Me regorde l'Atalanta (2° episodio)
Come spesso succede specie a chi è avanti con l'età, quasi per un inevitabile automatismo, la mente torna indietro, a scandagliare ricordi lontani e, solo apparentemente dispersi.
Il fatto si manifesta, in particolare, per tutto ciò che ci appassiona o ci ha appassionato nel passato, tanto più, se il legame di affettività si estende dal passato a tutt'oggi. Ormai vicino all'ottavo decennio,ricordo, con una certa nitidezza, il primo contatto con la realtà atalantina, quando il nostro stadio, non era ancora stato edificato, nella seconda metà degli anni quaranta, ed era semplicemente un campo con pochissime infrastrutture.
Ricordo un'assiepamento di persone, piuttosto sparuto, che ben poco aveva da spartire con le presenze attuali. Qualche anno dopo, nei primi anni cinquanta, lo stadio aveva preso corpo, anche se le due curve, realizzate in legno e di altezza limitata, sarebbero dovute crescere, unitamente alla squadra, negli anni successivi. La frequentazione indusse anche la conoscenza di vari dei giocatori di allora che, a partita terminata, si avviavano all'esterno, mischiandosi agli spettatori che restavano ad aspettarli. Tanti i volti che si riaffacciano nella mente, con i loro gesti e le loro peculiarità, anche se si frammischiano, senza distinguere appieno le epoche della loro militanza in nerazzurro.
Indimenticabile capitan Angeleri, detto Gabbiano, per via del fisico asciutto che, talvolta rendeva più corposo indossando due maglie, autentica bandiera atalantina che, negli anni successivi, sarebbe divenuto allenatore. Agli incitamenti replicava dicendo che si deve sempre essere bravi, indipendentemente dalla levatura dell'avversario.Impossibile dimenticare il numero dieci, Adriano Bassetto, ragazzo possente e di bell'aspetto, che non disdegnava le grazie di una vistosa signorina che gestiva una cartoleria, proprio di fronte alla fermata del tram, posta in via santa Caterina.
Qualcuno si rese propalatore del fatto , dagli spalti, per sollecitare il suo impegno, richiamandolo con l'aggiuntivo 'cartolera' , ma la sua fama resta legata a terribili bordate con cui cannoneggiava e trafiggeva le porte avversarie. I suoi rigori erano reti certe, salvo che il bolide fosse stato calciato, malauguratamente, fuori. Ricordo ancora una terrificante punizione, realizzata a san Siro, contro l'Inter, che abbattè regolarmente il portiere Matteucci e divenne meravigliosa sigla Rai della trasmissione dedicata al calcio, per un lungo periodo di tempo.
Negli anni della presidenza Turani, la società acquistò diversi elementi del nord Europa, in particolare Jeppson, centravanti fromboliere, che venne ceduto poi al Napoli per l'importo di ben centocinque milioni, una cifra sconvolgente che andò a segnare un nuovo picco per la valutazione di un calciatore. In quell'epoca, nella cattiva stagione, si verificavano spesso sospensioni delle partite per mancata visibilità, a seguito della comparsa di nebbia. In tal caso la partita veniva recuperata pochi giorni dopo, ripartendo dallo zero a zero. A seconda del risultato in atto, il pubblico tifava, o meno, per la interruzione dell'incontro. Una partita diretta dall'arbitro signor Marchese, di Napoli, verosimilmente interrotta col punteggio a nostro favore e visibilità accettabile, fece titolare a L'Eco: l'arbitro veniva da Napoli, beata terra del sole...
Come ho premesso, i ricordi si accavallano, si inseguono e si strattonano, per essere raccontati, procedendo in libertà. Mi sovviene di quando la squadra cresceva il proprio vivaio, direttamente in squadra, schierando ragazzini talentuosi, come Lenuzza, un fisico smilzo ma dotato di movimenti magici, che partecipò ad una gara, giocata con il pubblico a bordo campo, susseguentemente ad una non ben motivata invasione pre partita, che l'arbitro accettò, facendo giocare regolarmente. Si giocò contro la Fiorentina, col punteggio finale di zero a zero e quell'anno lo scudetto toccò proprio ai viola.
Anni sereni ed animi distesi. Salvo che per poche eccezioni, nonostante i settori di accesso non escludessero la promiscuità delle diverse tifoserie, non si verificavano zuffe e, nelle assai rare eccezioni, tutto il pubblico volgeva lo sguardo verso quell'area di ingiustificati sciamannati. Molti dei ragazzi bergamaschi, sconosciuti al principio, consolidarono sul nostro terreno qualità eccelse e furono dirottati proficuamente verso altri lidi: tra loro Domenghini, Donadoni, Scirea: primizie del nostro orto, destinate a mense ritenute, se non più nobili, certamente più danarose. La nostra restava, sempre e comunque, una mensa dei poveri, votata a resistere, nonostante mezzi economici ridotti, nell'intento di allevare cavalli di razza, precocemente destinati al trasferimento.
Ma era bello, nonostante le mille paure di soccombere ad ogni incontro, battagliare e condurre alla salvezza un campionato, equivalente allo scudetto delle grandi, almeno per le nostre ridotte ambizioni. Ricordi lontani di tempi eroici, di lotte impari, drammatiche ed avvincenti, mai soffocate dal trascorrere del tempo, ma che riemergono dalla memoria per dare consapevolezza di come le cose si siano modificate, sino all'impensabile stravolgimento. Sarebbe bello, se tutti coloro che hanno vissuto queste esperienze, le recuperassero e le condividessero, perchè è dalle radici del passato, attraversando il presente, che si realizza, ma soprattutto, si apprezza, in maniera congrua, il futuro.
Renato
By sigo