Neanche da morto
Non riguarda l'Atalanta e diversi hanno detto che ne abbiamo gia' parlato abbastanza. Pero' è uno dei piu' grandi avversari che la nostra squadra abbia mai affrontato, anche a Bergamo. E mentre in Argentina sono cominciati litigi furiosi sull'eredita', in coerenza con le turbolenze che Maradona ha incontrato in vita e che non lo lasciano nemmeno dopo morto, vi pubblichiamo questo bel pezzo che ci e' pervenuto ad opera del nostro lettore "Andreaneroblu" che ringraziamo
La Mano di Dio e il Sinistro magico: ciao Diego Armando
di Paolo Emilio Bogni
Chi non intendesse il calcio come una metafora genuina e vera della vita, non coglierà mai il calcio come un’Arte con cui gli Dei vogliono giocare con noi… - Diego Armando Maradona è stato la reincarnazione di quel pittore delinquente di nome Michelangelo Merisi (meglio conosciuto come Caravaggio); di quel magico e malinconico cherubino della Musica quale Wolfgang Amadeus Mozart e di quel Cristo ribelle – decadente, provocatore ed eccentrico – che il mondo conosceva come Oscar Wilde. Sì, è la stessa Scintilla divina – che non ha pace e non vuole pace – che ha fluttuato nei quattro corpi di queste quattro distinte vite. Una Scintilla del Quarto raggio (a cui appartiene anche quell’attore eccezionale qual è stato Robin Williams) che riflette l’Energia che solo l’Arte può esprimere, conciliando mirabilmente il finito della caducità mondana con l’Assoluto dell’Essere universale. Un incanto. Da Caravaggio - Diego Armando Maradona - ha ripreso quella Luce che solo i suoi quadri potevano celebrare. Da Mozart ha ereditato quell’elevazione del sentimento umano evocato dalle note che solo il Cielo poteva echeggiare. Di Oscar Wilde ha mantenuto lo spirito di sfida – derisorio e ironico, pur nell’eleganza di un abito aristocratico – contro l’ipocrisia dei costumi nascosti, dei desideri inconfessati e della morale ambigua e abitudinaria. A differenza di Oscar Wilde - però - non ha venduto l’anima al diavolo, nemmeno quando faceva uso di cocaina o recitava brillantemente il ruolo dell’adultero poligamo. Ha accettato per intero la sua umanità e nessun quadro o effigie che lo riproducessero sono invecchiati al suo posto. Pur avendo in comune con il Dandy l’idea che la propria vita dovesse essere un’opera d’Arte, Diego Armando Maradona non fece mai patti con l’oscurità. L’evoluzione rispetto a quella sua precedente vita – quella di Oscar – è stata pagata con la trascuratezza del corpo che non era da atleta nemmeno nei venti anni di carriera fulgida da artista supremo del pallone che lo ha consacrato – di gran lunga – come il migliore giocatore di calcio di tutti i tempi. In un’immagine che testimonia questo suo indiscusso primato, noi atalantini abbiamo ancora impresso negli occhi e nel cuore quella sua serpentina che mise a sedere l’intero centrocampo brasiliano – a Italia ’90 – servendo al nostro Claudio Paul Caniggia la palla dell’uno a zero con cui l’Argentina approdò ai quarti di finale. Magia pura. Con il proprio corpo – Diego Armando – non ha mai avuto un rapporto idilliaco. Non che lo rifiutasse, ma lo usava semplicemente come tavolo da lavoro per il proprio Genio o come postribolo per le proprie debolezze, per capire – in queste ultime – come lo sballo umano non fosse all’altezza delle vette artistiche a cui il suo talento lo innalzava, usandolo anche per renderlo simile a noi – per mimesi, solidarietà o (semplicemente) per com-passione – nell’attaccamento o dipendenza a esso. Gli Dei sono attratti fortemente dalla dimensione umana. Sono innamorati del crinale con cui noi stiamo a mezza strada tra la terra e il cielo. Loro si annoiano nella perfezione immutabile, eterna e statica che permea la loro dimora, l’Olimpo. Amano la nostra libertà – anche quella che (oltre al male) può scegliere il Bene – e vogliono attraversarci, non conoscendo l’esperienza diretta del movimento e la vibrazione di un canto, di una poesia, di un gesto tecnico sportivo, di un orgasmo, di una scultura, di un dipinto. Non coglierebbero – nell’immutabilità della loro