48-'49, allo stadio Flaminio, contro la Lazio, allenatore il cavalier Ciatto, con TItta Rota, mio padre e gli altri nove, tutti bergamaschi in campo. Mia madre che, in fin di vita mi disse, con voce bassa e faticosa: "Claudio, ti ho messo ago e filo nel cassetto del comodino perché, se io non ce la faccio, lo scudetto sulla maglia te lo cuce la zia Rosanna". Io penso siano le persone a fare la qualità, la differenza: nel lavoro, nella vita, nella famiglia, in qualsiasi campo, Proverò anch'io a fare la differenza e continuerò a mettermi al servizio della mia Atalanta, della Curva, della nostra storia. So bene che andrò incontro molto probabilmente a un prezzo alto da pagare. So anche bene, però, che questo atto d'amore è l'unica pace interiore capace di darmi una grande forza, per resistere e non affliggermi fino alla depressione e alla morte. Voglio lottare, non morire e, se Dio vorrà, smuovere uomini, coscienze di tante e troppe persone che pensano solo a stare sul carro dei più forti e non capiscono come la libertà rimanga la più grande partita da vincere. L'Atalanta è arrivata dov'è arrivata non per caso, ma grazie all'anima, al cuore e alla sensibilità di un popolo nei suoi confronti. "Mai dimenticare da dove veniamo e che cosa eravamo" Nell'anno dello scudetto - perché io ci credo, eccome - questo è l'anno giusto di un percorso societario straordinario, guidato da un tecnico unico che fa la differenza. Quella differenza che, vent'anni fa, ha reso grandi anche noi della Curva nel credere alla salvezza con Delio Rossi, malgrado la squadra fosse scarsa e alla fine retrocesse in Serie B. Oggi più che bisogna mai stare vicino alla squadra, senza dimenticare da dove veniamo e che cosa eravamo, senza essere distruttivi dopo un risultato negativo. Penso a Ivan, Pelé e Giorgio, i miei più grandi amici di sempre che non sono più fianco a me, a noi. Mi ripeto sempre: che cosa potevo fare di più, che cosa potevamo fare di più per loro. Dovevamo capirli. Oggi capite anche me, basta ipocrisia. 

Claudio Galimberti”

