17/10/2022 | 09.09
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Serie A tra speranza fondi e incubo tasse

Serie A - RaiPlay

La settimana che va a iniziare segna l’inizio di quello che sarà una decisione strategica per la Serie A. L’assemblea di Lega di venerdì 21 ottobre infatti potrebbe rappresentare uno snodo cruciale sul tema delle trattative con i fondi di private equity per essere partner nel business dei diritti tv della Serie A: tra gli argomenti all’ordine del giorno ci sono diritti tv e il progetto “media company”. A oggi le manifestazioni d’interesse sono state due: da una parte quella di un consorzio formato da Carlyle Group, Apax Partners e Three Hill Capital, dall’altra la candidatura del gruppo finanziario Searchlight Capital.

Le due manifestazioni d’interesse sono differenti tra loro. La prima ricalca il modello portato avanti nel 2020 da Cvc, Advent e Fsi, che prevedeva un’offerta da 1,7 miliardi di euro per il 10% della media company e che venne bocciato dalla maggioranza dei vertici delle squadre di Serie A, mentre la seconda è più particolare e punterebbe a fornire una soluzione più ibrida e più simile a un finanziamento.





Ora i fondi attendono che la Lega e i presidenti diano il via libera a una fase di approfondimento, in modo da nominare degli advisor per avviare una due diligence e arrivare a formulare un’offerta più articolata, anche in termini numerici.

Nei fatti quindi sembra di essere tornati alla situazione di oltre due anni fa quando l’allora presidente di Lega Serie A Paolo Dal Pino ebbe l’intuizione di imbastire una simile transazione. L’operazione poi andò per le lunghe per l’opposizione di diverse società, Lazio e Napoli in primis, e poi non si tramutò in realtà quando arrivò l’offerta per così dire tradizionale (acquisto del pacchetto dei diritti tv senza nessuna partecipazione azionario) di DAZN più Sky che venne reputata soddisfacente.

Nel frattempo però quel modello ideato da Dal Pino ha fatto strada all’estero ed è stato adottato sia in Spagna sia in Francia facendo affluire soldi freschi nelle case dei club di Liga e Ligue 1. In Spagna in particolare i fondi hanno versato 2,1 miliardi per il 10% della media company che commercializza i diritti tv della Liga per i prossimi 50 anni. In Francia l’operazione è stata di 1,5 miliardi per il 13%. E ora anche in in Germania stanno discutendo di una simile operazione.

Nello stesso modo anche la situazione delle opposizioni al progetto sembra ricalcare quella di due anni fa quando gli acerrimi nemici dell’idea di Dal Pino furono, per motivi diversi, il presidente della Lazio Claudio Lotito (che seppe portare dalla sua parte club come Verona e Fiorentina) e quello del Napoli Aurelio De Laurentiis. Mentre il fronte a favore dei fondi potrebbe essere ora composto, tra le big, dalle squadre con proprietà americana, come Milan e Roma, alle quale si potrebbe aggiungere anche l’Atalanta (anch’essa ora controllata da capitale a stelle e strisce). E insieme a loro anche il gruppo composto da alcuni club più piccoli, come ad esempio Sampdoria e Udinese.

IL BISOGNO DI SOLDI E I MOTIVI DELL’OPPOSIZIONE


Cosa succederà? L’intento della Lega è poter assegnare i pacchetti per i diritti tv entro giugno e inevitabilmente la partita è destinata a scaldarsi.

E in questo quadro non sfuggirà che lo snodo è particolarmente importante. In primo luogo perché bisognerà vedere se il calcio italiano, con tutti i problemi che ha – stadi vecchi, bilanci, rischio recessione in arrivo – può davvero permettersi di rifiutare una ingente iniezione di cassa quando, considerando la Premier League fuori portata, i suoi concorrenti principali – sicuramente Liga e Ligue 1 e forse Bundesliga – ne stanno già usufruendo.

In seconda istanza perché nel processo di vendita dei diritti tv all’estero le cose non stanno andando benissimo. La Lega Serie A ha venduto i match della massima serie italiana a 73 broadcaster multicanale per un’audience potenziale di oltre un miliardo di telespettatori in 200 Paesi.

Però per esempio, come ricordava IlSole24Ore, per l’area Medio Oriente e Nord Africa, che è stata la più redditizia fino al triennio 2018/21 (l’emittente del Qatar beIN Sports assicurava 112 milioni di euro all’anno), è stato sottoscritto in luglio un accordo con la compagnia Abu Dhabi Media che vale 80 milioni di dollari complessivi, garantiti per il triennio 2022-2025, più possibili bonus legati all’allargamento del bacino d’utenza. Quindi nel triennio 2021/24, dunque, la Serie A ha perso da questa regione proventi per oltre 250 milioni.

