24/04/2019 | 20.45
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Alla mia Curva. Con affetto

Due pezzi, sicuramente non uguali se non nell'argomento: l'addio alla Curva Nord prossima alla demolizione. Gradini sui quali migliaia di tifosi hanno lasciato il cuore

 

Whirlwind (turbinio) di Cuginus

Il cielo plumbeo di quest'aprile, rimbomba ancora di temporali lontani.

Le nuvole piovono lacrime per l'ultima illusione del Mago di Meda che scompare per sempre.

Il grigio orizzonte si mescola al cemento del Catino centenario che, logoro ma indomito, inizierà a sostituire pezzi di storia con moderne strutture.

L'animo è pervaso da un continuo subbuglio. Non c'è tempo di gioire che arriva una funesta notizia, rincorsa dall'attesa dello storico evento, che avrà per teatro la malinconica parabolica che ha sorretto per decenni le nostre emozioni.

Ma nell'animo, delle migliaia che sventolando i loro vessilli, scacciano gli ultimi nembi, rinasce una nuova forza, la memoria dei tanti che come Mino, Chicco, Ivan e altri ora sono scolpiti nei nostri ricordi, rafforza le braccia che mulinano le bandiere, scaldano le ugole pronte ad infrangere le barriere del suono, pompano linfa ai cuori che in questi giorni dovranno esser forti!

Non esiste nulla al mondo che mi faccia stare così, non ho mai patito altra malattia che mi conduca, a sto dio, alla follia!

Non è un numero o un nome sulla maglia, ma sono quei magici colori che uniscono il blu del giorno al nero della notte.

Solo chi è infetto al mio pari,  sentirà una scossa che scuoterà il plasma dal mellino al centro della fontanella.

Gli altri mi compatiranno ma non potranno mai godere di tali emozioni, non capiranno nemmeno di cosa sto parlando, perché anch'io travolto da questo turbinio d'emozioni ed eventi non so più se gioire, dolermi, urlare o piangere, onorare o disprezzare, avanzare o fermarmi.

Giovedì andare a manetta! Venerdì onorare! Sabato piangere! Domenica fermarsi! Lunedì urlare!

GHA STO PIO DET!

L'immagine può contenere: spazio all'aperto

Ciao curva Nord di Ago76,

quella di lunedì sera contro l’Udinese sarà la tua ultima partita. Verrai abbattuta in pochi mesi per lasciare spazio ad un’altra costruzione all’avanguardia, molto più confortevole e capiente, primo step del rifacimento dell’intero stadio e dell’area circostante.

Sarà difficile e strano abbracciarti per l’ultima volta.

Io che ho cominciato a frequentarti da bambino e che ora mi accingo a salutarti. Tu, simbolo e tempio del tifo atalantino, anche se, è bene specificare, non l’unico cuore pulsante dell’atalantinità.

Temevo di non poter essere presente a questa partita dell’addio, dato che la domenica era in programma la rima comunione di mio figlio: quando ho saputo che la sfida con l’Udinese era stata spostata al lunedì, ho esultato come ad un gol. Sarebbe stato impossibile per me non celebrare l’ultimo appuntamento con la curva Nord versione 1.0.

Se i tuoi muri o i tuoi gradoni potessero parlare, racconterebbero moltissimo di me e di tutte le migliaia di persone che ti hanno frequentata in questi decenni.

Potrebbero raccontare l’emozione della mia prima volta, una domenica di 35 anni fa, quando mio nonno mi accompagnò per vedere gli ultimi minuti di una partita contro l’Arezzo. Eri una curva diversa, senza parterre metallici e con la pista di atletica a frapporsi tra tifosi e campo da gioco.

Potrebbero raccontare l’emozione, forse ancora più grande, della prima volta in cui ho portato mio figlio, in una serata di fine estate per il pirotecnico esordio del Gasp sulla nostra panchina.

Potrebbero raccontare la gioia per una promozione ottenuta, per una qualificazione europea, per una vittoria al novantesimo. Ma anche la gioia forse più grande di tante amicizie che porto nel cuore.

Potrebbero raccontare la tristezza e le lacrime per la scomparsa di un amico, o di un giovane poco più grande di me come Federico Pisani.

Potrebbero raccontare la tensione durante le partite a rischio, oppure durante i tafferugli i cui effetti erano tangibili anche per chi stava al tuo interno.

Potrebbero raccontare (ma è meglio che non lo facciano) gli episodi in cui, anni or sono, mi sono lasciato andare un po’ troppo.

