Il caso Ilicic e l'ennesima lezione dell'Atalanta: l'uomo viene prima del calciatore
In un calcio fatto di riflettori, soldi, sfottò e competizione esasperata, il post lockdown di Josip Ilicic è una dolorosa e meravigliosa eccezione. I due aggettivi non sono scelti a caso: da una parte il dramma personale di un calciatore di talento mondiale, protagonista fino a marzo della stagione più prolifica della sua carriera, che per "problemi personali" non potrà scendere in campo nella partita che ha sempre sognato di giocare, il quarto di finale di Champions Atalanta-PSG. Dall'altra la lezione, l'ennesima, del club bergamasco, che nell'ultimo mese ha protetto il suo tesserato da attacchi meschini e dalla semplice curiosità degli addetti ai lavori.
Le parole di Gian Piero Gasperini suonano come una pietra tombale sulle speranze di rivedere il mancino di Prijedor non solo nella storica sfida contro Neymar e Icardi, ma anche nelle eventuali partite successive alle Final Eight di Lisbona. Il calcio passa in secondo piano davanti alle priorità della vita. Senza se e senza ma. Lo stesso allenatore che gli ha dato più fiducia in Italia non proferisce parola sulle motivazioni del suo forfait. Classe e sensibilità. Come quelle che hanno contraddisto il gesto dei suoi compagni di squadra che gli hanno dedicato la foto di gruppo di fine campionato: tra i sorrisi dei protagonisti del terzo posto, in primo piano la maglia numero 72 e la dedica del Papu Gomez, suo grande amico "Per Bergamo e per Ilicic, un altro anno in Champions League". Centinaia di messaggi di vicinanza sono arrivati anche dai tifosi che hanno seguito la Dea nella lontanissima trasferta di Kharkiv nel dentro-fuori dei gironi e hanno festeggiato il poker del loro idolo contro il Valencia davanti alla televisione, quando il Coronavirus aveva impedito loro di partecipare alla passerella al Mestalla.
Proprio la pandemia che ha cambiato il nostro modo di agire e di pensare e ha spezzato migliaia di vite in tutto il mondo può essere stata la scintilla che ha fatto scattare il momento difficile di Ilicic. Oltre al muro atalantino del silenzio, impossibile non collegare Bergamo, l’epicentro italiano del Covid-19, il conteggio dei morti, il suono delle sirene, i camion dei soldati che di notte trasportavano le bare via dalla città al cortocircuito dello sloveno. "È un ragazzo forte ma anche fragile, come i tronchi degli alberi antichi", dicono di lui i compagni con cui ha condiviso lo spogliatoio alla Fiorentina fra il 2013 e il 2017. Le male lingue hanno parlato di un rapporto in crisi con la moglie Tina, anche lei, come l'attaccante, scappata in Slovenia dalla guerra dei Balcani, e conosciuta dentro lo stadio dell’Interblock Lubiana, dove lui provava a farsi notare dagli scout delle big europee e lei si allenava sui 400 metri. Tina ha mollato l’atletica per seguire Josip, il classe '88 "non ha mai mollato il calcio per Tina" come ha raccontato in una delle rarissime interviste italiane, rilasciata ai tempi del Palermo. Nessuna crisi coniugale, lo testimoniano gli unici contatti del calciatore con i social network dopo la sua ultima apparizione pubblica, l'11 luglio contro la Juventus: un selfie a due ripreso da Tina, che appare in primo piano e la condivisione dell'omaggio dei suoi compagni con una sola parola ("Grandi") e un cuore nella didascalia.
La fragilità, l'umiltà e il basso profilo sono stati i fili conduttori della carriera di Ilicic. Lo scorso febbraio aveva confessato al portale croato 24sata che "quello che è successo a Davide Astori è stato nella mia testa per giorni. Non riuscivo a dormire, pensavo spesso di svegliarmi la mattina e di non vedere più la mia famiglia". Una sensibilità che è stata anche la leva della sua rinascita con la maglia dell'Atalanta, la sua seconda vita calcistica. Nell'agosto 2018 la squadra di Gasperini viene eliminata nell’ultimo turno dei preliminari di Europa League contro il modesto Copenaghen. Ilicic viene colpito da un’infezione batterica che ne limita utilizzo e rendimento per due mesi (“Ho avuto paura di non riuscire più a camminare, pensavo di non poter più giocare a calcio, ho avuto paura per la mia vita”), ma negli spogliatoi del Parken il tecnico di Grugliasco e i nerazzurri gettano le basi del progetto ambizioso che li ha portati nel Gotha del calcio che conta. A raccontare quell'emblematico post-partita e la mentalità dello sloveno ci ha pensato lo stesso Gasperini in un'intervista alla Gazzetta dello Sport di qualche mese fa.