maurom72
19 Marzo 2025 | 07.52
SudatoDinverno
18 Marzo 2025 | 23.31

“Caro Direttore, questo non è più accanimento, io lo chiamo annientamento. Ho raggiunto i trent'anni di daspo e, pur vivendo lontano dalla mia città da ben sette anni (ormai sono quasi otto), questo non è servito perchè si capisse di lasciarmi vivere la mia vita! Anche se sono lontano, patisco la stessa, troppa repressione e l'umiliazione di non avere l'indipendenza, di essere autonomo nel lavoro sta prendendo il sopravvento. Una patente negata da già ben otto anni per mancanza di requisiti morali. Un'attività lavorativa alla quale prestavo la mia opera e grazie alla quale, in sei anni sono rinato, chiusa per farmi ancora del male. Me la stavo godendo troppo, secondo loro... Nel frattempo, in questi anni un arresto assurdo a Terni e due processi inventati, fortunatamente e giustamente chiusi con l'assoluzione piena a Bergamo. Troppa invidia, troppa vigliaccheria, troppa slealtà. E sì che lo ****** Mazinga, al secolo Elio Carminati, mi regalò il suo libro con tanto di dedica: quanto mancano questi uomini. Non finisce mai questa storia, non ha scadenza. Finirà, ne sono pienamente convinto, quando io sarò sfinito in età anziana. Mia sorella Paola, 64 anni, a mia insaputa è andata in Questura più volte nel corso di questi ultimi anni. Colloqui con il questore in persona al, quale, mia sorella Paola chiedeva uno sguardo lungo, uno spiraglio di luce per suo fratello, perché a tutto c'è un limite, con la paura di perdere forza, scoraggiarsi di fronte a un percorso solo repressivo: "A mio fratello non è mai stata data una possibilità". Non è il questore il problema, è il contorno che non va bene, con un giornale che, come disse Don Sergio Colombo, nei miei confronti è stato poco cristiano, ha sempre buttato fango sulla mia persona, sul mio cognome, screditandomi e annientandomi senza se e senza ma e, di conseguenza, anche su tutta la mia famiglia. "Ago e filo nel cassetto per lo scudetto" Intanto, il film "A guardia di una fede" che racconta la mia storia e la storia della Curva Nord atalantina, ha partecipato al Torino Film Festival e merita di essere visto. Non tanto per me, ma per il regista bergamasco Andrea Zambelli che, con un grande lavoro, ha letteralmente conquistando l'interesse e la curiosità del tifo europeo, registrando pienoni in molte sale cinematografiche. Io amo l'Atalanta, ho vissuto e creduto che con lei crescessi anch'io, crescessero il nostro popolo, il senso di appartenenza, la passione, il cuore. L'Atalanta nel bene e nel male. Mio padre, storico romantico di quell'Atalanta che vinse il titolo di campione d'Italia Primavera nel '48-'49, allo stadio Flaminio, contro la Lazio, allenatore il cavalier Ciatto, con TItta Rota, mio padre e gli altri nove, tutti bergamaschi in campo. Mia madre che, in fin di vita mi disse, con voce bassa e faticosa: "Claudio, ti ho messo ago e filo nel cassetto del comodino perché, se io non ce la faccio, lo scudetto sulla maglia te lo cuce la zia Rosanna". Io penso siano le persone a fare la qualità, la differenza: nel lavoro, nella vita, nella famiglia, in qualsiasi campo, Proverò anch'io a fare la differenza e continuerò a mettermi al servizio della mia Atalanta, della Curva, della nostra storia. So bene che andrò incontro molto probabilmente a un prezzo alto da pagare. So anche bene, però, che questo atto d'amore è l'unica pace interiore capace di darmi una grande forza, per resistere e non affliggermi fino alla depressione e alla morte. Voglio lottare, non morire e, se Dio vorrà, smuovere uomini, coscienze di tante e troppe persone che pensano solo a stare sul carro dei più forti e non capiscono come la libertà rimanga la più grande partita da vincere. L'Atalanta è arrivata dov'è arrivata non per caso, ma grazie all'anima, al cuore e alla sensibilità di un popolo nei suoi confronti. "Mai dimenticare da dove veniamo e che cosa eravamo" Nell'anno dello scudetto - perché io ci credo, eccome - questo è l'anno giusto di un percorso societario straordinario, guidato da un tecnico unico che fa la differenza. Quella differenza che, vent'anni fa, ha reso grandi anche noi della Curva nel credere alla salvezza con Delio Rossi, malgrado la squadra fosse scarsa e alla fine retrocesse in Serie B. Oggi più che bisogna mai stare vicino alla squadra, senza dimenticare da dove veniamo e che cosa eravamo, senza essere distruttivi dopo un risultato negativo. Penso a Ivan, Pelé e Giorgio, i miei più grandi amici di sempre che non sono più fianco a me, a noi. Mi ripeto sempre: che cosa potevo fare di più, che cosa potevamo fare di più per loro. Dovevamo capirli. Oggi capite anche me, basta ipocrisia. 

Claudio Galimberti”

