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Da ultimouomo.com: Gomez è ancora insostituibile per l’Atalanta




Anche contro la Juventus, il “Papu” ha mostrato qualità uniche tra i bergamaschi.





Dopo pochi minuti dal suo ingresso in campo Gomez comincia litigare con la fascia da capitano. Gli scivola, la perde e qualcuno potrebbe pensare che inconsapevolmente stia mostrando la difficoltà che ha, dopo tutto quello che è successo, a ricoprire il suo ruolo tecnico e simbolico. Lo scrittore belga Jean-Philippe Toussaint notava una cosa simile per Zinedine Zidane, la sera della finale di Berlino, poco prima della celebre testata che lo avrebbe escluso dagli ultimi momenti della sua ultima partita. Eppure Alejandro Gomez (l’utilizzo del suo vero nome mi sembra più appropriato, in questo contesto poco affettivo, rispetto al soprannome “Papu” che usava con amore sua madre quando era piccolo) nel messaggio diffuso via Instagram con cui ha confermato una rottura profonda con l’allenatore si firmava “il vostro capitano”.

 

Il conflitto deve essere scorticante per lui che con Gasperini ha trovato la propria felicità calcistica, che ha investito in una palestra a Bergamo e già due anni fa diceva di volerci vivere una volta smesso di giocare, ma nonostante ciò quando è entrato in campo contro la Juventus, dopo poco più di cinquanta minuti di gioco, ha visibilmente migliorato l’Atalanta. Non solo ha recuperato il gol di svantaggio che avevano, fissando il punteggio sull’1-1 con cui sarebbe finita la partita, ma da quel momento la squadra ha risalito meglio il campo e gestito con più tranquillità e sicurezza il possesso del pallone. E questo è successo anche se magari Gomez non era al suo meglio, al di là della fascia da capitano che si rifiutava di stare al suo braccio – o che il suo braccio si rifiutava di indossare.

 

Nel capolavoro di Akira Kurosawa Rashomon, girato più di mezzo secolo fa, la morte di un samurai era scomposta e relativizzata nelle versioni dei fatti dei diversi testimoni: la verità, ammesso che esista, rimane sullo sfondo dello spettatore, sempre inafferrabile. Nessuno può sapere come sono andate veramente le cose tra Gomez e Gasperini (tranne pochissimi, oltre i due diretti interessati) e nessuna ricostruzione dei fatti, per quanto accurata, può aiutare a schierarsi con l’uno o con l’altro, o a capire come stiano vivendo la loro relazione in questo momento. Quello che resta è una situazione paradossale – come ha sottolineato James Horncastle: l’Atalanta è riuscita a resistere alle pressioni del mercato vendendo giocatori marginali al progetto (Kulusevski, Diallo, Castagne) mantenendo intatta la propria struttura fondante, e adesso deve privarsi del proprio giocatore più importante per ragioni “personali” – e la gestione da parte del tecnico del proprio miglior giocatore.

 

Se Gasperini ha alternato versioni più o meno dure di se stesso (facendo fuori Gomez dai convocati contro l’Udinese, poi facendogli giocare tutta la partita con l’Ajax, poi di nuovo facendogli guardare tutta quella con la Fiorentina e parte di quella con la Juve) lasciando forse uno spiraglio di apertura, la partita con la Juventus non è stata esemplare solo del modo in cui Gomez cambia l’Atalanta quando è in campo ma anche delle questioni tattiche che, pare, siano all’origine del conflitto.

 

Dopo la vittoria con la Fiorentina dello scorso fine settimana, Gasperini ha giustificato i loro problemi dicendo: «Dopo due anni il ruolo del “Papu” tuttocampista diventa difficile da proporre, non per me, ma per la squadra. Alla base ci deve sempre essere la fiducia, la disponibilità, altrimenti diventa tutto più complicato». E quasi automaticamente le sue parole sono state interpretate nel contesto delle recenti convocazioni di Gomez con la Nazionale argentina, arrivando alla conclusione che sia troppo stanco a causa dei viaggi intercontinentali. Due settimane prima c’era stata l’insubordinazione di Gomez che, secondo quanto riportato dai media, durante il primo tempo con il Midtjylland si sarebbe rifiutato di cambiare fascia, da sinistra a destra, spingendo Gasperini alla sostituzione.

