29/09/2023 | 09.09
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Breve storia dell’odio tra Gasperini e la Fiorentina



 

Una delle rivalità più assurde del nostro campionato.

Non tutte le antipatie nascono da una stretta di mano troppo molle, da una parola al posto sbagliato: ci sono anche quelle che spuntano dalla strada che porta alla Champions League. Gian Piero Gasperini e la Fiorentina la trovano così, in un soleggiato pomeriggio genovese di metà febbraio del 2009. Gasperini allena il Genoa, indossa ancora quei piumini grossi che hanno gli zii con una vita segreta in provincia. I capelli neri non ancora scomparsi del tutto, come la facile inclinazione all’irascibilità. Sono calciatori Thiago Motta, Raffaele Palladino, Giandomenico Mesto, inconsapevoli eredi di una scuola tattica che deve ancora venire. Ci sono poi Diego Milito e Alberto Gilardino, Juan Manuel Vargas, ovviamente Mimmo Criscito. 


 

Fiorentina e Genoa sono divise da un solo punto, tra il quinto e il quarto posto che vale la qualificazione ai playoff della Champions League. Il Milan e la Juventus, poco sopra di loro, sono al massimo a cinque, sei punti di distanza. Non è affatto strano che abbiano l’impressione di giocarsi molto. La partita ha quell’aura sonnacchiosa delle domeniche invernali dopo pranzo: le magliette termiche che iniziano a far sudare, le facce scavate dal pallore e dalle occhiaie, i capelli vagamente unti. Il Ferraris per una volta è bagnato dal sole e non dalla pioggia, e non sarà l’ultima delle cose eccezionali. Per esempio: il Genoa passa in vantaggio già al dodicesimo con un inserimento in area di Thiago Motta. I triangoli, le idee di Gasperini ci sono già ma nessuno in Italia sembra farci caso. 


 

Da quel momento la partita è un crescendo nell’assurdo. Alla mezz’ora Biava viene espulso per doppia ammonizione dando via a quella che il giorno successivo la Fondazione Genoa definirà “una complessiva direzione della gara che, attraverso una serie di decisioni arbitrali, soprattutto relative alla gestione delle ammonizioni, ha suscitato gravi perplessità”. È la celebre gestione dei cartellini: “Una diversa amministrazione delle ammonizioni a carico dei giocatori della Fiorentina avrebbe potuto portare ad un riequilibrio delle forze in campo o quanto meno temperare, anziché favorire, l’esuberanza degli ospiti”. 


 

A leggere queste parole, come vi immaginate che sia andata la partita? Ecco, tutto l’opposto. Il Genoa raddoppia già al 38esimo con Palladino, che trasforma in gol una grande discesa di Mesto sulla destra, e arriva al 3-0 all’11esimo del secondo tempo, quando Milito batte Frey dal dischetto dopo un rigore assegnato per un fallo scellerato di Gamberini su Criscito. 


 

È uno di quei momenti in cui le partite cominciano anziché finire. La Fiorentina si scrolla di dosso il suo intorpidimento che non gli permetteva di «mettere in fila tre passaggi», come dirà Mutu nel dopo partita, e ci riesce soprattutto grazie a due personaggi. Adrian Mutu, per l’appunto, e Ruben Fernando Moedim, in arte Rubinho. La loro è una danza che comincia al 15esimo del secondo tempo. Prima il portiere brasiliano si fa sfuggire un facile campanile in area causando il rigore che porta al 3-1, trasformato dall’attaccante romeno. Poi, su una punizione da una trentina di metri, si sposta troppo presto sul palo coperto dalla barriera facendosi sorprendere con un tiro piuttosto centrale. L’inevitabile 3-3 arriva addirittura al 49esimo, quando ancora era un minuto esotico in cui segnare. Un tiro a giro perfetto dopo una serie di rimpalli al limite dell’area che mettono in discussione l’entropia dell’universo. 