Potrebbero raccontare la rabbia per l’aggressione da parte di alcuni che credevo amici ad altri fratelli atalantini.

Potrebbero raccontare l’orgoglio ed il senso di appartenenza maturati in tutti questi anni.

Ma racconterebbero anche momenti apparentemente insignificanti, ma che per qualche motivo che sono insinuati nella mente e non se ne andranno più.

Mi mancherai, mia curva.

Mi mancherà l’antistadio dove un tempo parcheggiavo la moto, dove era collocato l’ingresso alla “zona franca” in cui era tabù entrare per chi non avesse indosso i nostri colori (anche e soprattutto per le forze dell’ordine).

Mi mancheranno quegli spazi ricavati sotto le tribune, dove rimanevamo stipati in centinaia o migliaia nei prepartita piovosi, così come mi mancherà quell’angolo sotto le scale in cui c’era la “Butiga” delle vecchie Brigate.

Mi mancheranno quelle scale così ripide sulle quali andavo nervosamente su e giù tra un tempo e l’altro, oppure quando dovevo scaldarmi dal freddo delle serate invernali.

Mi mancheranno i pali posti in cima alla curva, dove si appendevano gli striscioni (striscioni di gruppi, di protesta, di addio a qualcuno, o di benvenuto), ma che negli anni indietro mi hanno visto arrampicato su di loro per vedere la partita da una posizione un po’ insolita.

Mi mancherà la “regnada”, la barriera di plexiglass che divide la curva dal campo, sulla quale mi sono arrampicato (ed a volte anche scavalcato) più volte alla ricerca di una maglia lanciata dai nostri eroi, ringhiera con le estremità appuntite, sulla quale ho rotto felpe e pantaloni, procurandomi anche evidenti segni per via dei quali mia madre continuava a domandarsi quando sarei cresciuto.

Mi mancheranno i parterre metallici, sui quali ho trascorso i miei vent’anni nonostante la visuale fosse pari a zero, dai quali ad ogni gol correvo verso il campo, travolgendo (e facendomi maledire) tutti quelli che avevo davanti.

Mi mancherà quella piazzetta a forma di mezzaluna tra i parterre ed il plexiglass, dove a volte i bambini giocavano tra loro e dove prima della partita passeggiavo guardando la curva dal basso cercando di scorgere qualche sguardo conosciuto sugli spalti.

Mi mancheranno le balaustre metalliche tra i gradini. Barriere che proteggevano la mia ragazza di allora (ora mia moglie) dalla frana umana ad ogni gol, così come servivano negli ultimi tempi a mio figlio per vedere meglio la partita.

Mi mancheranno i gradoni in cemento su cui ho guardato centinaia di partite, così come mi mancheranno alcune persone con cui ho condiviso quei momenti. Mi mancherà l’immagine di mio nonno che mi accompagnava con il suo immancabile paltò lungo e relativo cappello, mi mancheranno le sue espressioni e la sua educazione.

Mi mancherà la quotidianità: entrare e sentirsi a casa, sentirsi tra amici. Guardarsi in giro su quei gradoni e vedere le solite facce nei soliti posti, con persone non conosciute direttamente, ma considerate quasi come amici.

Mi mancherà persino la pioggia, che rendeva un po’più eroica ed un po’ più pazza la domenica all’Atalanta quando c’era maltempo. Anche se, in tutta onestà, questa sarà la cosa che rimpiangerò meno, perché a 43 anni cominciavo a sentire il bisogno di qualcosa sulla testa (e non mi riferisco ai capelli che, ahimè, se ne stanno andando).

Mi rimarrà sempre l’emozione di vederti dall’esterno quando ti passo davanti per andare in centro o per andare al lavoro.

Mi rimarrà sempre la sensazione di familiarità che si avverte a casa propria, sensazioni che comune a molti altre persone che hanno l’Atalanta nel cuore.

Mi rimarrà sempre la voglia di andare all’Atalanta. Anzi, forse con lo stadio nuovo ne avrò ancora di più.

Finisce un’epoca, e si apre un capitolo nuovo in cui la nostra Atalanta si sta attrezzando e strutturando per diventare qualcosa in più di una semplice provinciale.

Sarà come cambiare casa, nella quale però vivere con le stesse persone. Perché se cambia la struttura, la gente rimane la stessa. Perchè la Curva siamo noi. Tutti insieme.

By staff
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