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Astutillo premiato da Mattarella



Da noi aveva giocato solo una stagione in chiusura di carriera come secondo di Ferron senza mai entrare in campo nemmeno un minuto nel 1991/92, non si può certo dire che abbia lasciato un segno indelebile per le sue imprese calcistiche.

Ma il calcio non è tutto, per lui è stato uno strumento per fare del bene.

L’uomo, 63 anni, nel corso della carriera spesso travagliata ha giocato per Brescia, Pistoiese, la Roma, Lazio e Inter, per terminare il percorso all’Atalanta. Ma è nel sociale che probabilmente Malgioglio raccoglie i successi più importanti della sua vita, poco riconosciuti dal mondo del calcio, ma finalmente almeno dal Quirinale che lo premierà il prossimo 29 novembre per «il suo costante e coraggioso impegno a favore dell’assistenza e dell’integrazione dei bambini affetti da distrofia». La folgorazione avviene a Natale del 1977: Malgioglio viene convinto da alcuni amici a far visita a un centro per bambini cerebrolesi. «Mi impressionò la loro emarginazione, – ha raccontato a Il Fatto Quotidiano – l’abbandono, il menefreghismo della gente. Fu un’emozione fortissima, un pugno nello stomaco. I miei genitori si sono sempre impegnati nel sociale e mi avevano già insegnato il rispetto e la solidarietà verso gli altri, ma quel giorno tutto mi apparve chiaro».

La carriera calcistica e gli studi in medicina
La carriera è sempre in continua ascesa: parallelamente al calcio porta avanti gli studi e si laurea in Medicina ed è il 1980, quando Azeglio Vicini lo vuole nell’Italia Under 21 come vice di Giovanni Galli. Traguardi che non gli sono sufficienti a sentirsi appagato: per cui parla con la moglie, Raffaella, e insieme decidono di studiare una soluzione per quei bambini. «Acquistammo i macchinari e aprimmo a Piacenza un centro per la riabilitazione motoria dei bambini. Chiamai la palestra “Era77”, dalle iniziali del nome di mia figlia Elena nata nel 1977, di mia moglie Raffaella e del mio. Offrivamo terapie gratuite ai bambini disabili. Li aiutavamo a camminare, a muoversi da soli». Per lui «la vita non è solo una palla di cuoio». L’impegno nel sociale non viene visto di buon occhio dalla società in cui gioca, il Brescia. Che infatti lo mette fuori squadra a causa dello scarso impegno, nonostante avesse dato un contributo fondamentale alla promozione nel 1979/80 e nella stagione 1981/82. «Quello pensa agli handicappati anziché parare», gli dicevano. Accuse cui lui risponderà anni dopo: «In tutta la carriera non ho mai saltato un allenamento.

L’ultima stagione calcistica la gioca nell’Atalanta: dice addio al calcio nel 1992, a 34 anni dopo 264 gare disputate fra i professionisti. Il pallone si dimentica presto di lui e nel 1994, per mancanza di fondi, deve chiudere la sua palestra. «Offrivo assistenza gratuita, e il denaro per un’idea del genere, l’unica possibile, non c’era più. – ha spiegato – Ho regalato i macchinari. Finché ho potuto, raggiungevo i pazienti a domicilio». Nel 2001 una nuova doccia fredda: la sua associazione “Era77” deve cessare l’attività. «Pensavo di non venirne fuori. Ma ora ho ripreso ad aiutare gli altri con mia moglie Raffaella e sono molto felice. – ha detto al Corriere della Sera – Mettiamo a disposizione la nostra esperienza. Io ho sempre usato le mani, il Signore mi ha dato questo talento e continuo a farlo, stando in mezzo alla gente che soffre, dando tutto me stesso. Perché, come dice il mio padre spirituale, le mani bisogna sporcarsele, mettendole anche nella m***a». Oggi Malgioglio è ancora in attività: sviluppa progetti di sporterapia e continua a battersi per l’integrazione nello sport fra disabili e normodotati.

 

fonte open.online
By brignuca
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