Nella memoria viola è il pareggio che permette alla Fiorentina di arrivare in Champions League e in parte lo è davvero. Le due squadre arriveranno appaiate a pari punti (68) e la squadra di Prandelli otterrà il quarto posto solo per gli scontri diretti, che erano andati in positivo dopo quel pareggio per via della vittoria all’andata per 1-0. Ma lo diventa ancor di più a posteriori, perché il 3-3 è stato ottenuto con una rimonta epica ai danni non di un allenatore qualunque ma proprio di Gian Piero Gasperini. 


 

Cos’è che rende questo scorbutico allenatore torinese così speciale agli occhi del tifosi viola? Non il suo passato nella Juventus, sia da calciatore che da allenatore, ma la sua incontenibile insofferenza nei confronti della sconfitta lo rendono l’oggetto perfetto per la feroce territorialità, per il bonario cinismo dei tifosi della Fiorentina. Troppo facile, per chi coltiva sfottò dal 1200, prendere in giro un allenatore che si rifugia nel silenzio dopo una partita del genere. Troppo bello, per i tifosi viola, sapere che è uno che ne soffre. 


 

Gasperini, dopo quel Genoa-Fiorentina, non si presenta ai microfoni per protesta e nel frattempo il mondo brucia. Una parte dei tifosi genoani si riuniscono all’esterno degli spogliatoi, dove si è asserragliato l’arbitro Rizzoli, un’altra parte aggredisce verbalmente il suo designatore, Pierluigi Collina, che siede sugli spalti. Nel crescendo di tensione rimangono coinvolte anche Aida Yespica, allora compagna di Matteo Ferrari, e Giorgia Bonazzoli, moglie del centravanti della Fiorentina, inviate al Ferraris per Quelli che il Calcio. Le due vengono accerchiate da alcuni tifosi su di giri, Yespica viene addirittura spinta a terra. Fuori dallo stadio va ancora peggio. Il pullman della Fiorentina viene assalito da un’altra frangia di tifosi genoani e mentre prova la fuga finisce per investire uno di loro senza che l’autista si accorga di niente (passerà un mese in rianimazione).


 

La partita sembra finire così come finiscono le partite in Italia, con comunicati stampa e non detti minacciosi tra le righe. Ma nella realtà non finisce più: è un incendio che divampa ancora oggi. Solo pochi giorni fa quella partita è stata ricordata per esempio da Flavio Ognissanti su Passione Fiorentina, con un video in cui dà voce alla Santa Inquisizione della Curva Fiesole. Sul banco degli imputati le parole con cui Gasperini ha ricordato a Firenze perché lì sia persona non grata, come se ce ne fosse davvero bisogno. «Noi e loro giochiamo sempre nella stessa fascia, sei anni su sette è andata bene a noi e capisco la frustrazione della tifoseria viola nel vedersi superare dall’Atalanta», ha detto il Gasp dopo l’ultima sconfitta al Franchi per 3-2 «Non è piacevole, a volte mi sembra uno stadio di buoi che danno del cornuto all’asino».


 

 

Anche Sebastian Frey, presente in campo il 15 febbraio del 2009 contro il Genoa, è d’accordo con Ognissanti.

 

