29/11/2021 | 14.00
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32 anni dopo: il passato è una terra straniera - by Albo

Era l’8 ottobre del 1989, Caniggia segnava il gol partita che i tifosi orobici avrebbero ricordato a lungo nei decenni a venire, sulla panchina dei nerazzurri sedeva l’indimenticato Mondonico e su quella dei bianconeri Dino Zoff, Gasperini capeggiava nel centrocampo del Pescara, mentre Allegri cercava fortuna nel Pisa.

Un altro mondo, un altro calcio, un’altra storia, ma molto simile a quella attuale, perché come allora, infatti la Juventus non nuotava in buona acque, e la classifica di fine stagione vide il Napoli di Maradona conquistare lo Scudetto, seguito da Milan e Inter, che guarda caso 32 anni dopo inseguono lo stesso obiettivo.

Coincidenze, certamente, ma sabato sera il profumo d’impresa era nell’aria, e date le premesse tecnico-tattiche e psicologiche iniziali, anche il più pessimista alla vigilia si sarà un po’ sbottonato.

E alla fine è accaduto: La Dea vince a Torino dopo 32 anni, perché nulla è eterno, e le statistiche sono fatte per essere aggiornate. Meglio tardi che mai quindi. Ma altro che legge dei grandi numeri: nessun intervento divino o strane congiunzioni astrali, ma una vittoria frutto merito di una maturità mentale e consapevolezza tecnico-tattica acquisite da tempo, ma non ancora del tutto confermate sul campo, dove recentemente gli scontri con i bianconeri hanno lasciato tanto amaro in bocca, ma mai demoralizzato una società e una squadra che si è sempre spinta oltre i suoi limiti.

Stesso risultato di 32 anni prima, ma la solfa è diversa: l’Atalanta concretizza quando possibile, soffre nel secondo tempo, ma non si disunisce mai, rimane sempre sul pezzo, concentrata, senza timori reverenziali o con la pressione di dover vincere, perché sulla carta per una volta tutti parametri si sono ribaltati.

La sfilza di pareggi e risultati “deludenti” delle ultime stagioni si sono rivelate preludio a qualcosa di grande, di sognato, ma non di insperato, perché questi ragazzi hanno sempre superato loro stessi contro tutto e contro tutti, in campionato come in Europa.

Questa vittoria epica è una prima ricompensa per ciò che abbiamo creato nell’ultimo quinquennio, un piccolo trofeo che certifica il nostro status di REALTÀ INTERNAZIONALE, perché non sempre trofei dicono chi sei, ma sono le azioni che compiamo ad affermare la nostra identità. E lasciatemelo dire, questa vittoria storica è alquanto eloquente.

Non c’era nessuna maledizione, ma sicuramente questa impotenza calcistica trentennale ha contribuito negli anni ridimensionare il nostro operato. Ora però il passato è una terra straniera, e la Dea è pronta a raggiungere altri lidi inesplorati, per continuare a scrivere la sua storia, unica nel suo genere.

 

Albo



 
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