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Condivido quasi tutto dell’intervento, tranne una frase: “L’Atalanta non si discute, si ama.” Io penso che l’Atalanta si possa - e si debba - discutere. Ma ad una condizione: che le critiche nascano da un ragionamento serio, da un’analisi lucida, e non da uno sfogo compulsivo, rabbioso, figlio dell’umore del momento o del solito effetto branco.

Perché oggi si va avanti a slogan, a frasi fatte. Chi urla più forte sembra aver ragione, anche se spesso non ha nemmeno capito bene cosa sta criticando.

A Verona Juric è da molti visto come noi vedevamo Gasperini. E se la memoria non mi tradisce, dopo quello 0-2 del 2020 a Bergamo, ricordo commenti entusiasti: “Questo è l’erede naturale del Gasp.” Cambiare idea è legittimo, ci mancherebbe. Ma almeno evitiamo il revisionismo emotivo, e proviamo ad argomentare con un minimo di coerenza.

C’era chi auspicava un allenatore con il culto del lavoro: su questo Juric è una garanzia. E in più ha una qualità che tutti dovremmo riconoscergli: il coraggio. Perché prendere l’eredità del Gasp non è roba da poco. Non lo sarebbe nemmeno per Guardiola, Klopp o Emery, giusto per citare quelli che molti sognavano. E a proposito: nemmeno l’Inter, che fino a un mese fa sfiorava il triplete, ha preso un “nome da copertina”. Perché? Forse perché non è sempre una questione di etichette, ma di progetto, fiducia, competenza. E noi, che in nove anni abbiamo vissuto qualcosa di irripetibile, dovremmo saperlo meglio di chiunque altro. La società ha sbagliato davvero poco.

Una cosa è soffrire per l’addio di Gasperini (e io, davvero, lo sto ancora metabolizzando), un’altra è rovesciare fango gratuito su uno che non è nemmeno ancora sceso dalla macchina per entrare a Zingonia. Le critiche più feroci, diciamolo, derivano dai risultati dell’ultimo anno, dove Juric è subentrato in corsa in entrambe le esperienze. Ma mettere alla gogna uno prima ancora che cominci a lavorare, quello no. Quello è solo pregiudizio travestito da opinione.

E poi ci sono i furbi da tastiera. Quelli che scrivono la frase magica: “Speriamo di sbagliarci…” Così, se va male, diranno “l’avevamo detto”; se va bene, si salveranno con quel mezzo passo indietro che li tiene al sicuro.

Ma in fondo il calcio è solo lo specchio del nostro tempo. Qui come altrove, si parla prima, si pensa (forse) dopo. E se si sbaglia? Pazienza: l’importante è averlo detto per primi, e ad alta voce. Anche se non si aveva nulla da dire.

Oscar1962
08 Giugno 2025 | 14.02
last1967
08 Giugno 2025 | 13.53