SudatoDinverno
18 Marzo 2025 | 23.31

“Caro Direttore, questo non è più accanimento, io lo chiamo annientamento. Ho raggiunto i trent'anni di daspo e, pur vivendo lontano dalla mia città da ben sette anni (ormai sono quasi otto), questo non è servito perchè si capisse di lasciarmi vivere la mia vita! Anche se sono lontano, patisco la stessa, troppa repressione e l'umiliazione di non avere l'indipendenza, di essere autonomo nel lavoro sta prendendo il sopravvento. Una patente negata da già ben otto anni per mancanza di requisiti morali. Un'attività lavorativa alla quale prestavo la mia opera e grazie alla quale, in sei anni sono rinato, chiusa per farmi ancora del male. Me la stavo godendo troppo, secondo loro... Nel frattempo, in questi anni un arresto assurdo a Terni e due processi inventati, fortunatamente e giustamente chiusi con l'assoluzione piena a Bergamo. Troppa invidia, troppa vigliaccheria, troppa slealtà. E sì che lo ****** Mazinga, al secolo Elio Carminati, mi regalò il suo libro con tanto di dedica: quanto mancano questi uomini. Non finisce mai questa storia, non ha scadenza. Finirà, ne sono pienamente convinto, quando io sarò sfinito in età anziana. Mia sorella Paola, 64 anni, a mia insaputa è andata in Questura più volte nel corso di questi ultimi anni. Colloqui con il questore in persona al, quale, mia sorella Paola chiedeva uno sguardo lungo, uno spiraglio di luce per suo fratello, perché a tutto c'è un limite, con la paura di perdere forza, scoraggiarsi di fronte a un percorso solo repressivo: "A mio fratello non è mai stata data una possibilità". Non è il questore il problema, è il contorno che non va bene, con un giornale che, come disse Don Sergio Colombo, nei miei confronti è stato poco cristiano, ha sempre buttato fango sulla mia persona, sul mio cognome, screditandomi e annientandomi senza se e senza ma e, di conseguenza, anche su tutta la mia famiglia. "Ago e filo nel cassetto per lo scudetto" Intanto, il film "A guardia di una fede" che racconta la mia storia e la storia della Curva Nord atalantina, ha partecipato al Torino Film Festival e merita di essere visto. Non tanto per me, ma per il regista bergamasco Andrea Zambelli che, con un grande lavoro, ha letteralmente conquistando l'interesse e la curiosità del tifo europeo, registrando pienoni in molte sale cinematografiche. Io amo l'Atalanta, ho vissuto e creduto che con lei crescessi anch'io, crescessero il nostro popolo, il senso di appartenenza, la passione, il cuore. L'Atalanta nel bene e nel male. Mio padre, storico romantico di quell'Atalanta che vinse il titolo di campione d'Italia Primavera nel '48-'49, allo stadio Flaminio, contro la Lazio, allenatore il cavalier Ciatto, con TItta Rota, mio padre e gli altri nove, tutti bergamaschi in campo. Mia madre che, in fin di vita mi disse, con voce bassa e faticosa: "Claudio, ti ho messo ago e filo nel cassetto del comodino perché, se io non ce la faccio, lo scudetto sulla maglia te lo cuce la zia Rosanna". Io penso siano le persone a fare la qualità, la differenza: nel lavoro, nella vita, nella famiglia, in qualsiasi campo, Proverò anch'io a fare la differenza e continuerò a mettermi al servizio della mia Atalanta, della Curva, della nostra storia. So bene che andrò incontro molto probabilmente a un prezzo alto da pagare. So anche bene, però, che questo atto d'amore è l'unica pace interiore capace di darmi una grande forza, per resistere e non affliggermi fino alla depressione e alla morte. Voglio lottare, non morire e, se Dio vorrà, smuovere uomini, coscienze di tante e troppe persone che pensano solo a stare sul carro dei più forti e non capiscono come la libertà rimanga la più grande partita da vincere. L'Atalanta è arrivata dov'è arrivata non per caso, ma grazie all'anima, al cuore e alla sensibilità di un popolo nei suoi confronti. "Mai dimenticare da dove veniamo e che cosa eravamo" Nell'anno dello scudetto - perché io ci credo, eccome - questo è l'anno giusto di un percorso societario straordinario, guidato da un tecnico unico che fa la differenza. Quella differenza che, vent'anni fa, ha reso grandi anche noi della Curva nel credere alla salvezza con Delio Rossi, malgrado la squadra fosse scarsa e alla fine retrocesse in Serie B. Oggi più che bisogna mai stare vicino alla squadra, senza dimenticare da dove veniamo e che cosa eravamo, senza essere distruttivi dopo un risultato negativo. Penso a Ivan, Pelé e Giorgio, i miei più grandi amici di sempre che non sono più fianco a me, a noi. Mi ripeto sempre: che cosa potevo fare di più, che cosa potevamo fare di più per loro. Dovevamo capirli. Oggi capite anche me, basta ipocrisia. 

Claudio Galimberti”

