15/09/2024 | 09.09
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Butti: "Creare il calendario della Serie A è una grande sfida: abbiamo 400 vincoli"


L’Head of Competitions and Operations della Lega Serie A ha toccato diversi temi al Thinking Football Summit: dal problema legato all’intasamento dei calendari ai danni che procura la pirateria al sistema calcio.

Da giovedì, in Portogallo, ha preso il via il Thinking Football Summit, occasione per dirigenti, sia di club che di leghe, e stakeholder di confrontarsi sul futuro del calcio mondiale.

Presenti anche diversi esponenti del calcio italiano, fra cui Andrea Butti, Head of Competitions and Operations della Serie A, che è intervenuto nel panel intitolato “Future Strategies for Serie A and Premier League”. «La sfida dei calendari è molto ardua – ha commentato Butti –. In Italia per preparare il calendario abbiamo 400 vincoli, eventi locali che hanno un impatto sull’organizzazione delle partite. Negli ultimi 20 anni la Serie A ha lo stesso calendario, 20 squadre e 38 giornate mentre intorno sono aumentate le altre competizioni in maniera significativa. Abbiamo fatto un calcolo, dal primo giorno della stagione, il weekend dopo la UEFA dalla Supercoppa fino all finale di Champions, ci sono 84 matchday disponibili. E solo 48 sono usati dalla Serie A tra campionato e coppe. Il problema che le date FIFA e UEFA sono più di 36. Significa che sicuramente ci saranno scontri, è qualcosa di inevitabile. Non possiamo ridurre le nostre competizioni per dare spazi alle altre».

Sul nuovo Mondiale per Club, che si giocherà negli Stati Uniti la prossima estate: «Non possiamo considerare di organizzare una competizione senza interpellare i giocatori. Credo che quando paragoniamo altri sport che hanno minori tempi di riposo bisogna considerare diversi aspetti. Giochiamo all’aperto e non al chiuso, in uno sport di 90 minuti con contatto fisiconon si chiede ai giocatori NFL di giocare dopo due giorni, gli dai una settimana. È parte del nostro sport e bisogna considerarlo. Se si vuole di ridurre il tempo minimo di riposo tra le partite bisogna considerare che va aumentato il numero di giocatori e quindi aumentano i costi. E se hai superstar nel tuo team li vuoi far giocare sempre».

«È impossibile trovare una soluzione come tirare fuori un coniglio dal cilindro – ha ammesso Butti –. Bisogna sedersi insieme e trovare una soluzione che bilanci ogni richiesta. In Italia ci sono 20 squadre ma non puoi pensare di intervenire e dire di giocare meno per giocare più big match internazionali. L’equilibrio tra i campionati nazionali e le altre competizioni è fondamentale: credo che i tifosi possano avere un ruolo chiave come per la Superlega. Le Leghe Europee sono uno stakeholder fondamentale. Rappresenta l’essenza dell’organizzazione dei campionati domestici, è il giusto equilibrio tra club, federazioni e altri stakeholder. Proteggiamo le competizioni nazionali davanti agli altri stakeholder: rappresentiamo tutti i club, non solo alcuni».

Sullo sviluppo del calcio italiano: «Negli ultimi sono stati conseguiti diversi risultati importanti, dalla vittoria degli Europei nel 2021 alle squadre finaliste nelle coppe europee è stato incredibile ma è stato il risultato di un processo iniziato molto prima. Credo che uno dei punti chiave è che i diritti tv venduti sono collettivamente. La Premier League ha tracciato la strada che poi tutti gli altri hanno seguito, alla fine noi come italiani siamo diversi passi indietro sugli stadi, dobbiamo migliorare, ma abbiamo diversi problemi burocratici. Costruire uno stadio è più difficile di andare sulla luna ma a parte questo, come italiani sappiamo trovare soluzioni ad ogni problema».

Il calcio italiano, ma in generale tutto il sistema mondiale, sta affrontando poi un nemico temibile come la pirateria: «Dò un numero che basta per spiegare il problema in Italia: la pirateria per l’industria sportiva vale 300 milioni di euro a stagione, ovverosia una cifra maggiore rispetto a quella per cui vengono venduti i diritti tv della Champions League in Italia. È una cifra incredibile e che viene spesa da chi avrebbe la capacità di acquistare i prodotti per seguire il calcio. Alla fine nessuno guarda il calcio gratis, ma pagano comunque il pezzotto creando un danno a tutto il sistema. C’è la percezione che il calcio in Italia sia solo per i ricchi ma non è così, è per tutti».

Italia che però è stata terra di sperimentazione a livello tecnologico: «Come Serie A siamo la prima lega che ha utilizzato la Goal Line Technology, il VAR, il fuorigioco semi-automatico e stiamo sviluppando molte cose diverse. Alla fine però non abbiamo cambiato la base del calcio, la tradizione fa parte di questo sport per cui è difficile innovare i tecnicismi. Ma dobbiamo essere intelligenti in questo momento, in cui le giovani generazioni non riescono a restare concentrate per un’ora e mezza solo sulla partita, e stare attenti ai potenziali sviluppi».

Infine, sulla possibilità di giocare all’estero un turno, o più, della Serie A e dei campionati nazionali in generale: «Non è una decisione facile, vanno bilanciati i vantaggi commerciali dal giocare all’estero e l’impatto di non giocare queste partite in ItaliaNon è una decisione facile ma NFL e NBA sono anni che lo fanno portando le proprie competizioni all’estero e sviluppandole. Non sono uno che spinge o che frena per farlo, perché serve davvero un equilibrio tra le esigenze commerciali e sportive. Non credo che i tifosi prenderebbe questa scelta con entusiasmo ma alla fine quello che ho scoperto nella mia esperienza nel mondo del calcio è che l’unico modo per attrarre attenzione quando vai in altri Paesi è quello di portare le squadre migliori. È l’unica cosa. Se vai a giocare una partita ufficiale all’estero e lo abbiamo fatto in Arabia Saudita con la Supercoppa italiana, lo stadio si è riempito con la finale. È qualcosa che oggi la FIFA non permette ma se dovesse aprire sul tema sicuramente studieremmo e valuteremmo».

fonte calcioefinanza.it


By marcodalmen
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