perfezione – questi frammenti di mortale e seducente libertà. E’ dunque l’Arte il filo rosso che lega Diego Armando Maradona a Caravaggio, Mozart e Wilde, pur espressa da quattro diverse personalità. Nell’Arte si costituiva il ribellismo anarchico verso la propria Epoca espresso con quella particolare lingua, cara all’Universo divino. Perché una cosa va riconosciuta a Diego Armando Maradona: pur nei travagli della sua vita quotidiana fuori dal campo, ha però portato a termine la missione iscritta nella Vocazione che nella sua Anima era impressa a caratteri cubitali. Elevare al rango di Arte il gioco del calcio, esattamente come la Pittura, la Musica e la Letteratura che lui aveva già sperimentato nelle vite precedenti. Perché l’Arte è il diletto preferito dagli Dei che – giocando a nascondino come i bambini – scendono tra noi umani sussurandoci l’esistenza di una via privilegiata alla Conoscenza che attraversa l’emozione, lo stupore, la passione, lo struggimento, l’erotismo, la vertigine e il sublime. Diego Armando Maradona è uno di loro. Era uno di quegli Dei che prendono momentaneo congedo dall’Olimpo e scendono in vacanza in mezzo a noi per risvegliare – attraverso la Bellezza – quel Dio che c’è in ognuno di noi, anche in quelli – tra noi - più spenti, rassegnati e incoscienti. Che scendono in mezzo a noi per deliziarci con istanti di quell’immensa gioia che una Nota, un Sonetto, una Frequenza, un Colore, un Profumo, una Forma e un Gol possono generare. Diego Armando Maradona è un Dio nascosto; è questa – forse – l’etichetta che meglio illustra e descrive chi fosse realmente el Diez, el Pibe de oro, Cebollita, el Barrilete cosmico, el Pelusa. Senza dimenticare la Mano de Dios, un appellativo legato al mondiale messicano vinto dalla sua Argentina 34 anni fa - nella partita dei quarti di finale vinta con l’Inghilterra – nella quale il suo gol (che sbloccò la gara) si realizzò con un gesto al di là del bene e del male. Un gesto tecnico compiuto in sospensione aerea e nella sospensione del regolamento del gioco del Calcio che permise all’Argentina di approdare in semifinale. Un al di là del bene e del male che costituisce una deroga alla dialettica fondamentale per noi umani di “buona volontà”, ma non per un Dio che ha trascorso sessant’anni di vita in vacanza in mezzo a noi. Era un Dio che amava la sua e la nostra umanità, piena di fragilità, limiti e sofferenze. Questo è il motivo per il quale moltissimi di noi - che personalmente non lo conoscevano ma che ne hanno avvertito la potente energia – alla notizia della sua morte hanno avuto un momento di profonda commozione. Siamo più soli e più poveri senza questo arconte celeste che trasformava un prato verde in un cielo stellato. Il suo piede sinistro era magia allo stato puro. La nostra commozione è anche dovuta alla sua incalcolabile generosità e spontaneità di cuore e al suo amore genuino. Nella sua semplicità, ammoniva i potenti contro la loro arroganza. Era un antiamericano e anticapitalista, scorgendo nell’imperialismo a stelle e strisce e nel sistema globale governato da alta finanza e grande capitale i volti terreni dell’inferno. Era amico delle migliori “canaglie” indicate da Washington, quali Fidel Castro, Hugo Chavez e Nicolas Maduro. Indimenticabile – inoltre – fu quel lunedì pomeriggio di 35 anni fa quando calcò un campetto di periferia ad Acerra (per due terzi di fango. Si vedano le immagini riprese da un video amatoriale dell’epoca) per giocare una partita organizzata dalla squadra di quel quartiere napoletano. Partita organizzata per raccogliere fondi per un bimbo che doveva operarsi agli occhi. Lui – campione affermato – per quella partita di beneficienza si cambiò nella macchina parcheggiata nel posteggio del campo oratoriale, insieme ad altri giocatori del Napoli. I giornalisti furono depistati e le tre migliaia di spettatori a bordo campo vennero dai quartieri vicini avvisati solo poche ore prima della partita. Da non crederci, se quelle immagini amatoriali non lo provassero. Amava i bambini. Per molti aspetti lui lo è