 

Possibile che sia questo il problema, per un coltellino svizzero come Gomez abituato a giocare in una squadra duttile, fluida e che cambia modulo di partita in partita, se non all’interno della stessa?







































Questo pezzo sarà decorato da una serie di diapositive il cui scopo è scomporre le abilità del “Papu” pixel via pixel. Per esempio, qui c’è una fenomenale protezione del pallone vista contro l’Ajax che comincia con un controllo orientato che praticamente è un dribbling.


 

In realtà, da inizio stagione Gomez ha quasi sempre giocato nella sua solita posizione sulla trequarti, dietro alle due punte (3-4-1-2) o leggermente decentrato a sinistra (3-4-2-1). Anche quando Gasperini ha provato soluzioni alternative (il 4-2-3-1 visto contro il Napoli e all’andata contro il Liverpool, due partite che l’Atalanta ha perso male; l’inedito 3-4-3 con rombo a centrocampo visto contro il Crotone; il 4-2-1-3 a specchio visto nel finale con l’Inter, dove Gomez ha giocato dietro a tre punte, pressando Brozovic e abbassandosi a prendere palla dalla difesa) il “Papu” comunque ha mantenuto la sua centralità nel gioco dell’Atalanta, anche quando partiva da sinistra o seconda punta.

 

Lo scorso settembre, quando è stato premiato come miglior giocatore del mese, Federico Aqué aveva raccontato come nel corso della partita con la Lazio abbia di fatto cominciato da esterno sinistro e, dopo dieci minuti, abbia invertito la posizione con Pasalic, giocando centrale a centrocampo per aiutare l’uscita del pallone dalla difesa. Salvo le diverse interpretazioni dovute all’avversario, e quindi al tipo di pressione che l’Atalanta voleva portare, al momento della gara o al suo stato di forma, non è chiaro in che senso Gomez sia stato, o debba essere, meno tuttocampista del solito. Né in che modo non sia stato disponibile.

 

Semmai va notato come, tranne alcune eccezioni (con la Sampdoria, con l’Inter e al ritorno con Liverpool e Ajax), Gomez è sempre stato sostituito. Si spiega in parte con la ricchezza di opzioni offensive a disposizione di Gasperini quest’anno, con la densità del calendario e l’età di Gomez che in alcune partite si è fatta sentire dopo un’ora di gioco; ma alcune sostituzioni sono arrivate anche a fine primo tempo o poco dopo (con Napoli, Spezia, Crotone e nella partita citata con il Midtjylland). È chiaro che Gomez non corre sempre allo stesso modo, ma se dopo un inizio strepitoso (5 gol e 2 assist nelle prime cinque partite) ha avuto un calo offensivo (solo 2 assist nelle successive dieci) è vero anche che questo calo è andato di pari passo con quello dell’Atalanta tutta, che è passata da fare 17 gol nelle prime cinque a segnarne una media di uno a partita nelle successive undici.

 

Anzi, a dir la verità nelle partite recenti più importanti Gasperini sembra aver fatto in modo di sfruttare al meglio e il più a lungo possibile il “Papu”: in quelle di ritorno con Liverpool e Ajax, ad esempio, in cui ha giocato da attaccante anche per l’indisponibilità totale o parziale di Zapata e Muriel, Gasperini gli ha messo dietro Pessina che ne compensava i movimenti incontro spingendosi in profondità al suo posto. Se il problema è lo stato di forma di Gomez questo tipo di soluzioni sembrano sufficienti per farlo rendere al meglio quando serve, ma insomma non sembra niente di drammatico.



















Nell’assist per Ilicic contro il Liverpool c’è una scelta importante di Gomez, che prima di crossare la scambia col compagno vicino facendo avanzare di qualche metro la difesa: la differenza è sottile ma essenziale, perché nel primo caso i difensori guardavano verso la palla, nel secondo caso stanno guardando verso la porta. Chiedete a un difensore come si difende meglio e capirete l’importanza di quei pochi secondi di attesa.