Ora, le parole contengono un fondo di verità, perché è vero che l’Atalanta in questi ultimi anni ha realizzato ciò che molte squadre della classe media, compresa la Fiorentina, hanno per lunghissimo tempo solo sognato di fare. E provate ad andare oltre alla sua spigolosità caratteriale e a riflettere sul significato di averlo fatto proprio con Gasperini, un allenatore che prima di essere assunto dall’Atalanta era considerato quasi un ciarlatano. Provate a mettervi nei suoi panni e a immaginare la soddisfazione che tutto questo comporta, al sorriso che gli si apre sul volto mentre pensa a quanto è lontana oggi quella volta in cui proprio la Fiorentina gli ha scippato il sogno di raggiungere la Champions League con il Genoa. Certo, Gasperini è anche autoassolutorio nel non considerare la possibilità che i tifosi della Fiorentina possano odiarlo esattamente per il modo in cui è fatto. Per l’acidità con cui protesta con l’arbitro, o con gli allenatori avversari, per la sua permalosità in conferenza stampa, la scarsa propensione al dialogo. Gasperini, quando si scalda, sembra un uomo che cerca di parlare con il direttore del supermercato perché non gli è stata applicata un’offerta su una confezione di uova da sei. Ho come l’impressione che anche il fatto che sia (ormai senza più alcun dubbio) un grande allenatore peggiori ulteriormente le cose, forse perché ancora non abbiamo capito che quasi tutti i grandi allenatori sono pazzi. 


 

In questo senso, mi sembra soprattutto interessante la conclusione del discorso, quando descrive il Franchi come uno stadio di buoi che danno del cornuto all’asino. Sinceramente: che significa? È una di quelle frasi che fanno intravedere una verità inconsapevole in controluce. Mi ha talmente incasinato il cervello che ho dovuto ricontrollare il significato del proverbio, perché non ne ero più sicuro. Secondo Proverbi.net: “Il bue che dice cornuto all’asino è colui che vede i difetti degli altri, deridendoli e criticandoli, senza rendersi conto di avere gli stessi difetti, se non addirittura peggiori”. E quindi è questo che vede Gasperini quando vede i tifosi della Fiorentina: uomini e donne con una consistente dose di permalosità, che protestano spesso con l’arbitro, che se la prendono con gli allenatori avversari, senza alcuna propensione al dialogo? E pensa che sia questo il motivo per cui lo odiano? Perché vedono uno di loro – un fiorentino, un inconsapevole tifoso della Viola – avergli tolto l’aspirazione più grande? Se i toscani non odiassero così tanto i toscani la considererei un’interpretazione completamente astrusa. 


 

Certo, forse non saremmo arrivati fino a queste domande se Gasperini non avesse riaperto questo vaso di Pandora a quasi dieci anni di distanza da quella maledetta o benedetta partita al Ferraris. Era il 30 settembre del 2018, l’Atalanta andava al Franchi dopo aver raccolto appena 6 punti in 6 partite, e Gasperini sembrava aver già esaurito tutta la propria ragionevolezza quando, dopo la sconfitta in trasferta contro la SPAL, era stato squalificato per un turno per aver proferito “un’espressione blasfema, individuabile dal labiale senza margini di ragionevole dubbio”. Come si dice in questi casi: cosa sarebbe mai potuto andare storto.


 

Le cose vanno effettivamente per il verso sbagliato quando, al 60esimo di una partita tirata, Federico Chiesa prende palla dalla propria metà campo, attira a sé de Roon e poi lo supera in profondità fintando di rientrare dentro al campo. Toloi prova a recuperarlo alle spalle, Chiesa lo sente arrivare e nel momento in cui ne percepisce l’ombra butta le gambe all’indietro per procurarsi il rigore. Gasperini, in burn out per una classifica sempre più critica, subito dopo la fine della partita cerca addirittura di arrivare alle mani con Stefano Pioli. Poi, davanti ai microfoni, non perde l’occasione per fare del rigore una lezione moralistica. «Chiesa è un gran giocatore, con ogni probabilità il talento più promettente per la nostra Nazionale, ma questi comportamenti sono esagerati e penso che andrebbe punito affinché capisca che così non si può andare avanti». 


