04/06/2025 | 21.30
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A guardia di una fede (e al cinema con Sigo)

Il direttore di Bergamoesport.it e' andato al cinema a vedere il film sul Bocia accompagnato dal nostro Sigo e ne ha fatto il bel pezzo che segue


A guardia di una fede, un film dove il Bocia diventa Claudio, un uomo, con le fragilità di ognuno di noi, una persona trattata dallo Stato come un mostro


Con Sigo di atalantini.com, una vera e propria sorpresa, un ragazzo colto e illuminante, chef di lavoro, musicista e poeta, super, siamo andati a vedere “A guardia di una fede”, un film davvero fatto bene, interessante, veloce ed emozionante, una biografia che è riuscita a tenermi incollato allo schermo per quasi due ore. Bravo il regista, Andrea Zambelli, che con il passare dei minuti riesce a trasformare il capopopolo, appunto il Bocia, in Claudio Galimberti, un uomo, semplicemente, con la sua complessità e nella sua complessità, immerso nelle sue difficoltà, nella fragilità che ha chiunque di noi si trovi in un momento in cui tutto quello che si è costruito in quarant’anni, all’improvviso, non c’è più e bisogna trovare al più presto una strada per ripartire. La pellicola non è l’elogio all’ultrà più famoso d’Italia, temuto, rispettato e stimato da ogni curva della nostra penisola, come pensavo fosse prima di vederla, è invece la vita di una persona che ha seguito un sogno fin da bambino, quello di Bergamo come città dell’Atalanta e degli atalantini, cimentandosi in ogni modo per realizzarlo. Ci sono poi, in sottofondo, i tanti lati di lui opposti che mi fanno sospendere qualsiasi giudizio morale sulla sua persona, esercizio che mi hanno insegnato da piccino a dottrina, l’impegno non da poco di dividere ogni volta il mondo tra buoni e cattivi, secondo la filosofia cattolica, la nostra religione di Stato. Claudio si è menato con un sacco di gente, che non è una cosa buona, dico di quelle che ci sono nei dieci comandamenti, ma se le è date in accordo, insomma con altri che la pensavano come lui, che erano lì per quello, in fondo uguale a Mike Tyson quando ha steso Frank Bruno in diretta tv. E non è che dopo il match i due pugili sono stati daspati a vita. Li hanno intervistati a reti unificate, leccando il culo a entrambi. Con Claudio al comando, gli atalantini, così come altre tifoserie, avevano delle regole per i loro duelli, innanzitutto quella di non usare i coltelli, che sappiamo benissimo a cosa portano e ce l’ha ricordato l’ultimo tristissimo e angosciante episodio di cronaca accaduto a Bergamo, proprio nei pressi dello stadio. Di Claudio si ricordano le tantissime raccolte di fondi per le città colpite dai terremoti, migliaia di euro inviati in un battibaleno grazie alla sua incredibile forza aggregativa, e la sua vicinanza alla famiglia Gambirasio nel periodo della scomparsa di Yara. C’è in lui, e c’è stato in ognuno di noi che abbiamo vissuto la sua epoca, qualcosa di indimenticabile, almeno una Festa della Dea o un corteo fatto fino in fondo, divertendoci un sacco perché in quegli anni era uno dei pochi modi per stare insieme. Nel film il re è nudo, le stesse parole di Claudio sono amare, impegnato a dar da mangiare ai cavalli o a pescare delle cozze, si chiede se ci sia ancora bisogno di lui, “ora che a Bergamo sono tutti atalantini”. La risposta non posso darla io, resta che Claudio è stato trattato dallo Stato come il peggio mostro, chi tifa la Dea, invece, lo vede in modo ostinato e contrario, come un Cristo, salvifico e sofferente tra i malati del Papa Giovanni, appeso proprio nella chiesa del nostro ospedale. E poi le immagini toccano, sono trent’anni di Bergamo, le nostre strade, i nostri vicoli, le nostre facce, siamo noi che siamo qui, nella città dell’Atalanta.


Matteo Bonfanti 
Nella foto: Matteo Bonfanti con Claudio Galimberti



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