30/01/2020 | 20.20
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Bella intervista a Talamonti

L’antidivo Talamonti: “Gestisco una ferramenta. Alleno gratis, l’Atalanta è nel mio cuore. Il calcio di oggi non mi piace perché…”


Grandi uomini si nasce, giocatori in prima squadra si diventa. Il calcio è stato ed è la passione più grande di Leonardo Talamonti, quando è calato il sipario sulla sua carriera però qualcosa lo ha spinto a cambiare vita. L’ex difensore ha ricercato la felicità scegliendo i chiodi migliori e le chiavi giuste e ancora il suo amatissimo prato verde

La giusta distanza, gli utensili migliori, le passioni di sempre. Oggi Leonardo Talamonti ha 38 anni ed è un uomo felice. Andato dove l’ha portato il cuore. Il calcio è stato tutto per “Leo” che palla al piede è partito dal paesino di Alvarez in provincia di Rosario ed è arrivato al comune marchigiano di Ripatransone per scoprire le sue origini. L’esperienza alla Lazio è stata breve ma intensa, quella all’Atalanta lo ha segnato nel profondo. Talamonti ha chiuso la carriera in Argentina poi ha preso tra le mani la ferramenta di famiglia: e ha trovato le chiavi giuste per aprire le porte sul futuro. Usando i chiodi migliori, quelli che non ne schiacciano altri. L’ex difensore ha appeso un nuovo capitolo sulla parete della sua vita, fatto di semplicità e di tanta passione.

Leonardo, che cosa fa oggi nella sua vita?
Due anni e mezzo fa ho deciso di chiudere la mia carriera da calciatore. Da qualche anno avevo una ferramenta di famiglia e ho scelto di prenderla tra le mani. Sono tornato a casa mia in Argentina, lavoro in ufficio e a contatto con la gente. Faccio di tutto. Anche mia moglie è in ufficio, mio padre guida il furgone e trasporta la merce da una parte all’altra. Insieme a noi lavorano anche due operai.

Lei vive in un paesino dell’Argentina: come è tornare in una realtà così piccola dopo essere stato sotto i riflettori del calcio?
Abito ad Alvarez a 25 chilometri da Rosario, il paesino ha 9000 abitanti. Avevo ben chiaro che cosa fare. Quando ho smesso di giocare sono tornato a casa ad Alvarez dove sono nato insieme alla mia famiglia. Ho tutto in questo paesino: anche una casa. Non mi piacciono le grandi città, per questa ragione mi sono trovato molto bene a Bergamo quando giocavo.

Oltre ad occuparsi della ferramenta, lei fa ancora calcio in qualche modo?
Nel mio paesino ci sono due club. Io do una mano all’Union de Alvarez. Non voglio essere pagato, lo faccio per passione. Ho giocato con loro da piccolo fino ai miei 15 anni, quando sono andato nella Primavera del Rosario Central e poi ho esordito in prima squadra. Sono molto legato a questo club: alleno gli Allievi e do una mano alla dirigenza. Per me ogni giorno dovrebbe durare 38 ore…


Ha anche qualche altro hobby?
Mi piacciono i go-kart, ne ho sempre preso uno per girare in pista nei posti in cui sono stato. Mi dicevo sempre: quando finisco col calcio, andrò a fare le corse. Ho chiuso la mia carriera da due anni e mezzo e non sono ancora riuscito a fare un giretto. Non trovo il tempo.

Come vede il calcio di oggi? Lei ringrazia di non farne più parte?
Non mi piace la gente che gira intorno al calcio: procuratori, dirigenti e calciatori. Non mi piace l’ambiente, non mi è mai piaciuto. Ho pochi amici nel calcio. I dirigenti continuano a chiamarmi, ma io sono stato sincero con loro e gli ho detto che non volevo più farne parte. Voglio fare calcio a livello amatoriale. Non escludo tra qualche anno la possibilità di allenare una squadra giovanile del Rosario, in questo momento però non voglio farlo. Il calcio di oggi è peggiorato rispetto a quello che praticavo io.

Per quale ragione non le piacciono i calciatori di oggi?
Io sono sempre stato un antidivo: a Bergamo mi definivano così. Non mi piace la fama, sono una persona molto timida. Mi vergogno di tante cose, quando mi fermano per strada per firmare un autografo mi imbarazzo. Da ragazzo stavo molto a casa, uscivo poco. L’ho fatto un po’ con mia moglie: quando eravamo a Bergamo, andavamo fuori a cena a Milano tantissime volte però da soli. Sono diverso dagli altri calciatori.

