32 anni fa Celestino Colombi
Il 10 gennaio 1993 passerà tragicamente alla storia come una delle date più infami e inaccettabili. Un fatto di cronaca nera, per i mass media, ma un colpo al cuore per i tifosi dell’Atalanta. Sul campo, Sul campo battiamo la Roma ma il campo conta poco. Colombi, lavoratore saltuario presso il Comune di Nembro e sofferente di anemia perniciosa, non regge allo spavento. Non era un ultrà, passava di lì per puro caso.
Alle quattro e un quarto (si giocava alle due e mezza) il lancio di bottiglie, pietre e monete della curva nerazzurra fuori dallo stadio contro i Carabinieri, che al contempo proteggono anche i 250 romanisti fuori dal settore ospiti. In via Caffaro, a metà tra Borgo Santa Caterina e il Quartiere Finardi, a duecento metri dal santuario del pallone, la tomba del quarantunenne Colombi.
Morto di paura, cosi' "semplicemente", vittima del caso e della patologia di cui soffriva. Colombi ha una fitta al cuore e si accascia, con due tifosi dell'Atalanta che provano a soccorrerlo. Viene chiamata un'ambulanza, ma non c'è nulla da fare. Oltre a Colombi ci sono tredici feriti, otto agenti e cinque ultrà.
Il turno successivo, nella maggioranza delle curve, c'è uno striscione emblematico. "10-1-1993: La morte è uguale per tutti". L'autopsia non ha riscontrato segni di ferite o percosse, così la cosa viene archiviata un po' di corsa, senza fissarsi. La questura, in un primo rapporto: "Per Colombi morte naturale".
La nostra curva ricorda ancora oggi quegli avvenimenti