04/12/2020 | 18.30
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SU CATTEDDU

“Ubbiali, mi pare proprio che tu ti stia arrugginendo”, rimbrottò con astioso sarcasmo il generale Murru con la fronte imperlata di sudore nella canicola agostana. “In Sardegna ti ha preceduto la fama di ufficiale capace di risolvere in pochi giorni persino i casi più rognosi. Ora invece faticheresti a mandare dietro le sbarre addirittura un pluriomicida con la pistola fumante in pugno.”

Ricevuta la convocazione al comando regionale dei carabinieri di Cagliari per quella che si preannunciava come una tutt’altro che inattesa lavata di capo, Carlo non aveva faticato ad intuire che la luna di miele con il preposto della Legione Sardegna era ormai giunta al capolinea. A chiamarlo sull’isola in qualità di responsabile provinciale a Nuoro era stato proprio Murru, suo compagno di corso diversi lustri prima alla Scuola Marescialli e Brigadieri di Firenze. Ma il caso ancora irrisolto della sparizione di Teresa Piras aveva mandato su tutte le furie il generale. E la collera dell’alto ufficiale si era ulteriormente gonfiata dopo che gli organi di stampa avevano iniziato a ridicolizzare forze dell’ordine e magistratura per le interminabili lungaggini nelle indagini su un crimine il cui responsabile sarebbe apparso ovvio anche ad un alunno della scuola materna.

Tutto aveva avuto inizio in una gelida serata di marzo, quando ai carabinieri della stazione di Gavoi era giunta la telefonata di un pastore da una masseria sperduta tra i rilievi che cingono il lago di Gusana, al confine con il circondario di Ovodda.

“Mia moglie stamattina è uscita con su catteddu a raccogliere le erbe per preparare s’erbuzzu. Poco fa su catteddu è rientrato a casa da solo, e Teresa non so che fine abbia fatto.”

Immediatamente avvertito dal maresciallo Marra, preposto del distaccamento locale, il maggiore Ubbiali imbastì le ricerche inviando sul posto pattuglie da Orgosolo e Mamoiada oltre all’unità cinofila del comando provinciale di Nuoro, ed estese l’allerta a Polizia, Corpo Forestale, Vigili del Fuoco e Protezione Civile. Nel giro di un paio d’ore una cinquantina di uomini aveva iniziato a battere palmo a palmo la montagna attorno al podere da cui la donna si era allontanata. Ma dopo un’intera notte di frenetiche perlustrazioni della dispersa non s’era trovata traccia.

La mattina seguente il maggiore Ubbiali raggiunse il maresciallo Marra alla masseria, e ne approfittò per levarsi un paio di tarli che lo stavano rodendo dall’istante in cui aveva ascoltato la registrazione audio della richiesta di soccorso.

“Maresciallo, che diavolo sono s’erbuzzu e su catteddu?”

“Deve sapere, Signore, che s’erbuzzu è una minestra che all’inizio della primavera si prepara qui a Gavoi con certi germogli selvatici e la cagliata del latte di pecora. E su catteddu in Sardo significa il cane.”

“E cosa mi sa dire del marito della scomparsa?” - incalzò Carlo, accennando con il capo all’uomo che, con apparente noncuranza, gironzolava nella corte con su bonnete calato quasi sugli occhi.

“Maggiore, in questi frangenti ciascuno reagisce a modo proprio. Ma a me questo tizio dà l’impressione che l’avrebbe presa peggio se gli fosse sparita una pecora. In più, in paese passa per essere un poco di buono.”

L’attenzione dell’ufficiale fu d’improvviso richiamata dall’angusto gabbiotto ai margini dell’aia in cui era rinserrata la cuccia del catteddu. Quando Carlo si avvicinò, venne raccapricciato dalla vista di una povera bestia che rantolava agonizzante al suolo. Nei tratti del cane gli parve di riconoscere quanto restava di un esemplare della razza del pastore Fonnese, di cui tempo prima aveva ammirato alcuni capi ad un’esposizione in Barbagia. Del vello un tempo fitto e fluente non sopravvivevano tuttavia che rade ciocche, sperdute in un orripilante mosaico di piaghe e cicatrici.

Il maggiore Ubbiali si rivolse allora con tono duro al proprietario della fattoria, che a distanza lo scrutava di sottecchi.

“Chi ha ridotto il cane in questo stato?”

“Ieri su catteddu ha abbandonato la sua padrona in montagna, ed ha ricevuto la lezione che si meritava” - rintuzzò l’uomo, abbozzando un sottile ghigno che mise il carabiniere sul chi va là.