Quando è nato il suo legame con il nostro Paese? Lei ha origini italiane?
Io sono cresciuto con mio nonno. Mio padre mi diceva sempre che i nostri parenti erano originari della provincia di Ascoli Piceno precisamente di Ripatransone, un paesino in una zona collinare. A casa nostra si parlava italiano. Mia nonna faceva Capriotti di cognome, mio padre Talamonti, in famiglia c’erano i Lanciotti: erano tutti italiani originari della stessa zona tra Ascoli e Ancona. Quando sono arrivato in Italia alla Lazio sono andato a Ripatransone per vedere dove era nato il mio bisnonno che si era trasferito in Argentina. Ho portato mio padre per fargli conoscere le nostre origini. Sono stato sempre molto legato all’Italia, ho avuto sempre una grande passione per il vostro Paese.

Come è nata la trattativa che l’ha portata alla Lazio?
Il modo in cui sono andato via dall’Argentina mi ha segnato: è una delle ragioni per cui il calcio non mi piace. Nel mio Paese un procuratore poteva acquistare il cartellino di un calciatore insieme ad altri suoi collaboratori formando un gruppo di impresari. Mi hanno portato alla Lazio in prestito. Finito il mio contratto, io ho parlato col presidente Lotito per discutere il rinnovo: lui mi avrebbe fatto un contratto di 3 anni se avessi lasciato quei procuratori, ma non ho potuto farlo. Questo gruppo mi ha portato al River Plate che ha preso la metà del cartellino. Dopo una stagione sono passato all’Atalanta con questa gente alle spalle, fino a quando la Dea non mi ha acquistato.

Lei si sentiva l’ostaggio dei suoi procuratori?
Sì e mi faceva male perché non era una situazione normale. L’unica cosa che gli importava era fare affari, non gli importava niente del calciatore Talamonti. Ringrazio sempre l’Atalanta per avermi acquistato. Il primo anno sono arrivato in prestito, ho giocato tanto e ho fatto molto bene. Ringrazierò sempre la famiglia Ruggeri per avermi preso: si è comportata molto bene nei miei confronti.

Tra gli argentini e l’Italia e soprattutto Bergamo c’è un grande feeling…
Prima del mio arrivo all’Atalanta ci sono stati Maschio, Caniggia, Leonardo Rodriguez. Poi è toccato a me e sono arrivati altri argentini: Tissone, Denis, Maxi Moralez, Papu Gomez e José Palomino. Mi fa piacere che gli argentini si trovino bene all’Atalanta. Io la seguo ogni weekend e quando gioca in Champions . Ho visto il 7-0 al Torino: non è facile andare a vincere lì e fare 7 gol. L’Atalanta di oggi sta facendo cose impressionanti e davvero bellissime.

Lei giocava nell’Atalanta quando è arrivato Antonio Percassi: che cosa ricorda?
Alla fine della stagione 2009-10 siamo retrocessi, l’anno dopo siamo ripartiti dalla B e Percassi ha preso l’Atalanta che ha centrato la promozione in A. Percassi pensava in maniera diversa dagli altri presidenti, vedeva il calcio e la società in un altro modo. Non pensavo che l’Atalanta sarebbe arrivata così presto in Champions. Quando siamo tornati in A io sono andato via, ma ero certo che la squadra avrebbe fatto bene perché c’erano un bel presidente e un grande direttore sportivo come Roberto Spagnolo che aveva lavorato anche con la famiglia Ruggeri e che è una persona eccezionale.

Quale è il segreto di questa Atalanta?
Hanno preso ottimi giocatori che sono cresciuti molto a Bergamo da quando sono arrivati. Gian Piero Gasperini è un allenatore fortissimo. Non lo conosco, ma ho giocato tante volte contro le sue squadre ed è sempre stato molto rispettoso. Mi fa piacere che l’Atalanta sia nelle sue mani.


Lei è stato allenato da Antonio Conte all’Atalanta: che ricordo ha?
All’inizio ho giocato molto con Conte poi sempre meno. Antonio ha preso la squadra alla quarta giornata dopo Angelo Gregucci, ma non abbiamo fatto bene con lui. Però sapevo che Conte avrebbe sfondato con un’altra squadra. Forse noi non eravamo i calciatori adatti per il suo stile di gioco. Già allora aveva una mentalità vincente.