SudatoDinverno
18 Marzo 2025 | 23.31

“Caro Direttore, questo non è più accanimento, io lo chiamo annientamento. Ho raggiunto i trent'anni di daspo e, pur vivendo lontano dalla mia città da ben sette anni (ormai sono quasi otto), questo non è servito perchè si capisse di lasciarmi vivere la mia vita! Anche se sono lontano, patisco la stessa, troppa repressione e l'umiliazione di non avere l'indipendenza, di essere autonomo nel lavoro sta prendendo il sopravvento. Una patente negata da già ben otto anni per mancanza di requisiti morali. Un'attività lavorativa alla quale prestavo la mia opera e grazie alla quale, in sei anni sono rinato, chiusa per farmi ancora del male. Me la stavo godendo troppo, secondo loro... Nel frattempo, in questi anni un arresto assurdo a Terni e due processi inventati, fortunatamente e giustamente chiusi con l'assoluzione piena a Bergamo. Troppa invidia, troppa vigliaccheria, troppa slealtà. E sì che lo ****** Mazinga, al secolo Elio Carminati, mi regalò il suo libro con tanto di dedica: quanto mancano questi uomini. Non finisce mai questa storia, non ha scadenza. Finirà, ne sono pienamente convinto, quando io sarò sfinito in età anziana. Mia sorella Paola, 64 anni, a mia insaputa è andata in Questura più volte nel corso di questi ultimi anni. Colloqui con il questore in persona al, quale, mia sorella Paola chiedeva uno sguardo lungo, uno spiraglio di luce per suo fratello, perché a tutto c'è un limite, con la paura di perdere forza, scoraggiarsi di fronte a un percorso solo repressivo: "A mio fratello non è mai stata data una possibilità". Non è il questore il problema, è il contorno che non va bene, con un giornale che, come disse Don Sergio Colombo, nei miei confronti è stato poco cristiano, ha sempre buttato fango sulla mia persona, sul mio cognome, screditandomi e annientandomi senza se e senza ma e, di conseguenza, anche su tutta la mia famiglia. "Ago e filo nel cassetto per lo scudetto" Intanto, il film "A guardia di una fede" che racconta la mia storia e la storia della Curva Nord atalantina, ha partecipato al Torino Film Festival e merita di essere visto. Non tanto per me, ma per il regista bergamasco Andrea Zambelli che, con un grande lavoro, ha letteralmente conquistando l'interesse e la curiosità del tifo europeo, registrando pienoni in molte sale cinematografiche. Io amo l'Atalanta, ho vissuto e creduto che con lei crescessi anch'io, crescessero il nostro popolo, il senso di appartenenza, la passione, il cuore. L'Atalanta nel bene e nel male. Mio padre, storico romantico di quell'Atalanta che vinse il titolo di campione d'Italia Primavera nel '48-'49, allo stadio Flaminio, contro la Lazio, allenatore il cavalier Ciatto, con TItta Rota, mio padre e gli altri nove, tutti bergamaschi in campo. Mia madre che, in fin di vita mi disse, con voce bassa e faticosa: "Claudio, ti ho messo ago e filo nel cassetto del comodino perché, se io non ce la faccio, lo scudetto sulla maglia te lo cuce la zia Rosanna". Io penso siano le persone a fare la qualità, la differenza: nel lavoro, nella vita, nella famiglia, in qualsiasi campo, Proverò anch'io a fare la differenza e continuerò a mettermi al servizio della mia Atalanta, della Curva, della nostra storia. So bene che andrò incontro molto probabilmente a un prezzo alto da pagare. So anche bene, però, che questo atto d'amore è l'unica pace interiore capace di darmi una grande forza, per resistere e non affliggermi fino alla depressione e alla morte. Voglio lottare, non morire e, se Dio vorrà, smuovere uomini, coscienze di tante e troppe persone che pensano solo a stare sul carro dei più forti e non capiscono come la libertà rimanga la più grande partita da vincere. L'Atalanta è arrivata dov'è arrivata non per caso, ma grazie all'anima, al cuore e alla sensibilità di un popolo nei suoi confronti. "Mai dimenticare da dove veniamo e che cosa eravamo" Nell'anno dello scudetto - perché io ci credo, eccome - questo è l'anno giusto di un percorso societario straordinario, guidato da un tecnico unico che fa la differenza. Quella differenza che, vent'anni fa, ha reso grandi anche noi della Curva nel credere alla salvezza con Delio Rossi, malgrado la squadra fosse scarsa e alla fine retrocesse in Serie B. Oggi più che bisogna mai stare vicino alla squadra, senza dimenticare da dove veniamo e che cosa eravamo, senza essere distruttivi dopo un risultato negativo. Penso a Ivan, Pelé e Giorgio, i miei più grandi amici di sempre che non sono più fianco a me, a noi. Mi ripeto sempre: che cosa potevo fare di più, che cosa potevamo fare di più per loro. Dovevamo capirli. Oggi capite anche me, basta ipocrisia. 

Claudio Galimberti”