stato lungo l’arco di tutti i sessant’anni della propria vita. In un altro video, quello della scorsa settimana – l’ultima della sua vita - che lo ritrae sofferente e a fatica deambulante, ha fatto un ultimo sforzo per alzare il braccio in saluto a un piccolo tifoso che lo chiamava da lontano. Mitico e insuperabile. Nei bambini – probabilmente – riconosceva l’ultimo tratto di genuinità e innocenza, financo l’ultimo bagliore di verità nel quale riavvolgeva il suo film sino a tornare all’infanzia (vissuta da poverissimo) di Villa Fiorito, la Scampia di Buenos Aires. Era già napoletano prima ancora di vivere la sua epopea nella meravigliosa Città partenopea a cavallo tra gli anni ottanta e novanta dello scorso secolo. Con la presenza di Maradona tra noi (e degli altri Artisti supremi suoi affini), muta il simbolo della domanda teologica che campeggia nei cuori di un’umanità da sempre angosciata dalla morte. Il sentimento struggente che sgorga dal cuore mette in secondo piano la domanda umana – troppo umana – che dice “Dio esiste?”, ma mette in primo piano, invece, l’interrogativo posto dall’Uno – che in silenzio e nel profondo c’è in ognuno di noi - che dice “l’Uomo esiste?”. Sì, l’Uomo esiste. E Diego Armando Maradona ne è la prova in quanto IMMAGINE di fragilità, caducità, mondanità e morte. Diego Armando Maradona ne è la prova in quanto SOMIGLIANZA, per quei bagliori di eternità, perfezione, immutabilità di grazia e magia, che solo quel Sinistro sapeva dare e che quel Pibe de Villa Fiorito – palla al piede – ci sapeva omaggiare. Torna tra noi, Diego Armando. Reincarnati al più presto in una bambina o in un bambino. Torna nel Tempo. Prendi al più presto un’altra delle tue numerose ma mai bastevoli vacanze per ricordarci quanto sono umane e piene di poesia le nostre fragilità, i nostri attaccamenti e le nostre dipendenze. Ma anche per risvegliare la nostra Essenza divina e immortale. Diffondi tra noi la luce della Bellezza, la gioia del Bene e il fuoco della Verità, in questo nostro mondo sempre più brutto, cattivo e falso. Aiutaci – con l’aurea della tua Vocazione - nell’elevare la coscienza di un’Umanità che deve realizzarsi e rendersi degna del ristoro al Banchetto olimpico. Descanse en la Luz, Diego Armando.
La Mano di Dio e il Sinistro magico: ciao Diego Armando
di Paolo Emilio Bogni
Chi non intendesse il calcio come una metafora genuina e vera della vita, non coglierà mai il calcio come un’Arte con cui gli Dei vogliono giocare con noi… - Diego Armando Maradona è stato la reincarnazione di quel pittore delinquente di nome Michelangelo Merisi (meglio conosciuto come Caravaggio); di quel magico e malinconico cherubino della Musica quale Wolfgang Amadeus Mozart e di quel Cristo ribelle – decadente, provocatore ed eccentrico – che il mondo conosceva come Oscar Wilde. Sì, è la stessa Scintilla divina – che non ha pace e non vuole pace – che ha fluttuato nei quattro corpi di queste quattro distinte vite. Una Scintilla del Quarto raggio (a cui appartiene anche quell’attore eccezionale qual è stato Robin Williams) che riflette l’Energia che solo l’Arte può esprimere, conciliando mirabilmente il finito della caducità mondana con l’Assoluto dell’Essere universale. Un incanto. Da Caravaggio - Diego Armando Maradona - ha ripreso quella Luce che solo i suoi quadri potevano celebrare. Da Mozart ha ereditato quell’elevazione del sentimento umano evocato dalle note che solo il Cielo poteva echeggiare. Di Oscar Wilde ha mantenuto lo spirito di sfida – derisorio e ironico, pur nell’eleganza di un abito aristocratico – contro l’ipocrisia dei costumi nascosti, dei desideri inconfessati e della morale ambigua e abitudinaria. A differenza di Oscar Wilde - però - non ha venduto l’anima al diavolo, nemmeno quando faceva uso di cocaina o recitava brillantemente il ruolo dell’adultero poligamo. Ha accettato per intero la sua umanità e nessun quadro o effigie che lo riproducessero sono invecchiati al suo posto. Pur avendo in comune con il Dandy l’idea che la propria vita dovesse essere un’opera d’Arte, Diego