05/06/2017 | 04.23
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ABBIAMO INCONTRATO IL GASP!

Ebbene si, ha voluto incontrare anche noi e, grazie alla disponibilità dell'Ufficio Stampa dell'Atalanta BC, ci siamo trovati di fronte lui, Gianpiero Gasperini, da soli 11 mesi dipendente della società e già entrato di diritto nei libri di storia della societa' nerazzurra.

Eccovi quello che gli abbiamo chiesto e che ci siamo detti. La prima puntata la pubblichiamo oggi, la seconda verra' pubblicata domani.

Intervista di Rodrigo Diaz, foto di Marcodalmen e Calep

GASPINTERVISTA1

Ha due leggeri solchi lungo il viso, Giampiero Gasperini. Appena sotto gli zigomi, appena sopra gli angoli della bocca. Due solchi morbidi, impercettibili, leggermente arcuati, come una specie di parentesi.
Ecco, dentro quei due solchi sta tutta la personalità del mister. Stanno i suoi umori, le sue tensioni, le sue gioie e la sua grinta.


E’ allegro quando ci riceve. Il campionato ha ormai emesso i suoi verdetti e la pagina della storia dell’Atalanta è stata scritta, con la sua firma in calce.

Quei solchi disegnano un’espressione di curiosità. Un’espressione genuina, semplice ed estremamente concreta. L’espressione della gente che, nonostante una carriera brillante, nonostante le luci della ribalta, è rimasta sé stessa, legata ai propri valori, ai propri principi ed alle proprie tradizioni.

Ed è da qui che cominciamo.

Mister, le leggo sette nomi. Ne scelga uno.

Centro – Santa Maria – San Francesco (Fornaci) – Lesna – Paradiso Quaglia – San Giacomo (Fabbrichetta) – Gerbido.


“Fabbrichetta, sicuramente.”

I due solchi messi a parentesi si sono aperti, a contenere un ampio sorriso. Le borgate di Grugliasco. La sua terra, le sue radici gli hanno allargato il sorriso e la voglia di raccontare.


Quanto c’è della “Gente ‘d Grugliasc” nel modo di lavorare e di intendere il calcio di Giampiero Gasperini?

“Grugliasco ora è una città grande, inglobata nella cerchia della periferia industriale di Torino. Ma quando sono nato io, era una cittadina staccata dalla grande città. Una cittadina operaia, di commercianti, di gente attiva e di tanto lavoro. Con ancora i postumi della guerra e della voglia di ricostruire.”

Gli va di raccontarci della sua terra. Ne è fiero. Ne sente l’appartenenza, proprio come noi, quando ci chiedono di raccontare la nostra.

“A Grugliasco c’è la storia dei sessantasei martiri. In realtà erano settanta persone che vennero fucilate, a guerra già terminata. Era il 30 di aprile. I tedeschi si ritirarono, furono attaccati. Allora, per ritorsione, presero settanta giovani e li fucilarono. Quattro di questi si salvarono. Uno di essi divenne mio zio.
Io sono cresciuto così, con le storie di una guerra finita da non molto e con tanta voglia di lavorare per crescere. Per ottenere ciò che si desiderava.
Un po’ come la storia dei bergamaschi. Voglia di crescere basata sulla capacità lavorativa.
Ecco, io sono nato lì, ho avuto un’educazione basata sui valori di quella gente, ho imparato cosa significa lavorare sodo.”

Lei è stato un ragazzo precoce. E’ vero che si è presentato ai provini della Juventus a nove anni, quando l’età minima era dieci?


“Verissimo.”


Sorride di gusto. Gomiti appoggiati al tavolo ed espressione rilassata. Ci mette a suo agio con le sopracciglia morbide e lo sguardo divertito.


“Verissimo. Mi sono presentato con una bugia.
Poi, quando mi hanno chiesto il certificato di nascita, ci ho mandato mio padre.”


Gasperini, in fondo, è una persona limpida. Si denota dagli occhi, dall’espressione, dal suo modo di rapportarsi con chi gli sta di fronte. Se c’è una cosa che abbiamo imparato subito del suo carattere è la schiettezza. Non l’ha mai mandata a dire e non ha mai usato mezze parole o mezze frasi.


Lei è stato sia un giocatore ad alti livelli ed ora è anche un allenatore di primissima fascia. Trova più semplice rapportarsi da allenatore con i giocatori o da giocatore con gli allenatori?


“Sono due belle differenze. L’allenatore è sempre uno, mentre i calciatori sono venticinque, trenta.
Devo dire che però, da allenatore, in proporzione ho avuto pochissime situazioni difficili. Ovviamente, tenendo conto della percentuale di differenza tra il numero di allenatori e di calciatori che ho avuto.”


Giovanni Galeone ha sempre speso parole importanti nei suoi confronti. Diceva che lei era allenatore già quando ancora giocava. Le porto una sua citazione che riassume il suo modo di vedere il calcio: Il tridente è l’unico modulo che ha ragione di esistere, ti consente di scoprire nuovi orizzonti, di divertirsi e di divertire. Ce la commenti.


“La condivido. Non è l’unico, ma lo condivido. Lui è un esteta e ama molto il divertire.
Credo che il tridente sia quello che ti può dare più soluzioni, perché prendi per ampiezza tutto il campo in fase d’attacco e ti permette di adottare più soluzioni. Lo condivido. E devo dire che con Galeone abbiamo vissuto una stagione eccezionale. Una promozione incredibile. Abbiamo vinto un campionato di B da sorpresa, quasi paragonabile, con le dovute proporzioni, con il campionato fatto quest’anno dall’Atalanta.”


Quest’anno ha gestito un gruppo formato da giovani sorprese e da vecchietti preziosi nell’economia dello spogliatoio. E’ stato più facile tenere sempre sotto la giusta tensione i giovani o convincere i vecchietti a lasciare loro spazio?


“Sicuramente è stata più difficile la seconda. Non è semplice convincere qualcuno a farsi da parte. Anzi è impossibile ed impensabile pretendere che qualcuno si faccia da parte. Però è anche difficile trovare dei meno giovani così propositivi come abbiamo avuto quest’anno, che hanno accettato questa situazione. Di solito, queste situazioni creano grossi problemi di gestione. Anche noi abbiamo corso grossi rischi quest’anno, però alla fine sono stati bravi i meno giovani a remare non tanto verso i propri interessi, ma soprattutto verso gli interessi dell’Atalanta.”


Chi è il giocatore più forte che ha allenato?


“Domanda difficile.
Difficile, perché ho avuto la fortuna di aver allenato molti giocatori di altissimo livello. E sicuramente il Papu è uno di quelli.”


Qual è il fuoriclasse che le piacerebbe allenare, magari affidandogli compiti diversi da quelli che siamo abituati a vedergli svolgere?


“Tutti i grandi campioni.
Quando alleni dei grandi campioni, tutto diventa più facile, perché loro riescono a mettere in pratica con estrema semplicità quello che tu gli chiedi. Anche se gli assegni compiti differenti, realizzano le tue idee con facilità e le trasmettono in campo. Questo è quello che differenzia i campioni dai giocatori normali.”

 

(FINE PRIMA PUNTATA, SEGUE MARTEDI' 6 GIUGNO)

 

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By staff
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