Infine, ma non certo da ultimo per importanza, perché il biennio della pandemia, ha aggravato lo stato di salute della Serie A che tra il 2019 e il 2021 ha subito perdite superiori a 1,8 miliardi e si trova a dover fronteggiare un indebitamento lordo che viaggia verso i 5 miliardi. La posizione finanziaria netta, nella fotografia scattata dal Report Calcio 2022 della Figc per il biennio 2019/21, è negativa per soli 1,2 miliardi ma il dato beneficia delle varie ricapitalizzazione eseguite (in totale oltre 2,2 miliardi includendo quella della Juventus da 400 milioni) e della particolarità che diversi club hanno sfruttato la chance di rivalutare i beni aziendali con un’aliquota ridotta, con un impatto positivo sui bilanci nell’immediato di oltre 900 milioni.

Detto tutto questo, bisogna però fare attenzione a bollare come paladine del calcio “vecchio” quelle società contrarie all’ingresso dei fondi. Lazio e Napoli, per nominare quelle che vengono sempre additate come capofila tra i club contrari, sono gestite sì in maniera tradizionale da presidenti molto operativi, ma questo non significa affatto non potere fare un buon lavoro. Anzi. Quello azzurro e quello biancoceleste sono due club storicamente attenti al bilancio (utili per oltre 50 milioni nei 18 esercizi di gestione De Laurentiis per il Napoli e altrettanti nei 18 anni di gestione Lotito per la Lazio) e prima del risveglio di Inter e Milan sono state pressoché le uniche società a contendere qualche titolo sportivo alla Juventus dominatrice nell’ultimo decennio. E, per rimanere sulla attualità, sono rispettivamente una prima in classifica e già agli ottavi di Champions League dopo aver incantato l’Europa per il modo di giocare. E l’altra, sotto la guida di Maurizio Sarriterza in graduatoria, ovvero una posizione oltre le aspettative di inizio stagione.

In questo quadro si può anche capire perché alcuni club, soprattutto quelli che ne hanno meno bisogno, possano essere contrari a una operazione che sotto alcuni aspetti può essere vista come una sorta di vendita dei gioielli di famiglia. Infatti, se lo schema è quello che trapela, non si tratterà soltanto di vendere un semplice prodotto (i diritti tv appunto) ma piuttosto quello di fare entrare soggetti esterni nell’azienda che li produce (la Lega Serie A). Lo stesso presidente della Juventus Andrea Agnelli ammise due anni fa che se la Lega fosse stata composta da “normodotati” avrebbe commercializzato i diritti da sola incassando di più.

Inoltre, soprattutto per quanto riguarda la posizione di De Laurentiis, va detto che non si può parlare di un ostracismo puro e semplice al progetto dei fondi. Al contrario il presidente partenopeo, da buon imprenditore dei media, ha semplicemente ricette diverse. In questo senso sono molto interessanti le sue parole verso un possibile intesa con Apple che negli Stati Uniti ha iniziato a investire sui diritti tv.

Nello stesso però non va nemmeno sottaciuto che esiste anche un non detto che circola nel mondo del calcio. Un non detto per il quale qualora i soldi dei fondi arrivassero copiosi e dessero quindi la possibilità a InterMilan e Juventus di mettere le cose a posto una volta per tutte (cosa sulla quale ogni dubbio è più che giustificato), potrebbe essere sempre più complicato per le società che hanno un fatturato e un bacino di tifosi inferiore poter avere quella competitività sportiva che stanno dimostrando di possedere.

Anche se va ricordato che nonostante le difficoltà economiche delle tre grandi storiche, al momento è tuttora in corso la striscia (iniziata nel 2001/02) più lunga di scudetti vinti dalle tre grandi storiche del nostro calcio.

L’INCUBO TASSE E IL NUOVO GOVERNO


Ma se quella dei fondi è una opzione che dà speranza al mondo del calcio, C’è una seconda questione, non certo meno importante, che invece viene vista come un vero e proprio incubo. In questa caso la da data da segnare con la matita rossa è quella del 16 dicembre.  Il tema è quello legato alle imposte sospese e qui un variabile importante sarà che cosa deciderà di fare – se prendersene cura oppure no – il nuovo governo Meloni che sta per salire al potere.

Il Sole24Ore in estate ha ricordato come con diversi interventi legislativi, i versamenti delle ritenute Irpef sugli stipendi, i contributi previdenziali e l’Iva sono stati sospesi da gennaio a novembre 2022 e, secondo le attuali norme, andranno saldati tutti il prossimo 16 dicembre. Nei fatti si tratta di un vero e proprio incubo per le società di calcio professionistico che, tranne pochissime eccezioni, si sono avvalse di questa possibilità.

Le somme che si sono accumulate infatti non sono esigue: nel 2019, la Serie A ha pagato quasi un miliardo tra ritenute Irpef (700 milioni), Iva (170 milioni di Iva) e contributi previdenziali (più di 120 milioni). Quasi un miliardo insomma e quindi senza una correzione in corsa molti club rischiano di finire in guai seri. 

A meno che – ed è la speranza di Leghe e Figc – che non intervenga il prossimo governo.

fonte calcioefinanza.it
By marcodalmen
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