Armando Maradona non fece mai patti con l’oscurità. L’evoluzione rispetto a quella sua precedente vita – quella di Oscar – è stata pagata con la trascuratezza del corpo che non era da atleta nemmeno nei venti anni di carriera fulgida da artista supremo del pallone che lo ha consacrato – di gran lunga – come il migliore giocatore di calcio di tutti i tempi. In un’immagine che testimonia questo suo indiscusso primato, noi atalantini abbiamo ancora impresso negli occhi e nel cuore quella sua serpentina che mise a sedere l’intero centrocampo brasiliano – a Italia ’90 – servendo al nostro Claudio Paul Caniggia la palla dell’uno a zero con cui l’Argentina approdò ai quarti di finale. Magia pura. Con il proprio corpo – Diego Armando – non ha mai avuto un rapporto idilliaco. Non che lo rifiutasse, ma lo usava semplicemente come tavolo da lavoro per il proprio Genio o come postribolo per le proprie debolezze, per capire – in queste ultime – come lo sballo umano non fosse all’altezza delle vette artistiche a cui il suo talento lo innalzava, usandolo anche per renderlo simile a noi – per mimesi, solidarietà o (semplicemente) per com-passione – nell’attaccamento o dipendenza a esso. Gli Dei sono attratti fortemente dalla dimensione umana. Sono innamorati del crinale con cui noi stiamo a mezza strada tra la terra e il cielo. Loro si annoiano nella perfezione immutabile, eterna e statica che permea la loro dimora, l’Olimpo. Amano la nostra libertà – anche quella che (oltre al male) può scegliere il Bene – e vogliono attraversarci, non conoscendo l’esperienza diretta del movimento e la vibrazione di un canto, di una poesia, di un gesto tecnico sportivo, di un orgasmo, di una scultura, di un dipinto. Non coglierebbero – nell’immutabilità della loro perfezione – questi frammenti di mortale e seducente libertà. E’ dunque l’Arte il filo rosso che lega Diego Armando Maradona a Caravaggio, Mozart e Wilde, pur espressa da quattro diverse personalità. Nell’Arte si costituiva il ribellismo anarchico verso la propria Epoca espresso con quella particolare lingua, cara all’Universo divino. Perché una cosa va riconosciuta a Diego Armando Maradona: pur nei travagli della sua vita quotidiana fuori dal campo, ha però portato a termine la missione iscritta nella Vocazione che nella sua Anima era impressa a caratteri cubitali. Elevare al rango di Arte il gioco del calcio, esattamente come la Pittura, la Musica e la Letteratura che lui aveva già sperimentato nelle vite precedenti. Perché l’Arte è il diletto preferito dagli Dei che – giocando a nascondino come i bambini – scendono tra noi umani sussurandoci l’esistenza di una via privilegiata alla Conoscenza che attraversa l’emozione, lo stupore, la passione, lo struggimento, l’erotismo, la vertigine e il sublime. Diego Armando Maradona è uno di loro. Era uno di quegli Dei che prendono momentaneo congedo dall’Olimpo e scendono in vacanza in mezzo a noi per risvegliare – attraverso la Bellezza – quel Dio che c’è in ognuno di noi, anche in quelli – tra noi - più spenti, rassegnati e incoscienti. Che scendono in mezzo a noi per deliziarci con istanti di quell’immensa gioia che una Nota, un Sonetto, una Frequenza, un Colore, un Profumo, una Forma e un Gol possono generare. Diego Armando Maradona è un Dio nascosto; è questa – forse – l’etichetta che meglio illustra e descrive chi fosse realmente el Diez, el Pibe de oro, Cebollita, el Barrilete cosmico, el Pelusa. Senza dimenticare la Mano de Dios, un appellativo legato al mondiale messicano vinto dalla sua Argentina 34 anni fa - nella partita dei quarti di finale vinta con l’Inghilterra – nella quale il suo gol (che sbloccò la gara) si realizzò con un gesto al di là del bene e del male. Un gesto tecnico compiuto in sospensione aerea e nella sospensione del regolamento del gioco del Calcio che permise all’Argentina di approdare in semifinale. Un al di là del bene e del male che costituisce una deroga alla dialettica fondamentale per noi umani di “buona volontà”, ma non per un Dio che ha trascorso sessant’anni di vita in vacanza in