30/05/2017 | 09.33
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Chi usa meglio le plusvalenze tra le medio-piccole?

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Lo strumento delle plusvalenze nelle mani di squadre come Torino, Atalanta e Genoa

 

Dopo aver analizzato in un articolo precedente le plusvalenze realizzate dai sette club più importanti – dal punto di vista economico – d’Italia nell’ultimo quinquennio, anche partendo dalle richieste di alcuni lettori abbiamo deciso di gettare uno sguardo anche sulla gestione delle plusvalenze delle società meno ricche. Il presupposto è che se per le “big” le plusvalenze possono significare la possibilità di costruire squadre più competitive rispetto a quelle che si sarebbero potute permettere con i soli ricavi strutturali, nel caso delle squadre “medio-piccole”, almeno in questa fase storica, le plusvalenze (che ricordiamo essere la differenza, se positiva, fra prezzo di cessione e ammortamento residuo a bilancio del giocatore ceduto) sono spesso un obiettivo fondamentale per garantire l’esistenza stessa dei club.

Come vedremo, andando a spulciare i bilanci delle società considerate, quasi tutte queste società rischiano un bilancio nettamente in passivo in caso di sessioni di mercato poco redditizie da questo punto di vista. anche in questo caso abbiamo diviso le otto squadre prese in esame in gruppi suddivisi in base al totale delle plusvalenze ricavate nell’ultimo quinquennio.

L’Udinese fa storia a parte

In testa alla classifica di chi ha realizzato più plusvalenze nelle ultime cinque stagioni troviamo l’Udinese con 209,4 milioni. Una cifra altissima, nettamente superiore a quanto riuscito a fare da tutte le altre squadre che analizzeremo e che pone in questa speciale graduatoria la squadra della famiglia Pozzo a livello di tre big quali Napoli, Juventus e Roma.

La strategia dei friulani non è più un segreto per nessuno da anni: investimenti importanti sul team di osservatori che scandaglia (di persona e tramite video) ogni angolo del globo alla ricerca di talenti in rampa di lancio che possano far bene per qualche anno con la maglia bianconera per poi essere rivenduti a peso d’oro. Per anni l’Udinese ha raccolto ottimi frutti, con i risultati sul campo a integrarsi con bilanci sempre in ordine. L’apoteosi si è raggiunta nella stagione 2012/13, quando in una sola stagione l’Udinese ha realizzato 87,2 milioni di plusvalenze realizzando un utile a bilancio di 32 milioni. Un’annata forse irripetibile per il numero di giocatori di livello venduti a buoni prezzi, basti pensare ai 18 milioni incassati per Asamoah, ai 15 milioni a testa incassati per le plusvalenze di Handanovic e Cuadrado, ai 9 di Candreva; ai quali si aggiungono molte altre cessioni un po’ meno remunerative fra le quali vanno ricordate Isla e Floro Flores.

Se nei primi tre campionati del decennio le plusvalenze a fine mercato sono sempre state più che soddisfacenti (42,9 nel 2010/11, 57,5 nel 2011/12), qualche difficoltà in più si è avuta negli ultimi anni, anche a causa dei costi sempre crescenti. Nel 2014/15, nonostante 48,3 milioni di plusvalenze – fra cui quella di Pereyra (13,6) e Muriel (10) – la società ha chiuso la stagione con un passivo di 6 milioni. Un campanello d’allarme che è risuonato ancora più forte l’anno successivo, particolarmente avaro di plusvalenze per le abitudini friulane (13,1 milioni, la maggior parte incassati grazie alla cessione di Allan) e per questo chiuso con un bilancio di -27.

I dati degli ultimi anni dimostrano che l’Udinese ha bisogno di circa 40 milioni l’anno da incassare in plusvalenze per far tornare i conti e mantenere la squadra competitiva, quantomeno per il vitale obiettivo di una salvezza tranquilla. Per farlo non c’è altro modo che continuare a scoprire talenti e rivenderli alle big. L’ultimo in ordine di tempo è stato Zielinski, venduto in questa stagione a 14 milioni. Grazie alla sua cessione, ma anche ad alcune altre fra le quali quella di Nico Lopez ai brasiliani dell’Internacional con una plusvalenza di 7,3 milioni, l’Udinese dovrebbe essere riuscita a portare a casa circa 33 milioni nel 2016/17 e ad avvicinarsi nuovamente al pareggio di bilancio.