L’ufficiale si irrigidì ancor di più.

“Questi non sono certo i segni di percosse occasionali. Le notifico che il cane è sottratto alla sua custodia, e lei verrà denunciato per maltrattamento di animali”.

Il pastore fece spallucce, senza smorzare l’espressione di sfida che aveva stampata in volto. Il maggiore dispose il trasporto della bestia al canile del comando provinciale per vedere se il veterinario della compagnia carabinieri poteva tentare ancora qualcosa per salvarla. Si accomiatò quindi dal maresciallo Marra incaricandolo di indagare sul pecoraio, con la consegna di presentarsi a rapporto a Nuoro prima di sera.

Quello del proprietario della masseria era un curriculum criminum di tutto rispetto. Il maresciallo Marra, sceso nel tardo pomeriggio al comando provinciale mentre le ricerche della donna proseguivano infruttuose, impiegò un buon quarto d’ora a snocciolare al maggiore Ubbiali la fedina penale del pastore. Nel lungo elenco di malefatte spiccavano un tentato omicidio successivamente derubricato a lesioni gravi, ed una lunga litania di reati contro il patrimonio.

“Pare che in paese diverse persone fossero a conoscenza di maltrattamenti subiti dalla signora Piras ad opera del marito” - proseguì il maresciallo -  “ma non risulta che la donna abbia mai sporto denuncia.”

“Crede che il coniuge possa averla uccisa occultando il cadavere, e ne abbia successivamente simulato la sparizione?” - domandò Carlo, allarmato dalla piega che stava prendendo la vicenda.

“Non lo posso escludere, anche se per sostenerlo con maggior sicurezza avremmo bisogno di ulteriori riscontri” - considerò il maresciallo. “E ora come ora non saprei neppure da dove iniziare ad indagare. La coppia viveva in un isolamento pressoché totale, senza figli ne’ amicizie. Per raccogliere qualche testimonianza ci vorrà del tempo.”

Carlo congedò Marra dandogli appuntamento l’indomani a Gavoi, e si mise immediatamente al telefono per allertare la Procura della Repubblica di Nuoro. Dall’altro capo della linea il sostituto Melis, raccolti i sospetti dell’ufficiale dei carabinieri, elaborò immediatamente un piano d’azione.

“Maggiore, proporrei di procedere alla seguente maniera. Se entro domattina la donna non verrà ritrovata, firmerò un mandato per la perquisizione della masseria. Intanto allerti il RIS di Cagliari per l’effettuazione dei rilievi scientifici.”

Carlo, che non avrebbe puntato un quattrino sul buon esito delle ricerche, si trattenne al comando sino a tarda serata per organizzare un’operazione di polizia giudiziaria che si preannunciava decisamente complessa.

Il maggiore Ubbiali fu purtroppo buon profeta, e nella notte da Gavoi non pervenne alcuna notizia a riguardo della signora Piras. Il mattino successivo il sostituto Melis si spinse oltre lo spiccare il mandato di perquisizione che aveva promesso, disponendo anche il fermo del pecoraio. Poco più tardi una piccola colonna di automezzi dei carabinieri si mise in viaggio da Nuoro per mettere a setaccio il podere e dar corso all’ordine di custodia cautelare del sospettato. Dalla più lontana Cagliari sarebbe inoltre sopraggiunta una squadra del RIS, mentre dal continente era attesa un’unità cinofila dei cosiddetti “cani molecolari”, dotati di un fiuto straordinariamente fine, che si sarebbe unita alle ricerche della dispersa.

Dalla visita che il medico legale effettuò sull’indagato dopo il suo fermo, finalizzata ad individuare eventuali segni di una recente colluttazione, affiorarono i primi presagi di complicazioni lungo un percorso investigativo che in apparenza avrebbe dovuto essere del tutto in discesa. Il referto del dott. Floris certificava infatti l’insussistenza sul corpo dell’uomo di escoriazioni o lividi risalenti agli ultimi giorni.

Il quadro si fece ancor più intricato allorché furono resi disponibil i risutati dei primi accertamenti condotti dal RIS di Cagliari. Nessuna delle tracce di sangue rilevate all’interno della masseria e sugli utensili dell’allevatore era infatti risultata di tipo umano, né erano state reperite altre evidenze del compimento di un atto violento. Neppure dall’esame dei tabulati telefonici si ottennero indicazioni utili alle indagini: se nella disponibilità della donna scomparsa non risultava il possesso di alcun dispositivo mobile, il cellulare del pastore nel corso dell’ultima settimana era rimasto sempre agganciato alla cella nel cui perimetro era ricompresa la masseria, e le poche chiamate rilevate avevano come unica controparte il conducente dell’autocisterna incaricato di ritirare il latte.

