Intervista a Cristiano Doni del Corsera
CRISTIANO DONI al Corriere della Sera ripercorre la vicenda del calcioscommesse che l'ha segnato
“Non dovevo mettere il naso in quella storia. So di aver sbagliato, non voglio passare per un santo. Ma mi fa male che poi tutto sia stato raccontato in maniera diversa: ogni cosa che dicevo veniva travisata.
Quello che mi è successo è la cosa peggiore che possa capitare a un uomo oltre alla morte. I cinque giorni in prigione sono stati i più brutti della mia vita.
Potrei raccontare i particolari dei 12 carabinieri che hanno fatto irruzione all' alba a casa e io che pensavo fossero ladri, oppure i dettagli della cella di isolamento vicina a criminali veri, o ancora dell'ora d'aria. Ma non avrebbe senso.
Sette giorni prima della gara contro l'Ascoli mi dissero che avremmo vinto per un accordo. Va bene, faccio io, ma in campo mi accorsi che gli altri stavano giocando sul serio, capisco ora che il risultato è solo un dettaglio.
Mi ripetono la stessa cosa per la gara con il Piacenza. Mentre giochiamo realizzo quasi subito che la combine questa volta era reale, tanto che il portiere avversario, Cassano, mi dice dove calciare il rigore. Lui nega? Problemi suoi, andò proprio così.
Sono stato un imbecille e non esiste nessuna giustificazione. La retrocessione mi aveva segnato, mi sentivo il primo responsabile, avrei fatto di tutto per ottenere la A e infatti ho detto di sì quando mi è stato detto che il Piacenza veniva a perdere... Ecco, non mi sono mai venduto una partita. C'è una differenza, almeno in questo, tra chi lo fa per soldi e chi per amore della propria squadra?
Sono la persona meno indicata per fare la morale agli altri.
Nella vita si sbaglia, ma poi ci si rialza. Io ho sbagliato ma l' ho fatto da uomo, prendendomi le mie responsabilità e forse pagando anche oltre le mie colpe, ma è giusto così, ma non sono un criminale, si sta parlando di una partita di pallone, anche se non l' avessi fatto non sarebbe cambiato proprio nulla, i risultati in campo sarebbero stati gli stessi. Ho ammesso che sapevo, ma non ho fatto nulla, sarebbe bastata un condanna per omessa denuncia.
Doni non era un angelo, ma nemmeno il diavolo. Però il calcio non può continuare in questo modo. Non è credibile.
Al ragazzo che vuole giocare a calcio direi che deve giocare pulito, sempre e non dare retta a chi gli chiede di barare, anche fosse un compagno.
Deve denunciare, far finta di nulla è grave quasi come alterare una partita, non è facile ma questa è la strada. Non prendete esempio da me, fate come Andrea Masiello, bisogna avere il coraggio di parlare e raccontare tutto il marcio nel calcio.
Si può sbagliare, ma è ancora peggio non alzare la mano e ammetterlo.
Le mie colpe sono relative solo a due episodi: Ascoli-Atalanta e Atalanta-Piacenza.
Io forse speravo di farla franca, ma più che altro pensavo che la mia era una cosa minima, credevo che tutto fosse ricondotto alle scommesse e a qualche accordo sotto banco. Mi sbagliavo, c'è molto di più, ecco perchè non riesco a darmi pace: dovevo capire la gravità delle mie azioni.
Mi spiace non essermi goduto troppo la mia primogenita, quando era piccola, anche a causa del calcio. La nascita di mio figlio Lukas, dopo il caos scommesse, mi ha salvato la vita, mio figlio sa che suo papà è stato calciatore, anche se non mi ha mai visto. Raramente però gli faccio vedere immagini di allora. È una cosa che non mi piace.
Ho una nostalgia incredibile dell’avvicinamento allo stadio, con il pullman.
C’era sempre un fiume di tifosi ad accompagnarci e tantissimi indossavano la mia maglietta. A volte mi capita di sognare quei momenti. Emozioni impagabili.
La Dea era tutto per me, capisco di aver deluso i tifosi, traditi.
Non chiedo perdono, ma che non siano cancellate tutte le cose buone che ho fatto, ora la gente ha capito e mi tratta con affetto, ricordando soprattutto ciò che ho fatto in campo, chiamandomi ancora oggi capitano".