mezzo a noi. Era un Dio che amava la sua e la nostra umanità, piena di fragilità, limiti e sofferenze. Questo è il motivo per il quale moltissimi di noi - che personalmente non lo conoscevano ma che ne hanno avvertito la potente energia – alla notizia della sua morte hanno avuto un momento di profonda commozione. Siamo più soli e più poveri senza questo arconte celeste che trasformava un prato verde in un cielo stellato. Il suo piede sinistro era magia allo stato puro. La nostra commozione è anche dovuta alla sua incalcolabile generosità e spontaneità di cuore e al suo amore genuino. Nella sua semplicità, ammoniva i potenti contro la loro arroganza. Era un antiamericano e anticapitalista, scorgendo nell’imperialismo a stelle e strisce e nel sistema globale governato da alta finanza e grande capitale i volti terreni dell’inferno. Era amico delle migliori “canaglie” indicate da Washington, quali Fidel Castro, Hugo Chavez e Nicolas Maduro. Indimenticabile – inoltre – fu quel lunedì pomeriggio di 35 anni fa quando calcò un campetto di periferia ad Acerra (per due terzi di fango. Si vedano le immagini riprese da un video amatoriale dell’epoca) per giocare una partita organizzata dalla squadra di quel quartiere napoletano. Partita organizzata per raccogliere fondi per un bimbo che doveva operarsi agli occhi. Lui – campione affermato – per quella partita di beneficienza si cambiò nella macchina parcheggiata nel posteggio del campo oratoriale, insieme ad altri giocatori del Napoli. I giornalisti furono depistati e le tre migliaia di spettatori a bordo campo vennero dai quartieri vicini avvisati solo poche ore prima della partita. Da non crederci, se quelle immagini amatoriali non lo provassero. Amava i bambini. Per molti aspetti lui lo è stato lungo l’arco di tutti i sessant’anni della propria vita. In un altro video, quello della scorsa settimana – l’ultima della sua vita - che lo ritrae sofferente e a fatica deambulante, ha fatto un ultimo sforzo per alzare il braccio in saluto a un piccolo tifoso che lo chiamava da lontano. Mitico e insuperabile. Nei bambini – probabilmente – riconosceva l’ultimo tratto di genuinità e innocenza, financo l’ultimo bagliore di verità nel quale riavvolgeva il suo film sino a tornare all’infanzia (vissuta da poverissimo) di Villa Fiorito, la Scampia di Buenos Aires. Era già napoletano prima ancora di vivere la sua epopea nella meravigliosa Città partenopea a cavallo tra gli anni ottanta e novanta dello scorso secolo. Con la presenza di Maradona tra noi (e degli altri Artisti supremi suoi affini), muta il simbolo della domanda teologica che campeggia nei cuori di un’umanità da sempre angosciata dalla morte. Il sentimento struggente che sgorga dal cuore mette in secondo piano la domanda umana – troppo umana – che dice “Dio esiste?”, ma mette in primo piano, invece, l’interrogativo posto dall’Uno – che in silenzio e nel profondo c’è in ognuno di noi - che dice “l’Uomo esiste?”. Sì, l’Uomo esiste. E Diego Armando Maradona ne è la prova in quanto IMMAGINE di fragilità, caducità, mondanità e morte. Diego Armando Maradona ne è la prova in quanto SOMIGLIANZA, per quei bagliori di eternità, perfezione, immutabilità di grazia e magia, che solo quel Sinistro sapeva dare e che quel Pibe de Villa Fiorito – palla al piede – ci sapeva omaggiare. Torna tra noi, Diego Armando. Reincarnati al più presto in una bambina o in un bambino. Torna nel Tempo. Prendi al più presto un’altra delle tue numerose ma mai bastevoli vacanze per ricordarci quanto sono umane e piene di poesia le nostre fragilità, i nostri attaccamenti e le nostre dipendenze. Ma anche per risvegliare la nostra Essenza divina e immortale. Diffondi tra noi la luce della Bellezza, la gioia del Bene e il fuoco della Verità, in questo nostro mondo sempre più brutto, cattivo e falso. Aiutaci – con l’aurea della tua Vocazione - nell’elevare la coscienza di un’Umanità che deve realizzarsi e rendersi degna del ristoro al Banchetto olimpico. Descanse en la Luz, Diego Armando.
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