06/04/2024 | 10.30
28

AMARCORD MALINES

(SenzaMalizia ci ha regalato questo bel pezzo a 36 anni esatti dalla semifinale d'andata della Coppa delle Coppe Malines - Atalanta del 6 aprile 1988)

 

« Se conosci te stesso ma non il nemico, per ogni vittoria ottenuta subirai anche una sconfitta » (Sun Tzu)

Senza avversari il calcio è nulla. Senza contendenti e senza sfide ogni squadra, ogni tifoseria sarebbero private della loro stessa identità, perchè è solo negli antagonisti e negli scontri contro di essi che ci si puo’ specchiare. La trasferta è certamente un momento di confronto sportivo, ma è anche un viaggio dentro il feudo rivale per annusare l’aria che gli altri tifosi respirano ogni giorno, per assaggiare il cibo di cui essi si nutrono, per tracciare i confini della loro passione.
Per un atalantino della mia generazione il KV Mechelen non potrà mai essere una squadra qualunque. E’ innegabile che negli ultimi anni ci siamo misurati con club ben piu’ blasonati: Real Madrid, Liverpool, ManCity e ManUnited, PSG, Ajax, Borussia Dortmund… Tuttavia, con il dovuto rispetto, molti di questi squadroni è come se ci fossero un po’ scivolati di dosso: il ricordo delle gare rimane ovviamente indelebile, ma resta anche la sensazione di aver incontrato degli avversari senza volto, di esserci confrontati con un caravanserraglio di celebrità sportive prive di autentico appiglio ad un territorio o ad un popolo. Squadre di tutti ma al contempo squadre di nessuno. Il KV Mechelen invece, anche se legato all’amaro ricordo della prima bruciante eliminazione internazionale nella storia della Dea, resterà sempre parte insostituibile della nostra identità atalantina. Mi verrebbe da definirlo il nostro «avversario del cuore».
Ad un primo sguardo, la compagine belga parrebbe incarnare quanto l’Atalanta ha sempre aspirato ma non è mai – o quantomeno fino ad ora - riuscita ad essere. Emanazione di una città di neppure 90.000 anime, il Club fiammingo annovera infatti nel suo ricco palmares ben quattro titoli nazionali, due coppe del Belgio, la storica coppa delle coppe del 1988 e nel medesimo anno la supercoppa UEFA. Della squadra che conquisto’ quei trofei europei serbo ricordi abbastanza nitidi per via dalle due gare contro l’Atalanta: rammento parecchi olandesi negli organici, dal tecnico Aad De Mos al roccioso stopper Rutjes sino ad Erwin Koeman – fratello maggiore del piu’ celebre Ronald. Ma anche numerosi giocatori belgi di valore, tra cui si distingueva il brevilineo ed agilissimo portiere Preud’homme, per lungo tempo colonna anche dei «Diables Rouges». Ovviamente l’eliminazione dell’Atalanta in semifinale fu un boccone assai duro da mandar giu’, tuttavia nella finale contro l’Ajax mi venne spontaneo parteggiare per il piccolo club del Brabante, e nella loro vittoria mi parve tutto sommato di poter cogliere anche qualche riflesso nerazzurro.
In realtà la storia del KV Mechelen non è tutta rose e fiori. A fine 2002, dopo alcune annate di gestione dissennata, la Società cade in insolvenza e viene messa in liquidazione. I tifosi cercano allora di organizzare un disperato salvataggio in forma di azionariato popolare, ma la squadra retrocede dopo essere stata costretta a terminare il torneo schierando riserve e ragazzi delle giovanili. Le finanze del club sono cosi’ malmesse da non potersi iscrivere alla seconda divisione, e si deve allora ripartire dagli inferi della terza serie. Nel corso di qualche anno il Club, facendo leva soprattutto sui talenti del proprio vivavio, riesce comunque a risalire nel massimo campionato. Ma le vicissitudini non sono ancora terminate : nel 2019 il KV Mechelen è retrocesso d’ufficio ed estromesso dalle competizioni europee dalla giustizia sportiva belga per aver truccato l’esito di almeno un match nel torneo 2017/18 al fine di assicurarsi la salvezza. La società riesce a farla franca in extremis grazie ad un verdetto d’appello favorevole per un vizio formale del procedimento, ma di qui a cancellare la macchia ce ne corre parecchio. Non è certo solo in Danimarca che c’è del marcio…
Negli ultimi campionati le fortune sportive del KV Mechelen sono state altalenanti. Due anni fa, dopo un discreto settimo posto nella Jupiler League al termine della stagione regolare, il Club è riuscito a qualficarsi per i play-off nazionali per l’accesso alla Conference League piazzandosi tuttavia in coda al relativo girone. La scorsa annata non ha fruttato nulla di piu’ di una salvezza senza troppi grattacapi. Quest’anno, dopo un avvio assai stentato, la squadra fiamminga ha risalito la classifica con buon impeto mancando per un soffio la qualificazione per i playoff della Jupiler, ma ha comunque conquistato di nuovo l’accesso al mini-torneo che mette in palio un posto nella prossima Conference League. Chissà che non sia la volta buona per rivedere i giallorossi di Malines in una competizione europea ad oltre trent’anni dall’ultima partecipazione.