SudatoDinverno
18 Marzo 2025 | 23.31

“Caro Direttore, questo non è più accanimento, io lo chiamo annientamento. Ho raggiunto i trent'anni di daspo e, pur vivendo lontano dalla mia città da ben sette anni (ormai sono quasi otto), questo non è servito perchè si capisse di lasciarmi vivere la mia vita! Anche se sono lontano, patisco la stessa, troppa repressione e l'umiliazione di non avere l'indipendenza, di essere autonomo nel lavoro sta prendendo il sopravvento. Una patente negata da già ben otto anni per mancanza di requisiti morali. Un'attività lavorativa alla quale prestavo la mia opera e grazie alla quale, in sei anni sono rinato, chiusa per farmi ancora del male. Me la stavo godendo troppo, secondo loro... Nel frattempo, in questi anni un arresto assurdo a Terni e due processi inventati, fortunatamente e giustamente chiusi con l'assoluzione piena a Bergamo. Troppa invidia, troppa vigliaccheria, troppa slealtà. E sì che lo ****** Mazinga, al secolo Elio Carminati, mi regalò il suo libro con tanto di dedica: quanto mancano questi uomini. Non finisce mai questa storia, non ha scadenza. Finirà, ne sono pienamente convinto, quando io sarò sfinito in età anziana. Mia sorella Paola, 64 anni, a mia insaputa è andata in Questura più volte nel corso di questi ultimi anni. Colloqui con il questore in persona al, quale, mia sorella Paola chiedeva uno sguardo lungo, uno spiraglio di luce per suo fratello, perché a tutto c'è un limite, con la paura di perdere forza, scoraggiarsi di fronte a un percorso solo repressivo: "A mio fratello non è mai stata data una possibilità". Non è il questore il problema, è il contorno che non va bene, con un giornale che, come disse Don Sergio Colombo, nei miei confronti è stato poco cristiano, ha sempre buttato fango sulla mia persona, sul mio cognome, screditandomi e annientandomi senza se e senza ma e, di conseguenza, anche su tutta la mia famiglia. "Ago e filo nel cassetto per lo scudetto" Intanto, il film "A guardia di una fede" che racconta la mia storia e la storia della Curva Nord atalantina, ha partecipato al Torino Film Festival e merita di essere visto. Non tanto per me, ma per il regista bergamasco Andrea Zambelli che, con un grande lavoro, ha letteralmente conquistando l'interesse e la curiosità del tifo europeo, registrando pienoni in molte sale cinematografiche. Io amo l'Atalanta, ho vissuto e creduto che con lei crescessi anch'io, crescessero il nostro popolo, il senso di appartenenza, la passione, il cuore. L'Atalanta nel bene e nel male. Mio padre, storico romantico di quell'Atalanta che vinse il titolo di campione d'Italia Primavera nel '48-'49, allo stadio Flaminio, contro la Lazio, allenatore il cavalier Ciatto, con TItta Rota, mio padre e gli altri nove, tutti bergamaschi in campo. Mia madre che, in fin di vita mi disse, con voce bassa e faticosa: "Claudio, ti ho messo ago e filo nel cassetto del comodino perché, se io non ce la faccio, lo scudetto sulla maglia te lo cuce la zia Rosanna". Io penso siano le persone a fare la qualità, la differenza: nel lavoro, nella vita, nella famiglia, in qualsiasi campo, Proverò anch'io a fare la differenza e continuerò a mettermi al servizio della mia Atalanta, della Curva, della nostra storia. So bene che andrò incontro molto probabilmente a un prezzo alto da pagare. So anche bene, però, che questo atto d'amore è l'unica pace interiore capace di darmi una grande forza, per resistere e non affliggermi fino alla depressione e alla morte. Voglio lottare, non morire e, se Dio vorrà, smuovere uomini, coscienze di tante e troppe persone che pensano solo a stare sul carro dei più forti e non capiscono come la libertà rimanga la più grande partita da vincere. L'Atalanta è arrivata dov'è arrivata non per caso, ma grazie all'anima, al cuore e alla sensibilità di un popolo nei suoi confronti. "Mai dimenticare da dove veniamo e che cosa eravamo" Nell'anno dello scudetto - perché io ci credo, eccome - questo è l'anno giusto di un percorso societario straordinario, guidato da un tecnico unico che fa la differenza. Quella differenza che, vent'anni fa, ha reso grandi anche noi della Curva nel credere alla salvezza con Delio Rossi, malgrado la squadra fosse scarsa e alla fine retrocesse in Serie B. Oggi più che bisogna mai stare vicino alla squadra, senza dimenticare da dove veniamo e che cosa eravamo, senza essere distruttivi dopo un risultato negativo. Penso a Ivan, Pelé e Giorgio, i miei più grandi amici di sempre che non sono più fianco a me, a noi. Mi ripeto sempre: che cosa potevo fare di più, che cosa potevamo fare di più per loro. Dovevamo capirli. Oggi capite anche me, basta ipocrisia. 

Claudio Galimberti”

albisarnico
18 Marzo 2025 | 22.01
Pablo79
18 Marzo 2025 | 21.09
Claudiopaul70
18 Marzo 2025 | 20.40
Gian71
18 Marzo 2025 | 19.17