I turbolenti mercati del Genoa

Anche il Genoa, come l’Udinese, merita un discorso a sé. Se si guarda al solo obiettivo del risultato sportivo le mosse di mercato dei rossoblù risultano spesso incomprensibili, non tanto per la cessione in serie di giocatori voluti dai grandi club, ma soprattutto per l’abitudine di stravolgere la squadra praticamente in ogni sessione di mercato, quella invernale compresa, causando così grandi problemi agli allenatori che si ritrovano a dover ricostruire tutto o quasi ogni sei mesi. Il motivo, non ci sarebbe manco bisogno di ribadirlo, è sempre quello di ricercare le famigerate plusvalenze, che con Preziosi soprattutto nei primi anni del decennio hanno raggiunto livelli non lontani da quelli dell’Udinese.

Nel bilancio su anno solare dei Grifoni si contano 38,9 milioni di plusvalenze nel 2010 (Papastathopoulos 12, Ranocchia 11,3), 62,2 milioni nel 2011 (El Shaarawy 19,8), 54,4 milioni nel 2012 (Longo 14). In quegli anni il Genoa si è spesso appoggiato al Milan nel fare acquisti e cessioni, visti gli ottimi rapporti intercorrenti fra Preziosi e Galliani che hanno permesso a entrambi i club di fare affari reciprocamente convenienti (sulla legittimità dei prezzi ai quali sono stati valutati alcuni giocatori si è discusso molto, e non è questa la sede per entrare in una polemica che ha riguardato, anche se in misura minore, anche i numerosi accordi intercorsi negli anni fra Udinese e Juventus).

Nelle ultime cinque stagioni, pur raggiungendo alla fine dei conti la ragguardevole cifra complessiva di 119,7 milioni di plusvalenza, gli introiti di questo tipo si sono ridotti (forse proprio a causa delle difficoltà economiche del Milan…) costringendo la proprietà a intervenire sui costi e a iniettare liquidità nel club, data l’impossibilità di evitare passivi causati dai costi di stipendi e ammortamenti non adeguatamente compensati dai ricavi ordinari sia nel bilancio 2014 (dove le plusvalenze totali si sono fermate a 13,2) che nel bilancio 2015 (chiuso a -10.5 nonostante 30,9 milioni di plusvalenze fra le quali Bertolacci a 15,8).

Il club dei 100 milioni: Torino, Atalanta e Palermo

Attorno alla quota 100 milioni di plusvalenze – sempre per gli ultimi cinque anni – troviamo tre club: Palermo 102,2, Torino 100 e Atalanta 96,2. I risultati sul campo dimostrano però che solo due di queste tre stanno continuando a sfruttarle al meglio. Da qualche settimana il Palermo è retrocesso in Serie B, dopo un biennio nel quale non è più riuscito a realizzare plusvalenze come quella da 10,7 milioni di Cavani, o quella da 9,5 per Kjaer nel 2010/11. Oppure i 28,9 milioni per Pastore nel 2011/12; i 27,6 per Dybala inseriti a bilancio nel 2014/15.

Particolarmente avaro il 2015/16 (appena 5,9 milioni dei quali 4,7 incassati con Belotti), nel quale Zamparini ha ovviato alla situazione raggiungendo in extremis il pareggio di bilancio con un’altra plusvalenza che però non riguardava i calciatori: sto parlando della cessione della controllata Mepal srl, detentrice del marchio “Palermo Calcio”, per 40 milioni a una società anonima con sede in Lussemburgo, realizzando una plusvalenza di circa 22 milioni. Ciò non toglie che la squadra fino a questo momento ha avuto bisogno di almeno una trentina di milioni all’anno di plusvalenze per stare in pari: la malaugurata retrocessione in Serie B potrebbe essere l’occasione buona per ridurre i costi intervenendo sul monte stipendi una volta che sarà completamente definita la situazione riguardante la proprietà del club.

Al contrario del Palermo, il Torino e l’Atalanta possono fare da esempi virtuosi. I granata, pur mantenendo una media di circa 20 milioni di plusvalenze l’anno, hanno un bilancio più sano di altre pari grado e ricorrono solo in minima parte a esse per raggiungere il pareggio di bilancio (l’ultimo dato ufficiale, che risale al bilancio su anno solare 2015, segnala un attivo di 9,5 milioni a fronte di plusvalenze per 17,5, quasi tutte incassate con la cessione di Darmian). Ciò non toglie che la società di Cairo si sia dimostrata particolarmente brava ad accrescere il valore di calciatori poi venduti, basti pensare ai 13 milioni di plusvalenza di Ogbonna nel 2013, ai 25 totali per Immobile e Cerci nel 2014, ai 10,6 di Glik nel 2016 e ai riscatti attesi di Maksimovic (19) e Bruno Peres (11).