In viaggio con trentasei anni di ritardo
A Mechelen nel 1988 non ero potuto andare. Da studente universitario senza un quattrino in tasca e con genitori poco inclini ad accondiscendere quella che sarebbe parsa un’incomprensibile frivolezza, mi guardai bene dal batter cassa rassegnandomi a seguire la semifinale di Coppa delle Coppe in televisione. Ma ormai da diversi anni abito ad un paio di centinaia di chilometri dalla piccola città belga, e piu’ di una volta mi sono sorpreso a fantasticare il viaggio che non ero riuscito ad effettuare in gioventu’. A darmi la spinta finale per compiere questa trasferta “sbagliata” nei tempi – con ben trentasei anni di ritardo – e nei protagonisti – ovviamente mancherà l’Atalanta - è stato Bart, un conoscente originario delle Fiandre che mi capita di incrociare in palestra un paio di volte a settimana.
Bart è malato di calcio, come del resto non puo’ che essere chi riesce ad appassionarsi alla Jupiler League. Da tifoso del Club Brugge – la squadra da cui proviene De Ketelaere – è costantemente aggiornato sull’Atalanta, e mi chiede spesso come ha giocato il principino di Bruges. Ma segue da vicino tutte le squadre della regione fiamminga, e ogni volta che ci incontriamo ha qualche aneddoto da riportare su almeno due terzi della massima divisione Belga. Mechelen la conosce piuttosto bene perché si trova a breve distanza dalla cittadina dove è nato, e ai tempi dell’università vi faceva regolarmente scalo tornando in treno da Lovanio. Mi racconta di quando, le gelide sere dei venerdi’ d’inverno di tanti anni fa, in attesa della coincidenza sulla via del rientro si rintanava in qualche bar dalle parti della stazione ferroviaria per riscaldarsi un po’ e, se in programma c’era un incontro tra i giallorossi di casa e l’Anderlecht o l’Anversa, gli capitava regolarmente di essere preso in mezzo alle scaramucce tra ultrà delle opposte fazioni. Ma curiosamente anche la rivalità con l’altra compagine cittadina – il Racing Mechelen, una sorta di clone locale dell’Albinoleffe – pare sia da sempre infuocata quanto quella tra due grandi club metropolitani.
La mia curiosità per come Mechelen viva oggi la sua passione per il calcio si è fatta cosi’ ancora piu’ incalzante. Qualche settimana fa decido quindi di raggiungere la piccola città del Brabante per assistere all’ultimo match casalingo della stagione regolare dei giallorossi, in programma la sera di venerdi’ 8 marzo all’AFAS Stadion contro il KVC Westerlo. L’organizzazione di quest’insolita trasferta è stata piuttosto semplice. Per 22 euro ho acquistato direttamente dal sito internet della società un biglietto per l’equivalente della nostra Curva Morosini (senza alcuna commissione di intermediazione e con il solo - ma non trascurabile - incomodo di dover effettuare la procedura in lingua fiamminga, che è l’unica ammessa dalla piattaforma web del club). Pur essendo assai graziosa, Mechelen non esercita certo il richiamo turistico di centri piu’ noti quali Bruges e Gand, e dunque per poche decine di euro riesco a trovare un albergo piu’ che passabile per trascorrere la notte.
A bordo delle ferrovie belghe ci si deve armare di parecchia pazienza. Solo centottanta chilometri separano Bruxelles da casa mia a Lussemburgo, ma per un lungo tratto la linea serpeggia pigramente tra i rilievi delle Ardenne, e ci vogliono tre ore buone per raggiungere la capitale del Regno da quella del Granducato. Affronto comunque il viaggio con ottima disposizione d’animo. Del resto, come sosteneva Tiziano Terzani, il viaggiatore deve darsi tempo. Ho persino la fortuna di trovare uno dei rari pomeriggi di sole che la stagione invernale regala da queste parti. Il treno effettua numerose fermate in piccole cittadine della Vallonia, nelle quali risaltano la pietra grigia dei muri e l’ardesia dei ripidi spioventi. E’ un susseguirsi di dolci toponimi gallici: Arlon, Libramont, Rochefort… Presto la campagna ondulata e pittorica della provincia di Lussemburgo inizia a corrugarsi, e ci si addentra nella fitta foresta delle Ardenne dove regnano l’abete e la betulla.