Per soprammercato nemmeno i tanto celebrati cani molecolari, forse confusi dal lezzo degli armenti, erano riusciti a fiutare alcuna traccia, così come a nulla condussero le ricerche subacquee effettuate dai sommozzatori dei vigili del fuoco sui fondali del lago di Gusana. La signora Piras pareva essere svanita nel nulla, e senza una salma da sottoporre ad autopsia il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Nuoro, non potendo escludere a priori una disgrazia o un gesto di autolesionismo, non se la sentì di convalidare la custodia cautelare in carcere dell’indagato.

Nelle settimane successive le indagini sulla scomparsa di Teresa Piras non si smossero neppure di un centimetro dalla secca sulla quale si erano incagliate già dal loro avvio. Gli inquirenti erano sempre più sicuri che dietro la sparizione della donna vi fosse la mano del marito, ma in mancanza di un cadavere e di alcuna prova risolutiva che incastrasse il pecoraio dovevano rassegnarsi a masticare amaro osservando il sospettato scorazzare impunemente per la Barbagia. E gli organi di stampa non perdevano occasione per rigirare il coltello nella piaga, non riuscendo a capacitarsi di come un pastore pressoché analfabeta potesse tenere sotto scacco una squadra di investigatori navigati, perdippiù coadiuvati da un nutrito manipolo di professoroni universitari nominati come consulenti dalla Procura della Repubblica.

Le stilettate mediatiche si infittirono allorché all’inizio dell’estate un quotidiano locale pubblicò alcune fotografie del sospettato in atteggiamenti intimi con quella che pareva essere la sua nuova compagna. Si trattava di una donna di origini rumene, più giovane del pecoraio di almeno una trentina d’anni, che era sbucata dal nulla insediandosi nella masseria. L’allevatore affermava che la ragazza era stata assunta per sbrigare le faccende di casa e dare una mano nell’accudimento delle greggi, ma le istantanee rubate dal giornale ritraevano i due in pose inequivocabili. Fu proprio a seguito di questo scoop che il generale Murru convocò il maggiore Ubbiali a Cagliari per impartirgli una solenne strigliata.

Nel frattempo i carabinieri non erano certo rimasti con le mani in mano. Tutt’altro: a forza di scavi, sondaggi e carotaggi, i dintorni del podere di Gavoi erano divenuti un groviera, e non rimaneva ormai più pietra nella Barbagia di Ollolai che non fosse stata rivoltata alla ricerca di qualche traccia. Ma il corpo della donna non si trovava, e senza un cadavere il sostituto Melis era restio a mandare a giudizio il pastore. La Procura della Repubblica era stata categorica: il recupero della salma era assolutamente indispensabile per poter sbloccare il caso.

 

La fine dell’estate e buona parte dell’autunno se n’erano andati in ricerche infruttuose, perquisizioni della masseria che non avevano condotto a nulla ed intercettazioni ambientali senza esito. Di fronte a questa interminabile serie di flop persino l’inossidabile cocciutaggine bergamasca del maggiore Ubbiali stava iniziando a barcollare. Attraverso il buio fitto filtrava comunque un flebile raggio di luce: dopo aver lottato per settimane tra la vita e la morte nell’astanteria veterinaria del comando provinciale di Nuoro, il cane sequestrato al pecoraio s’era lentamente ripreso, ed era ormai stato eletto a mascotte della caserma dove tutti lo chiamavano semplicemente “su catteddu”. Carlo s’era profondamente affezionato all’animale, iniziando addirittura a portarlo a passeggio: dapprima con cautela - tenendolo al guinzaglio - nei dintorni del capoluogo, quindi in montagna in occasione delle frequenti escursioni che l’ufficiale soleva effettuare durante i fine settimana.

Un sabato di fine novembre, cullando tacitamente l’irrealistica speranza di poterne trarre qualche elemento utile alle indagini, il maggiore si lasciò tentare dall’idea di riportare il cane nei paraggi del podere dove l’animale aveva trascorso gran parte della propria esistenza. Era del tutto irragionevole sperare che il vecchio mastino, perdippiù a parecchi mesi di distanza dalla sparizione della sua padrona, fosse in condizione di fiutare delle tracce che in precedenza erano sfuggite al prodigioso olfatto dei cani molecolari. Ma ormai tanto valeva azzardare anche le mosse più disperate.