A differenza del Torino, l’Atalanta dipende dalle plusvalenze per 25 milioni l’anno, ma la bravura della dirigenza bergamasca sta nel produrre con una continuità impressionante talenti da proporre ai grandi club potendo così programmare gli investimenti futuri (non solo in nuovi giocatori ma anche nello stadio di proprietà) con anni d’anticipo. Una tendenza che è sempre maggiore con il passare degli anni: nel 2012 (anche la “Dea” ha bilancio su anno solare) la plusvalenza migliore è stata quella relativa a Gabbiadini (8,5), nel 2013 Schelotto (5,7), nel 2014 Bonaventura (4,8), nel 2015 Benalouane (5,9), nel 2016 De Roon (14) ma notevole anche quella di Grassi (8). Nel 2017 sono già stati messi a bilancio i 15 milioni per Caldara e i tanti giocatori desiderati dal mercato dopo la straordinaria stagione della squadra fanno pensare a un probabilissimo record societario di plusvalenze in estate. Inoltre, non va dimenticato che Percassi ha già le garanzie di un’ottima plusvalenza anche per il 2018, quando scatterà l’obbligo di riscatto di Gagliardini da parte dell’Inter (20 milioni per il giocatore, cresciuto nel settore giovanile bergamasco).

Sampdoria, Bologna e Chievo: si può fare di più

Anche in quest’ultimo sottogruppo vanno fatte delle distinzioni. C’è infatti grande differenza fra il totale incassato nel quinquennio dalla Sampdoria (92,7 milioni) e quello di Bologna e Chievo (rispettivamente 64 e 65,4 milioni), ma ho ritenuto opportuno accorparle perché il risultato della Sampdoria è fortemente influenzato da una sola stagione, quella corrispondente all’anno solare 2016, nel quale il club di Ferrero è tornato all’attivo di bilancio – dopo numerosi anni in passivo – in gran parte grazie a 36 milioni di plusvalenze: le principali sono state 14 per Soriano e 9,8 per Eder. Solo il futuro ci dirà se il “colpaccio” dello scorso anno diventerà abituale. Nel 2017 parrebbero essercene le condizioni, visto che il risultato potrebbe essere raggiunto grazie alla eventuale cessione di Schick (ha una clausola rescissoria di 25 milioni a fronte di appena 3 milioni di ammortamento residuo, quindi la sua partenza può generare una plusvalenza di 22 milioni) e forse di Muriel (ammortamento residuo: 6 milioni), che si andranno ad aggiungere ai quasi 6 milioni incassati con l’uscita di Pedro Pereira. Nel 2012 la società aveva chiuso senza praticamente realizzare plusvalenze, facendo meglio nel 2013 (22,6 con quella di Icardi da 13) ma rimanendo su quote inferiori ai venti milioni nel 2014 (11,2) e nel 2015 (16,9).

Pur avendo raggiunto un totale simile fra loro, c’è infine da fare dei distinguo anche fra Bologna e Chievo. Il presidente dei felsinei, Saputo, per il momento pare poco interessato al pareggio di bilancio, tanto da aver chiuso gli ultimi due con circa 30 milioni di passivo e con appena 3 milioni complessivi di plusvalenze (nel 2016/17 la metà delle perdite dovrebbero invece essere coperte dai quasi 15 milioni di plusvalenza incamerati con la cessione di Diawara).

Il Chievo invece fa ogni anno salti mortali per far tornare i conti e finora ci è sempre riuscito, anche se dalla stagione 2013/14 ha dovuto aumentare sempre di più le plusvalenze per riuscirci (7,7 in quella stagione, 12,8 nel 2014/15 e 17,3 nel 2015/16 con bilanci finali sempre leggermente in utile ma prossimi al pareggio). Difficile per i clivensi immaginare un utile per il 2016/17, visto che le ultime due sessioni di mercato si sono chiuse senza plusvalenze di rilievo.

fonte ultimouomo.com

By marcodalmen
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