La foresta belga è « diversa » - spiega un amico che vive sul versante francese delle Ardenne, senza riuscire tuttavia a precisare chiaramente il perché. Nei boschi del Belgio – aggiunge con certa gravità - ancor oggi puo’ facilmente capitare di perdersi. E’ una foresta ormai nordica, carica di mistero e di inquietudini, assai distante da quella antropizzata della civiltà latina. Ma arrivando a Namur, annunciata dall’ imponente mole della sua cittadella fortificata, il paesaggio si apre di nuovo ai rassicuranti spazi della pianura. La mutata architettura dei centri abitati – adesso tra gli edifici prevale il granato del mattone - scandisce l’avvicinamento a Bruxelles. Se prima l’altoparlante del treno gracchiava le fermate dando preminenza al francese, da qui in avanti è piuttosto chiaro che la lingua del padrone sia divenuta il fiammingo. A nord della capitale il francese conviene addirittura scordarselo – me lo hanno suggerito, forse esagerando, diversi conoscenti della Vallonia – perché parlandolo si rischia di venire trattati in malo modo.
Da Bruxelles a Mechelen il tragitto è assai breve. Mi ricorda un po’ quello che in treno conduce da Milano a Bergamo. Dapprima si attraversano la tristi periferie della metropoli, con lo sguardo che insegue i riflessi cromati dell’Atomium e le guglie neogotiche della chiesa di Nostra Signora di Laeken. Quindi la ferrovia si infila in un grigio dedalo di capannoni industriali, inframezzati da qualche raro tratto di campagna.
Giunto a Mechelen, mi restano un paio d’ore prima che inizi il match. Dall’hotel in zona stazione faccio due passi in direzione del centro città. Mi fermo a mangiare un boccone lungo l’Ijzerenleen – un ampio viale contiguo alla Piazza del Mercato che richiama un po’ il nostro Sentierone. Dopo anni, finalmente riesco ad assaggiare delle patate fritte - autentico vanto della cucina belga - preparate come Dio comanda. Sono peraltro colpito dalle numerose sciarpe e maglie giallorosse tra gli avventori del ristorante. Incamminandomi verso lo stadio ho ancora tempo per una Jupiler in uno dei locali che si affacciano sulla splendida Grote Markt Platz. Il bar è assai frequentato ed animato, ed anche qui pullulano i colori della squadra di casa. Indosso il mio cappellino dell’Atalanta sperando che qualcuno lo riconosca e venga invogliato a scambiare qualche chiacchera, ma qui la folla è probabilmente troppo giovane per serbare memoria del lontano 1988.
Mi rimetto allora in marcia verso l’AFAS Stadion, che si trova nella periferia settentrionale della città. Lungo il percorso mi superano, quasi a folate, nugoli di tifosi in bicicletta. Mi sarei atteso un’affluenza di pubblico piuttosto modesta, dato che l’incontro cade di venerdi’ sera e l’avversario non è certamente di grande richiamo. Ma alla fine il numero di spettatori sfiora addirittura il tutto esaurito (16.225 su una capienza totale di 16.672). Il KV Mechelen è ancora in lizza per l’ammissione ai playoff, e l’entusiasmo in città è palpabile. Nonostante l’affollamento, l’accesso all’arena di gioco è assai fluido e ordinato. Gli steward sono pacati e cortesi, e persino i poliziotti rispondono con garbo alle mie richieste di informazioni. Intorno all’impianto gironzola strombettando la fanfara ufficiale del Club, che assieme ai numerosi chioschi che vendono birra e salsicce crea una certa atmosfera da fiera strapaesana - forse naive ma tutto sommato simpatica.