All’Atalanta lei ha subito un brutto infortunio ai legamenti del ginocchio: è stato sfortunato a Bergamo?
Al mio primo anno in prestito ho fatto molto bene, l’anno dopo mi hanno comprato però alla seconda partita che ho giocato mi sono rotto il crociato contro la Lazio. Sono tornato in campo quattro mesi e mezzo dopo e ho fatto bene. La stagione successiva è arrivato Delneri che considero il migliore allenatore che ho avuto. La sua tattica difensiva è strepitosa, ho imparato tantissimo da lui. Il mister è molto esigente coi difensori. Io faccio altrettanto coi ragazzi che alleno: difesa altissima, stretta e in linea.


Lei ha segnato il suo primo con l’Atalanta contro la Lazio: si è preso la rivincita nei confronti dei biancocelesti?
No, ho fatto gol ma non ho esultato per rispetto nei confronti della tifoseria e di tutta la gente che ruota attorno alla Lazio che si è comportata bene con me. La tifoseria si è comportata sempre bene con me.

Lei è stato compagno di squadra di Simone Inzaghi sia alla Lazio che all’Atalanta: che cosa ricorda?
La Lazio di oggi è una grandissima squadra. Simone è stato sempre molto simpatico con me dal primo giorno in cui sono arrivato a Roma: lui, Angelo Peruzzi e Fernando Couto sono stati da subito molto gentili con me. Anche Paolo Di Canio lo è stato. Dopo la stagione alla Lazio, io e Simone ci siamo ritrovati all’Atalanta: avevamo un grandissimo rapporto. Sono contento che stia facendo bene perché se lo merita.

Le piace Inzaghi come allenatore?
Non mi immaginavo che sarebbe diventato un allenatore così, pensavo che avrebbe fatto qualcosa in coppia con suo fratello Pippo. Simone però parlava sempre di calcio. Quando eravamo in ritiro all’Atalanta lo facevamo sempre tutti insieme: all’epoca c’erano Cristiano Doni e anche Vieri. Io ero più piccolo di loro e ascoltavo.

Pensa che Atalanta e Lazio possano vincere lo scudetto in futuro?
Sono molto vicine alla Juventus che è un passo avanti rispetto a tutte le altre squadre. L’Atalanta però ha fatto un salto di qualità e non è più una squadra di mezza classifica. La squadra è cresciuta e lo dimostra il fatto che pensa alla Champions, è maturata molto dal punto di vista caratteriale.


Lei ha giocato insieme a Gonzalo Higuain nel River Plate 2005-06: che calciatore era da giovane?
Gonzalo giocava dietro le punte, non era un attaccante d’aria. Era fortissimo ed era un giocatore diverso da quello di oggi. Daniel Passarella lo ha portato in prima squadra e lo ha messo in quella posizione. Quando Higuain partiva da dietro era velocissimo. Mi ha sorpreso vederlo prima punta. È un attaccante ancora molto forte palla al piede.

Higuain è stato criticato perché spesso non è riuscito a incidere nelle finali: che cosa ne pensa?
Io non la penso così perché Higuain è fortissimo. Dicono che Messi giochi bene col Barcellona e con l’Argentina no, le cose non stanno così. La stessa cosa vale per Higuain: è fortissimo e lo dimostra il fatto che nella sua carriera ha giocato nelle migliori squadre d’Europa e continua a farlo nella Juventus. È fortissimo.

Quale è stato l’attaccante più difficile da marcare nelle sue stagioni in Italia?
Quando sono arrivato alla Lazio ricordo Adriano, poi Zlatan Ibrahimovic che ha tutto e continua a dimostrare di essere un fenomeno. Adesso è tornato al Milan e sta facendo bene, Ibra è veramente un grande giocatore.

Lei ha un sogno nella sua seconda vita dopo il calcio?
Vorrei essere felice con la mia famiglia qui nel mio paesino di Alvarez dove vivo. Non desidero altro. Ho fatto più di quello che immaginavo da piccolo, molto di più. Il finale della mia carriera non è stato quello che desideravo perché ho avuto tanti infortuni, però ho giocato nelle squadre piccole dell’Argentina con la stessa passione con cui ho giocato nell’Atalanta e nella Lazio. Il calcio è la mia vita, oggi lo vedo da un’altra prospettiva allenando i ragazzi e continuo a vederlo in televisione. La mia passione è la stessa di sempre, ma non cullo altri sogni in questo mondo. Vorrei essere felice coi miei figli Alessio e Matteo e con tutta la mia famiglia. Vi ringrazio per esservi ricordati di me: quando finisci di giocare in Argentina non ti ricorda più nessuno ed è uno dei motivi per cui mi dà fastidio il calcio moderno. Sto bene dove sono, non mi serve nient’altro. Sono in debito con la famiglia bergamasca: non vengo in Italia da cinque anni e devo venire a salutarla. Forse ad agosto farò un salto insieme alla mia famiglia.

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