12/08/2017 | 08.01
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Atalanta: quella passione capace di sfidare anche la morte

Risultati immagini per tifosi atalanta europaMartino, quell’amico che se ne è andato prima di vedere i nerazzurri in Europa: quante storie di tifosi sono legate dalle emozioni provate allo stadio 

Questa storia inizia con un ricordo privato, ma non si tratta di una faccenda personale. È che proprio in questi giorni, due anni fa, se ne andava il mio amico Martino, con cui ho condiviso moltissime cose fin dagli anni Settanta: tra queste, lo stadio. E proprio ancora di Atalanta parlavamo sul letto dell’ospedale, l’ultima volta che ci siamo visti, con quella incoscienza del futuro, quella leggerezza delle piccole cose quotidiane che — come sa chiunque ha esperienza della malattia — è uno dei conforti maggiori per chi ci sta in mezzo.

Invece di dirci di esami e terapie, discutevamo della conferma di Reja. Crudelmente, Martino non avrebbe visto neanche la prima partita, di quel campionato. Quest’anno, mentre i nerazzurri di Gasperini davano corso alla più fantastica stagione atalantina di sempre, un pensiero ricorreva nelle chiacchiere con gli amici comuni: che beffa, che il destino non avesse dato in sorte al suo cuore di tifoso di godersi una stagione così. Poi, verso la fine del campionato, quando il traguardo diventava concreto e vicino, ho cominciato a leggere sui siti dei nostri tifosi storie non dissimili. C’era chi si commuoveva ricordando il padre che lo portava allo stadio da piccolo e che adesso non c’era più; chi, come me, un amico che se ne era andato; chi un fratello maggiore, uno zio, una donna… Tutte storie in cui la gioia si accoppiava alla malinconia, come se una fosse la condizione dell’altra. Ed era curioso come tutti noi che ci trovavamo a rimpiangere qualcuno, ce ne ricordassimo proprio nel momento della felicità più grande, quando ci dovrebbe essere tempo e spazio solo per la festa.

 Ma di cosa è fatta la gioia di un tifoso dell’Atalanta? È fatta di storia, di tutto quello che ha preceduto quel momento. Noi non siamo abituati a vincere qualcosa a ogni stagione, noi sappiamo quanto ci sia costato un anno come quello appena passato. Come dimenticare chi ci era vicino nell’attesa, nei pochi momenti di successo e nei molti momenti in cui ci è toccato chinare il capo — e che poi ha avuto la sfortuna di non esserci quando tutto si è compiuto come in una favola?

Una dozzina di anni fa io e Martino andammo a vedere un Roma-Atalanta all’Olimpico. Praticamente, ultrà a parte (arrivati in corriera), fummo gli unici due a comprare un biglietto per il settore ospiti. La partita finì male, 3-1 per i giallorossi. La polizia ci fece aspettare più di un’ora prima di farci uscire. A quel punto, quelli della curva salirono sul bus e ripartirono verso Bergamo. Noi rimanemmo lì, nel deserto che era diventato il Foro Italico, senza un taxi per rientrare in centro. Era mezzanotte passata, ci incamminammo lenti verso il nostro albergo dall’altra parte della città. L’immagine di quei due viandanti sperduti nella notte romana con l’unica colpa di essere bergamaschi aveva un che di metafisico che ci fece sorridere. Ecco, a due settimane dall’inizio del nuovo campionato, prima che si ricominci a parlare di Gomez, di cessioni sbagliate, di Petagna che potrebbe segnare di più, mi piace usare questi ultimi giorni di quiete per riflettere su come l’Atalanta sia un collante emotivo capace di sfidare anche la morte. Lo so, l’affermazione può suonare provocatoria, per qualcuno blasfema. Ma solo per chi non ha mai tifato davvero.

fonte bergamo.corriere.it

By marcodalmen
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