Lo stadio dietro la caserma
Quando l’Atalanta vi gioco’ nell’1988, l’attuale AFAS Stadion si chiamava «Achter de Kazerne» (in fiammingo «dietro la caserma» perchè ubicato alle spalle di un insediamento militare). Rinnovato tra il 2015 ed il 2020, l’impianto risale addirittura al 1904, ma dopo la recente trasformazione delle vecchie sembianze conserva poco o nulla. Mi accomodo nella “Tribune 4” immediatamente prima del fischio di inizio, e mi resta giusto il tempo di gettare uno sguardo d’insieme agli spalti. Lo stadio presenta una struttura singolarmente asimmetrica, quasi sbilenca. E la curva dove ho preso posto ha curiosamente mantenuto le dimensioni originarie, molto piu’ contenute rispetto a quelle degli altri settori. Gli ultrà di casa siedono giusto opposti a me, mentre i tifosi ospiti sono confinati nella sezione terminale di quella che corrisponde alla nostra tribuna Rinascimento. Westerlo è un centro di sole 20.000 anime a un tiro di schioppo da Mechelen, e la rappresentanza al seguito della squadra è nutrita e piuttosto rumorosa. Tra i sostenitori forestieri sventolano otto bandieroni che recano impressa su ciascuno di essi una delle lettere che compongono il nome della città di provenienza.
Il settore dove mi trovo è invece popolato prevalentemente da famiglie con frotte di giovanissimi tifosi. Alle mie spalle siede un solitario urlatore sulla cinquantina, che fa incessantemente eco ai cori della curva prospiciente. L’andirivieni di salsicce e birre – sicuramente non analcoliche, al contrario di quelle mestamente servite nei nostri impianti - e’ ininterrotto nel corso dell’intero match. E del resto qualche sorta di cordiale è assai opportuna per riuscire a reggere il modestissimo livello tecnico del gioco. In campo è schierata una vera e propria legione straniera di vagabondi del pallone, molti dei quali dal passaporto calcisticamente esotico. Tra le molteplici nazionalità presenti sul terreno di gioco conto - oltre a parecchi turchi - ben due statunitensi, un australiano e persino un indonesiano. Nonostante i continui errori di misura nel fraseggio, il pubblico difficilmente si scompone e raramente rumoreggia. E’ evidente che il KV Mechelen abbia dalla sua maggior esperienza, e perdippiu’ in panchina si ritrova quella vecchia volpe di Besnik Hasi (già all’Anderlecht, Legia Varsavia ed Olimpiakos). Il 3-4-3 con cui si dispone richiama solo sulla carta quello di Gasperini, e la tattica è chiaramente quella di concedere il possesso della palla agli avversari per poi infilarli di rimessa. Dal lato suo il Westerlo è una compagine assai giovane, e cade fin troppo ingenuamente nel trabocchetto teso dalla squadra di casa. Dopo soli 11 minuti i giallorossi sono già vantaggio con una rete di tacco dello svedese (con radici tunisine) Mrabti. Ancora Mrabti raddoppia poco prima dello scadere del primo tempo risolvendo una mischia in area.
Durante l’intervallo finalmente qualcuno riconosce lo stemma dell’Atalanta cucito sul mio berretto. Combinazione del caso, si tratta proprio dell’urlatore solitario che ha tormentato i miei timpani per tutta la prima frazione di gioco. Vuole anzitutto accertarsi se davvero vengo da Bergamo, e quindi mi racconta di aver partecipato assieme alla madre alla storica transferta in Italia del 1988 per la semifinale di ritorno di Coppa delle Coppe. A Bergamo dice addirittura di essere tornato qualche anno fa in una sorta di pellegrinaggio, e a riprova mi mostra una foto che lo ritrae dinnanzi alle orribili casematte che fungevano da biglietteria all’esterno del Comunale. E’ piuttosto evidente che il mio interlocutore non sia del tutto sobrio, ma mi rincuora comunque aver potuto constatare che a Mechelen non si siano del tutto scordati di noi.
Il secondo tempo non aggiunge molto alla partita. I padroni di casa mettono a segno la terza marcatura ad opera del confusionario tedesco Pflücke, e sul finale di gara gli ospiti realizzano la rete della bandiera con un gran tiro dalla distanza dell’australiano Bos (probabilmente l’unico giovane in campo con qualche parvenza di talento, anche se troppo svagato in copertura per un laterale difensivo). Al termine dell’incontro l’atmosfera è prevedibilmente festante, e la singolare deriva folk dell’ambiente viene vieppiu’ sottolineata a suon di fisarmonica e clarinetto dagli altoparlanti dello stadio.
All’uscita mi colpisce la distesa di biciclette parcheggiate nelle adiacenze dell’impianto, che in capo a breve riprendono a sfrecciarmi accanto. Ripassando per il centro città sono piacevolmente sorpreso dai numerosi locali ancora affollati nonostante l’ora relativamente tarda, che danno la misura di una comunità tutt’altro che sonnacchiosa. Prima del rientro a Lussemburgo, la mattina successiva mi regala ancora qualche raggio di sole per riempire gli occhi della Piazza del Mercato, stavolta popolata di bancarelle, e dell’imponente cattedrale.
Di Mechelen portero’ con me il ricordo di una città che pare legata al suo club da un amore profondo e capillare, cosi’ come lo è Bergamo. Difficilmente potrà sbiadirsi l’immagine delle frotte di tifosi che s’involano in bicicletta verso lo stadio. In qualche modo mi sono persino sforzato di empatizzare con i giallorossi locali, ma non ha proprio funzionato. Saro’ forse ormai sordo al richiamo di casa, ma la squadra per cui riesco ad emozionarmi resterà per sempre una sola.

 

SenzaMalizia









By staff
28 commenti