Carlo fece salire in auto su catteddu accomodandolo sul sedile accanto a quello del conducente, e si mise in viaggio senza troppa premura in direzione di Gavoi. Era una grigia ed uggiosa mattinata di fine novembre, eppure i paesaggi sulla via della Barbagia di Ollolai sprigionavano un fascino fiabesco, tra dolci alture coperte di lecceti e querceti che si a tratti si confondevano con un diafano velo di bruma. Giunto in prossimità della masseria, l’ufficiale liberò il cane, intuendo quasi immediatamente che purtroppo non v’era nessun colpo di scena in serbo. L’animale trottellerava infatti con apparente indifferenza lungo i sentieri, annusando distrattamente qua e là senza seguire alcuna pista precisa. Per non lasciare nulla di intentato, il maggiore Ubbiali si prese il tempo di effettuare un ampio tragitto circolare intorno alla fattoria, senza che il pastore di razza Fonnese desse comunque alcun segno di voler uscire dal suo stato di distacco.

Dopo qualche ora di cammino il carabiniere ed il suo cane erano ritornati al punto di partenza. Un po’ disilluso, con un fischio secco Carlo richiamò l’animale sull’auto, e per il rientro a Nuoro scelse di allungare di alcuni chilometri il percorso passando da Fonni per ammirare le propaggini settentrionali del Gennargentu.

Costeggiando la foresta di Montes, su catteddu iniziò a dare qualche segno di agitazione. Fino a quel momento il cane era rimasto tranquillamente accovacciato sul sedile, ma d’un tratto cominciò a raspare con le zampe sul finestrino del passeggero. Il maggiore abbassò un po’ il vetro in modo di consentire all’animale di sporgere il capo al di fuori dell’abitacolo, e la bestia si mise a fiutare nervosamente l’aria. L’ufficiale ridusse quindi la velocità dell’autovettura quasi a passo d’uomo.

Nei pressi della località di Pratobello, d’improvviso il cane prese a latrare forsennatamente. Carlo parcheggiò il veicolo su una piazzola a lato della carreggiata, e liberò l’animale. Questi iniziò a corricchiare con concitazione attraverso le sterpaglie, con il naso incollato al suolo. Pur faticando a tenere il passo del quadrupede, il carabiniere si guardò bene dal richiamarlo, e lo seguì per un paio di chilometri attraverso i pascoli. Da lontano il maggiore Ubbiali vide che la bestia aveva di colpo arrestato il suo galoppo, cominciando a scavare furiosamente con le zampe anteriori in una piccola pozza di liquami che doveva essersi formata laddove precedentemente era stato collocato un cumulo di letame.

Carlo ebbe un sobbalzo al cuore, stavolta di esultanza. Era più che sicuro che su catteddu avesse individuato il punto dove erano stati celati i poveri resti della sua padrona. Grazie all’autopsia ed  agli altri accertamenti forensi che finalmente sarebbe stato possibile effettuare sul corpo della vittima, le ore a piede libero del pecoraio erano ormai contate.

In attesa dell’arivo dei commilitoni del RIS, il maggiore Ubbiali osservava il sole calare dietro le possenti cime granitiche del massiccio di San Basilio, che si stagliavano di fronte a lui verso occidente. Il pensiero del carabiniere si rivolse alla propria squadra del cuore, della quale non aveva potuto seguire il match disputato nel pomeriggio. Prendendo nota dal proprio smartphone di un’inattesa sconfitta casalinga, Carlo non riuscì a trattenere un istintivo moto di stizza.

Iniziata da un paio di mesi, la stagione dell’Atalanta era stata preceduta da elevate aspettative da parte dei tifosi. Carlo stesso aveva iniziato a nutrire in cuor suo la speranza che questa fosse la volta buona per non veder sfumare qualche storica impresa proprio sul filo di lana, come invece era più volte accaduto in passato. Ma il percorso della compagine di Bergamo era stato sino a quel momento caratterizzato da diversi alti e bassi, con qualche vittoria impossibile ma anche più d’un passo falso del tutto improbabile.

Nel corso di parecchi anni di lavoro, il carabiniere aveva appreso che oltre alle indagini difficili esistono solo indagini apparentemente facili. E quelle che portano impresso il marchio dell’ovvietà, come l’inchiesta sulla sparizione di Teresa Piras, finiscono in genere per essere le più rognose. Ad alti livelli doveva sicuramente essere lo stesso anche per le partite di calcio. Ma il maggiore Ubbiali non disperava. Era infatti certo che, come era capitato a lui, anche l’Atalanta e il suo geniale stratega, attraverso la dedizione e l’impegno che non erano mai venuti meno, avrebbero presto incontrato sulla propria via il loro provvidenziale catteddu.

 

SenzaMalizia

By staff
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