31/12/2016 | 16.35
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Calcio cannibale

Ormai è assodato: l’Italia non ha mai annoverato così tanti canali televisivi dedicati a ogni genere di sport. Ce n’è per tutti i gusti, non c’è che dire.
E pertanto fa sicuramente specie notare la controtendenza che ha preso piede da qualche anno: mai i campioni delle varie discipline, escluso il calcio, sono stati così poco popolari. Il pallone sembra aver ingurgitato ogni interesse per il dettaglio, per lo sportivo nella sua individualità, per l’atmosfera dietro le quinte della gara. Il mito del pallone si è fagocitato tutto, a discapito degli altri sport, anche se in tv si vede molto più sci o tennis di un tempo. È sufficiente fare un salto indietro di qualche decennio per comprendere quanto sia aberrante la desertificazione posta in essere dal calcio: negli anni Sessanta, Ottanta e primi Novanta, i grandi centravanti o i mitici numeri 10 erano veri dei dell’Olimpo. Tuttavia, se al pubblico femminile, storicamente ed anche stereotipamente meno interessato al culto sportivo, avessimo chiesto il nome di altri eroi sportivi, avrebbe facilmente enumerato: Gustav Thoeni, Piero Gros e poi Alberto Tomba e Debora Compagnoni nello sci; Felice Gimondi, Francesco Moser, Giuseppe Saronni, Gianni Bugno o Claudio Chiappucci nel ciclismo; Andrea Lucchetta nella pallavolo; Nino Benvenuti e Patrizio Oliva nel pugilato; Klaus Dibiasi e Giorgio Cagnotto nei tuffi; Novella Calligaris nel nuoto. E per la tipica casalinga dei tempi passati, questi erano sicuramente nomi e volti familiari, in un boquet televisivo costituito di pochi canali e sparuti eventi sportivi in tv. Ponendoci la stessa domanda al presente, è sicuramente difficile credere che una mamma a tempo pieno del 2017 rammenti la fisionomia facciale di Vincenzo Nibali. L’atletica leggera azzurra sta attraversando una delle crisi più profonde di sempre, tra medaglie che fanno sentire la loro assenza da tempo immemore e campioni poco amati e seguiti dal pubblico italiano (l’ultimo grande, e nemmeno non così popolare, è stato Stefano Baldini, oro nella maratona di Atene 2004). Il tennis, seguito sicuramente in tv a dosi massicce, non presenta campioni popolari dai tempi di Roberta Vinci: troppi nomi e poca continuità di risultati ad altissimi livelli sono un mix letale che conduce inevitabilmente all’impopolarità. Il basket è sempre più lontano dall’orizzonte del grande pubblico (le partite della Nazionale o delle squadre di club in Europa erano regolarmente trasmesse dalla Rai, ora invece vanno quasi sempre in pay tv), i talenti italiani più promettenti sono finiti a giocare nella Nba statunitense, e di nomi popolari, alla classica casalinga, non verrebbe in mente alcuno. Diciamo che si ritira fuori dal bagaglio mnemonico qualche nome solo sotto le Olimpiadi (Clemente Russo o Roberto Cammarelle) e poi, a festa finita, torna tutto nel dimenticatoio. Nella stessa Formula Uno, che comunque non ha vantato grandissimi campioni italiani negli 50 anni, non si vede neppure un pilota tricolore al via (l’ultimo è stato Jarno Trulli, e parliamo del 2011). Ed è sicuramente impressionante confrontare tanta pochezza di varietà con il panorama degli anni ’70-80, quando comunque molti analisti già puntavano il dito contro l’eccessivo peso del pallone. Ora i campioni più popolari, al netto dei calciatori, sono Valentino Rossi (ed è inutile sottolineare che, quando lascerà, il MotoGp subirà un crollo di interesse), Federica Pellegrini, star incomparabile del nuoto, e Tania Cagnotto, che si è ritirata dalle scene dopo il bronzo di Rio. E sono in molti a sospettare che il gran numero di pubblicità, di cui questi sportivi sono protagonisti, abbiano costituito un ottimo trampolino per sostenere e incoraggiare la loro popolarità, come se la performance sportiva degli stessi non potesse, da sola, accattivare ugualmente le simpatie del pubblico italiano.

newslinet.it

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