 

Sono parole che nel contesto più grande della cultura calcistica italiana sono gravi perché si innestano su una visione puritana e ipocrita del calciatore che, come scrisse allora Daniele Manusia, “non deve lasciare veramente nessun dubbio sul fatto che meriti il proprio successo […] deve essere migliore di una cultura calcistica in cui il risultato è tutto”. Ma che in quello più piccolo di questa ridicola acredine con la Fiorentina sono quasi autolesionistiche, o sadomasochistiche a voler dar credito alla teoria di Gasperini come fiorentino in incognito, soprattutto alle orecchie di tifosi che hanno rivalità che affondano le proprie radici nei conflitti tra Guelfi e Ghibellini. Davvero l’allenatore dell’Atalanta pensava che avrebbero potuto dimenticare una partita di nemmeno un decennio prima? Già pochi giorni dopo i tifosi della Fiorentina non resistettero alla tentazione di citare Dante: “Fede non ti curar di loro ma guarda e passa”, si poteva leggere su uno striscione fuori dall’Artemio Franchi. 


 

Ma questo è niente rispetto a quanto le cose siano andate storte negli scontri diretti successivi. Il 28 febbraio del 2019 il caso mette di fronte Atalanta e Fiorentina per le semifinali di Coppa Italia, un’occasione storica per entrambe le squadre, ma ciò di cui si parla è soprattutto un rigore fischiato a inizio campionato in una partita che ormai non ha più valore. O meglio: che non avrebbe più valore se di mezzo non ci fossero Gasperini e la Fiorentina. «Chiesa è un grande giocatore ma quello è un bruttissimo episodio», ricorda ancora una volta Gasperini prima della partita «Con l’antipatia che si sta creando rischia di andare in ambienti dove troverà un’accoglienza brutta». Ovviamente l’accoglienza brutta Chiesa la trova soprattutto a Bergamo, la città che ospita la squadra allenata da Gian Piero Gasperini, dove si ritrova a giocare perché il calendario ha rimesso un’altra Atalanta-Fiorentina (questa volta di campionato) solo pochi giorni dopo la semifinale d’andata della Coppa Italia. La curva dell’Atalanta evidentemente non vedeva l’ora di avverare la minacciosa profezia del suo allenatore. Chiesa, dal canto suo, cerca di farsi più forte cibandosi di veleno uscendo dal campo da solo dopo il riscaldamento per prendersi tutti i fischi della curva, che ospita l’ingresso degli spogliatoi come una piccola bocca che si protende per un bacetto. 



Gli ultras italiani ci mettono poco a fare propria quella che è una questione sostanzialmente personale di un allenatore che non riesce a calmarsi. E quindi il 22 settembre del 2019, in occasione di un altro Atalanta-Fiorentina di campionato, ecco gli insulti razzisti a Dalbert, prodromo di quelli ancora più forti verso Vlahovic. Episodi gravi che immagino la curva bergamasca giustificherà come goliardia naturalmente insita in una rivalità. Gasperini dà risposte ambigue a riguardo («Nessuno ha sentito i cori», dopo quelli riservati a Dalbert, per esempio) e qualche mese dopo, di fronte agli insulti impossibili da ignorare del Franchi durante un ottavo di finale di Coppa Italia vinto per 2-1, rincara la dose. «Io non ho mai insultato nessuno, sono sempre venuto da avversario ma figlio di puttana è un insulto pesante, mia madre ha fatto la guerra per dare libertà di parola a quei deficienti che cantano “figlio di puttana”. E sono loro dei figli di puttana sicuramente, capisco l’ostilità per un avversario e poterlo attaccare. Però questa è una cosa esagerata, è un fatto di maleducazione, cafonaggine ed è un insulto pesante da accettare». 


