Per me il campo da calcio era una battaglia per la sopravvivenza». Con queste parole Paolo Montero ha provato a rispondere all’imboscata del canale ufficiale della Serie A, che gli chiedeva il motivo per cui è lui il giocatore con più cartellini rossi nel nostro campionato, ben 16. Tuttavia c’è poco da spiegare: a livello statistico le espulsioni di Montero sono un glitch, un errore del sistema. Maldini con 381 presenze in più ha 13 rossi in meno, ma la stessa operazione si potrebbe fare anche con difensori più ruvidi e scoordinati, nessuno di loro arriva lontanamente alla media tenuta dal difensore uruguaiano di un’espulsione ogni 16 gare circa, nettamente migliore della sua media gol.
Contando anche quelle prese altrove, le espulsioni di Montero diventano 21, un fardello emotivo che il difensore si deve portare ovunque e sul quale è difficile fare i conti in maniera obiettiva. Le (molte) volte in cui gli hanno chiesto conto di questo record, Montero ha provato a dare diverse spiegazioni: una volta erano gli arbitri, e che quelle meritate saranno state «otto o nove», un’altra che – insomma – il «calcio è guerra», che ci vuoi fare, un’altra ancora che giocando da libero era stata la regola dell’ultimo uomo a fregarlo.
A riguardarle tutte (quasi tutte, quelle che si trovano) sembrano tutte risposte in qualche modo coerenti. In alcune era la durezza delle entrate di Montero a essere senza compromessi e a renderlo soggetto al cartellino rosso. In altre ha pagato l’essere l’ultimo baluardo della difesa e stazionare lì, solo, prima del portiere. In altre ancora invece il calcio per Montero si trasformava per qualche frazione di secondo in una vera guerra, con tutte le conseguenze del caso.
Tuttavia, oltre i motivi, quello che appare più evidente è la naturalezza con cui Montero poteva commettere un fallo da espulsione. Per qualche ragione in lui non esisteva il conflitto “meglio darla vinta all’attaccante o lasciare la squadra in 10?”, un’assenza di pensiero che in qualche modo si lega con l’idea che abbiamo di Montero, ovvero di un calciatore senza compromessi, dove più che “palla o gamba” l’eterna scelta è tra “gol e non gol”, dove lui parteggiava sempre per il non gol. Anche nelle espulsioni prese per reazioni, falli gratuiti o gesti scellerati, c’era sempre qualcosa di mistico, come se anche un fallo apparentemente stupido avesse un sottofondo di necessità, una mossa indecifrabile per chiunque non fosse Paolo Montero.
Per dovere di cronaca, ho recuperato tutte le espulsioni di Montero su cui sono riuscito a mettere le mani e le ho divise per categorie dello spirito, riconducendole a sue dichiarazioni o quelle dette da altri su di lui. Ci sono le espulsioni di furbizia, espulsioni che Montero prendeva per manipolare il contesto, evitare un gol oppure spostare l’inerzia della gara; espulsioni di avvertimento, espulsioni arrivate perché Montero doveva ricordare agli avversari la sua durezza, avvertirli che lui era lì e che era un problema, ma in cui finiva per esagerare, trascinato dalla necessità di essere duro e espulsioni istintive, le più famose, quando il calcio più che una guerra tra 22 persone diventava la guerra tra Montero e se stesso.