Calcio e ipocrisia, visti da Udine
Questo lungo commento ad opera del tifoso udinese Massimo Brussa è comparso su un gruppo Facebook di tifosi friulani
"Durante la mia infanzia e poi nell’adolescenza andavo spesso a vedere le partite della squadra di calcio del mio paese.
L’Opitergina partecipava allora al campionato dilettanti e c’era una grande curiosità attorno ai suoi risultati. Talvolta essa suscitava un vero e proprio entusiasmo, come nell’anno in cui il quarantenne Gianfranco Zigoni, che ormai giocava quasi da fermo ma era ancora capace di colpi da grande campione, rischiò di farci andare in serie C.
Lo stadio, con le tribune a ridosso del campo, distava poche decine di metri dal centro storico. Al suo interno c’era uno spaccio che offriva ombre e vin brulè ai tifosi. Molti di loro, alla fine della partita, si sarebbero riversati nelle osterie della piazza per festeggiare la vittoria o consolarsi per la sconfitta.
Il pubblico era uno spettacolo nello spettacolo. Per certi versi era il vero spettacolo. La sua bestia nera era l’arbitro. Ogni fischio sgradito, cioè tutti quelli che non andavano a favore della squadra di casa, era accompagnato da bestemmie ed improperi. Venivano tirati in ballo la madre, la moglie , i figli, e i parenti del malcapitato.
Tra i giocatori avversari il compito più ingrato toccava al portiere. I tifosi vicini alla porta gli lanciavano offese terribili al fine di innervosirlo. Nulla veniva risparmiato: i difetti fisici, gli errori, le goffaggi vere o presunte.
Anche Dio , i santi e la Madonna uscivano piuttosto malconci dai novanta minuti di gara. Devo confessare che per il ragazzino che ero costituiva motivo di gran divertimento vedere degli austeri signori abbandonarsi alle più fantasiose invettive.
Mi sono tornate in mente quelle domeniche pomeriggio della mia infanzia leggendo delle polemiche sugli insulti razzisti rivolti al portiere del Milan, Maignan,. Con i criteri di oggi poche partite di allora sarebbero arrivate al decimo del primo tempo. Il vecchio stadio di Oderzo, da me tanto amato, avrebbe subito una perpetua squalifica per insulti razzisti, sessisti od omofobi. Eppure, quel pubblico così pittoresco era composto da persone non solo laboriose, ma anche generose; persone (credo di non essere spinto dalla nostalgia) in fondo molto migliori di noi. Sono quasi sicuro che il buon Dio, se esiste, li avrà perdonati per averlo nominato invano troppo spesso e avrà saputo apprezzare, dietro ai toni rudi e alle intemperanze domenicali, la bontà della loro condotta generale.
Oggi viviamo in una realtà completamente diversa.
L’ipocrisia la fa da padrona.
Le parole di alcuni tifosi esagitati ci appaiono più riprovevoli delle bombe che riducono a pezzi dei bambini. Innalziamo al ruolo di vittima un calciatore milionario, mentre rimaniamo indifferenti di fronte alla stragi che si consumano sotto i nostri occhi.
I trentamila civili massacrati a Gaza non vengono visti come persone in carne ed ossa; sono, bene che vada, degli spiacevoli effetti collaterali.
Il razzismo, ipocritamente scacciato dalla porta principale, rientra dalla finestra nelle sue forme più ciniche e brutali."
"Durante la mia infanzia e poi nell’adolescenza andavo spesso a vedere le partite della squadra di calcio del mio paese.
L’Opitergina partecipava allora al campionato dilettanti e c’era una grande curiosità attorno ai suoi risultati. Talvolta essa suscitava un vero e proprio entusiasmo, come nell’anno in cui il quarantenne Gianfranco Zigoni, che ormai giocava quasi da fermo ma era ancora capace di colpi da grande campione, rischiò di farci andare in serie C.
Lo stadio, con le tribune a ridosso del campo, distava poche decine di metri dal centro storico. Al suo interno c’era uno spaccio che offriva ombre e vin brulè ai tifosi. Molti di loro, alla fine della partita, si sarebbero riversati nelle osterie della piazza per festeggiare la vittoria o consolarsi per la sconfitta.
Il pubblico era uno spettacolo nello spettacolo. Per certi versi era il vero spettacolo. La sua bestia nera era l’arbitro. Ogni fischio sgradito, cioè tutti quelli che non andavano a favore della squadra di casa, era accompagnato da bestemmie ed improperi. Venivano tirati in ballo la madre, la moglie , i figli, e i parenti del malcapitato.
Tra i giocatori avversari il compito più ingrato toccava al portiere. I tifosi vicini alla porta gli lanciavano offese terribili al fine di innervosirlo. Nulla veniva risparmiato: i difetti fisici, gli errori, le goffaggi vere o presunte.
Anche Dio , i santi e la Madonna uscivano piuttosto malconci dai novanta minuti di gara. Devo confessare che per il ragazzino che ero costituiva motivo di gran divertimento vedere degli austeri signori abbandonarsi alle più fantasiose invettive.
Mi sono tornate in mente quelle domeniche pomeriggio della mia infanzia leggendo delle polemiche sugli insulti razzisti rivolti al portiere del Milan, Maignan,. Con i criteri di oggi poche partite di allora sarebbero arrivate al decimo del primo tempo. Il vecchio stadio di Oderzo, da me tanto amato, avrebbe subito una perpetua squalifica per insulti razzisti, sessisti od omofobi. Eppure, quel pubblico così pittoresco era composto da persone non solo laboriose, ma anche generose; persone (credo di non essere spinto dalla nostalgia) in fondo molto migliori di noi. Sono quasi sicuro che il buon Dio, se esiste, li avrà perdonati per averlo nominato invano troppo spesso e avrà saputo apprezzare, dietro ai toni rudi e alle intemperanze domenicali, la bontà della loro condotta generale.
Oggi viviamo in una realtà completamente diversa.
L’ipocrisia la fa da padrona.
Le parole di alcuni tifosi esagitati ci appaiono più riprovevoli delle bombe che riducono a pezzi dei bambini. Innalziamo al ruolo di vittima un calciatore milionario, mentre rimaniamo indifferenti di fronte alla stragi che si consumano sotto i nostri occhi.
I trentamila civili massacrati a Gaza non vengono visti come persone in carne ed ossa; sono, bene che vada, degli spiacevoli effetti collaterali.
Il razzismo, ipocritamente scacciato dalla porta principale, rientra dalla finestra nelle sue forme più ciniche e brutali."
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