 

Dare dei “figli di puttana” ai tifosi avversari poteva essere la goccia che trasformava la rivalità in tragedia ma questo Paese, lo sappiamo, ha sempre spazio per la farsa, e in questo caso meno male. Poche settimane dopo si gioca di nuovo al Franchi per il ritorno della partita di campionato e questa volta l’Atalanta vince, per 1-2. Tanto basta a Gasperini per prendere con sincera gratitudine, quasi con un accenno di commozione, la maglia ironica che qualcuno gli consegna dalla tribuna. C’è scritto: Gasperini uno di noi. E qui verrebbe da chiedersi ancora: era davvero ironica? O Gasperini è davvero uno di loro? «Sicuramente è una bella presa in giro, non la indosso ma la metto da parte. Il clima l’ultima volta era esagerato, sfottò e insulti sono normali ma nel limite delle cose. Mi auguro che a Firenze si sostenga forte la propria squadra, preoccupandosi un po’ meno degli avversari». Solo pochi minuti prima una parte dei tifosi della Fiorentina aveva esposto sugli spalti del Franchi un enorme striscione con scritto: “Gaspagliaccio”.


 

Sembra il momento che assorbe il rancore, che sposta lo scontro sul piano dell’ironia e invece macché. Nei tre anni abbondanti che seguiranno gli episodi si sprecheranno. Da Gasperini che si rivede gli episodi dubbi sul cellulare direttamente in panchina (qualcosa che mi sembra faccia solo contro la Fiorentina) a Gasperini che va su tutte le furie e viene espulso, fino a Gasperini che urla “ladroni” verso i dirigenti della Viola e fa il segno della mazzetta. 


 

gasperini-cellulare


 

Durante l’ultima partita dell’Atalanta al Franchi, lo scorso 17 settembre, vicino alla panchina di Gasperini sono stati posizionati due poliziotti a fare da scorta, e non era chiaro se fosse per calmare i tifosi della Fiorentina dagli spalti o i probabili scatti d’ira a cui sarebbe andato incontro il tecnico piemontese. Il bordocampista di DAZN ha raccontato di un Gasperini che, almeno per il primo tempo, ha provato a comportarsi da vero signore. «Il primo tempo di Gasperini è stato pacato. Quando ha parlato in direzione spalti, ha sempre guardato dritto verso la panchina». Ovviamente nessuno ha mai creduto che questa potesse essere la nuova normalità dei rapporti tra Gasperini e la Fiorentina, soprattutto dopo che l’Atalanta ha perso per 3-2 una partita in equilibrio fino agli ultimi minuti. Poi è comparso il video in cui il presidente della Fiorentina, Rocco Commisso, lo manda letteralmente a quel Paese mentre parla con alcuni tifosi della sua squadra, e a quel punto apriti cielo. «Commisso è un maleducato, ogni volta che apre bocca è come scoperchiare un tombino», ha detto con la solita acredine Gasperini dopo la partita vinta in Europa League contro il Rakow. «Lo fa un po’ con tutti, non voglio nemmeno rispondergli, io ho sempre difeso l’Atalanta. Dall’episodio di Chiesa è nato tutto: bisogna andarlo a rivedere e metterlo sul web». 


 

Non starò qui a ricordare quale tifoseria è celebre per non saper mettere una pietra sopra le cose e che l’episodio di Chiesa, ormai, è già lontano più di cinque anni. Mi sembra significativo che, da quando è allenatore dell’Atalanta, Gasperini abbia incontrato la Fiorentina ben 19 volte vincendo solo in 6 occasioni (e perdendo in altre 6). Uno score magro, contro una squadra che, se si escludono le ultime stagioni con Italiano, non ha goduto di grande salute. D’altra parte, Gasperini alla Fiorentina non è indifferente, e anche viceversa certo, ma è lui che sembra soffrire di più della situazione. Dato che tutto ciò che è umano ha un inizio e una fine, persino l’odio tra Gasperini e la Fiorentina, magari tutto questo dolore un giorno potrebbe tornare utile. E se Gasperini andasse alla Fiorentina per portare finalmente la Viola dove i suoi tifosi pensano che meriti di stare? Chissà magari il vaso di Pandora si potrebbe finalmente richiudere facendo nascere la grande storia d’amore che tutte le storie d’odio sottintendono.


fonte ultimouomo.com
By marcodalmen
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