 

Contro la Juventus il “Papu” è entrato poco prima dell’ora di gioco prendendo il posto di Pessina dietro Zapata e Malinovski, nuovamente al centro, quindi. La prima palla che entra in suo possesso, dopo che Morata ha sbagliato un controllo spalle alla porta, la conduce dall’interno della propria metà campo fino al limite dell’area di rigore avversaria, approfittando della distanza tra McKennie e Bentancur. Poi però aspetta il rientro di McKennie che ha un livello fisico molto alto e, complice anche il terreno non perfetto, perde palla. Poco dopo la palla torna nella sua zone è Gomez andato va in difficoltà fisica nella morsa McKennie-Bentancur. Dal suo contrasto, però, esce la palla che Freuler porta fino al limite dell’area e calcia sotto la traversa per il gol dell’1-1.

 

Da quel momento Gomez ha giocato con più attenzione, senza fare niente di eclatante ma rendendosi sempre disponibile per i compagni, alternando come al suo solito gioco di prima e possesso prolungato, passaggi corti e lunghi. E forse una delle sue qualità più sottovalutate è proprio la capacità di smarcarsi, di farsi vedere dal compagno con una linea di passaggio semplice, per poi giocare lui, in caso, quello più complicato.

 

Per questo, con venti minuti di gioco in meno di Pessina, a fine partita Gomez ha effettuato più passaggi (37-34). La differenza tra i due Gasperini non l’ha scoperta certo con questa partita, Pessina è prima di tutto uno strumento tattico mentre Gomez è un playmaker. O meglio, un playmaker offensivo trasformato in un playmaker a tutto campo. La differenza nella conservazione del pallone passa anche da cose come i dribbling: Gomez ne ha effettuati due, Pessina, che invece se pressato va in difficoltà, neanche uno. L’azione che dopo undici minuti di gioco porta Morata a passare la palla a Ronaldo davanti a Gollini (e che poi Morata chiude con un tacco sciatto a porta vuota) comincia proprio da una palla persa di Pessina che controlla male un passaggio corto di Gosens e McKennie ne approfitta.

 

La qualità tecnica del “Papu” in fase di possesso fa la differenza per l’Atalanta, ma la farebbe per quasi qualsiasi squadra del campionato. Anche in una partita come questa, in cui non ha fatto molto di più che essere presente, forse persino controvoglia, c’è un’azione in cui la sua tecnica e la duttilità che l’accompagna emergono in maniera evidente. Al settantunesimo, sugli sviluppi di un angolo a favore, Gomez contrasta Morata che stava partendo in transizione, esce vincitore dal contrasto (pur essendo alto almeno una ventina di centimetri meno di lui) e con un riflesso e un equilibrio fuori dal comune evita l’arrivo di Chiesa spostandosi la palla sul sinistro e portandola in orizzontale. Una volta in fascia, raddoppiato da Cuadrado, se l’allunga sul fondo e mette dentro un cross di sinistro che arriva sul piede di Hateboer al centro dell’area.



































Gomez sarebbe, in teoria, insostituibile per l’Atalanta. Non solo per il suo valore assoluto, ma perché nessuno tra i giocatori in rosa a disposizione di Gasperini sa smarcarsi, controllare palla, portarla anche per lunghi tratti e gestire il ritmo e la direzione degli attacchi, con filtranti e cambi di gioco che possono accelerare e dribbling difensivi che servono invece a rallentare, scegliendo quando giocare corto e quando lungo.

 

Pessina e Pasalic non hanno la sua tecnica nello stretto né la visione periferica da playmaker, Malinovskyi magari calcia come se non meglio di lui, ma non sa usare entrambi i piedi e questo lo limita nelle scelte e lo rende prevedibile. Un esempio dalla partita con la Juventus: al 41.esimo, durante una transizione, Zapata gioca corto in orizzontale per Malinovskyi che potrebbe attaccare frontalmente Bonucci e Danilo. Il passaggio arriva da sinistra e Malinovskyi controlla male con il destro, facendosi recuperare da Rabiot. Dopo aver controllato e alzato la testa, vede Hateboer arrivare alla massima velocità, con Chiesa dietro che lo sta recuperando: un passaggio preciso e veloce sarebbe arrivato sui piede del compagno con l’avversario ancora alle spalle, ma Malinovskyi preferisce girarsi sul sinistro e passarla di nuovo a Zapata.



























Nessuno dei tre, ma neanche Ilicic (né Miranchuck, che in ogni caso per ora Gasperini usa pochissimo), ha la sua sensibilità nei passaggi filtranti, che non servono solo per creare occasioni da gol ma anche per guadagnare metri di campo e superare la seconda linea di pressione. Ma anche se si trattasse solo della sua capacità di resistere alla pressione, sarebbe abbastanza da renderlo fondamentale per il sistema di Gasperini, in cui l’atteggiamento aggressivo, o iper-aggressivo come contro la Juventus, porta spesso a fasi di gioco centrifughe, senza controllo.

 

Sempre nella partita di mercoledì, a una decina di minuti dal termine, Gomez elude la pressione di Bentancur, su un passaggio in orizzontale a centrocampo, semplicemente lasciando scorrere la palla e mettendosi l’avversario alle spalle. Di giocatori così, io personalmente, ne ho visti pochi.







































Oltre al dribbling su Bentancur qui ce n’è uno pornografico su Jordan Henderson (tunnel, di esterno) e un’azione contro il Midtjylland in cui Gomez finge di servire Hateboer in profondità (in fuorigioco) ma si gira di tacco e serve Zapata in uno spazio che un attimo prima non c’era.


 

Insomma, sarà pure vero che Gomez a 32, quasi 33 anni non corre più come un paio di stagioni fa, o quanto meno non per tutta la durata della partita – perché quando è fresco continua ad aver un approccio aggressivo senza palla, in pressing – e che le difficoltà dell’Atalanta in questi ultimi due mesi dipendono anche da un suo calo, ma sarà difficile per Gasperini rimpiazzare tutte le cose che Gomez sa fare in una partita, anche in quelle in cui è meno ispirato. Di sicuro non è una questione individuale, né i problemi dell’Atalanta possono svanire facendolo giocare su un lato o l’altro del campo.

 

L’Atalanta di questi ultimi anni è stata sì una squadra ingiocabile sul piano fisico, ma se l’intensità è diventata uno dei pilastri del calcio contemporaneo, qualsiasi squadra che ambisca a fare il salto di qualità deve pensare anche a tutte quelle partite in cui si troverà a giocare contro squadre difensive che non ne contesteranno il possesso e a tutte quelle fasi di partita in cui è necessario abbassare i ritmi. L’utopia di un calcio solo verticale sembra sfumata ormai e il paradosso dell’Atalanta è che questo passaggio sembrava averlo già fatto lo scorso anno, grazie anche alla competitività trovata in Champions League. Gasperini e Gomez sono stati l’uno la fortuna dell’altro: della crescita individuale del “Papu” all’interno di un’organizzazione tattica che crea gli spazi in cui muoversi e passare, in cui tutti tranne lui (e in parte Ilicic) vanno sempre in verticale, ne ha beneficiato anche il sistema stesso, che ha guadagnato in equilibrio e controllo, facendo diventare l’Atalanta una squadra completa, non solo aggressiva, o “fisica”.

 

Questo forse è l’aspetto più assurdo di tutta la faccenda. Che al di là dell’amore per la città e per i tifosi, al di là anche di chi abbia sbagliato per primo, o di più, tra Gasperini e Gomez, entrambi sanno benissimo di avere l’uno bisogno dell’altro. Anche Kurusawa alla fine di Rashomon sembrava rinunciare alla scoperta della verità. Dopo che tutti i personaggi hanno raccontato la loro versione dell’omicidio, trovano un bambino solo, abbandonato alle porte di Kyoto. La cosa che più conta, a quel punto, diventa capire se tra quegli uomini meschini e bugiardi ce ne sarà uno che deciderà di adottarlo e occuparsi di lui.

 

C’è bisogno che vi dica chi sarebbe, nel nostro caso, il bambino da salvare?

By marcodalmen
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