Il dibattito nel mondo del calcio, al centro di un complesso sistema per riformarlo portato avanti dalla FIGC di Gabriele Gravina, si inserisce con prepotenza anche la questione Serie A, desiderosa di veder riconosciuta la sua importanza nel sistema, non solo a livello di blasone, e di maggiore autonomia nelle scelte nei confronti della Federcalcio. Richiamando un modello molto più vicino alla Premier League.
«Sicuramente c’è bisogno di riforme – ha esordito il presidente della Lega Serie A, Lorenzo Casini, alla trasmissione radiofonica “Giù la maschera” su Rai Radio 1 -. Le grandi squadre, che giocano tutte le competizioni nazionale e internazionali, vorrebbero ridurre il numero di partite e vedono la riduzione delle squadre come un presupposto percorribile. Ma come Serie A vogliamo rimanere a 20 formazioni iscritte, semmai bisognerebbe ragionare su format diversi. Ci sono piazze, come Palermo e Bari ad esempio, che sarebbe bene riuscire a coinvolgere visto che il Sud, in questo momento, è poco rappresentato. Si rischia un campionato chiuso in stile statunitense? Non vedo questo rischio, L’Italia è il paese dei campanili, del sogno di squadre che dalla Serie C arrivano in A. Che si possa però guardare agli Stati Uniti e avere strumenti e soluzioni moderne non è però da escludere».
Sulla possibilità di allontanarsi dalla FIGC, ma rimanendo comunque al suo interno per non andare contro le norme UEFA e FIFA: «Quello di avere maggiore autonomia non è un tema nuovo, si è già discusso di questa possibilità. Durante l’assemblea i club hanno iniziato a esaminare il documento di riforma. Nell’ambito della discussione si è convenuto di iniziare un discorso che possa portare a un modello molto più simile alla Premier League per quanto riguarda il rapporto con la Federazione. Le riforme costituzionali sono importanti e se si coglie che qualcosa non funziona è bene un cambiamento. Le parole di Gravina? Come Lega siamo rimasti sconcertati. La risposta sembra non dare considerazione della componente più importante: la Serie A finanzia tutto il sistema, è impensabile che la governance federale non riconosca il suo ruolo».
Infine una battuta sul Decreto Crescita, non prorogato dall’attuale governo: «Posso dire che c’è molta disinformazione. Non dai media, ma da chi ha individuato questo tema come un fantoccio facile da aggredire per risolvere problemi che nulla hanno a che vedere con la norma, che era l’unico vero vantaggio fiscale riconosciuto e che consentiva alle squadre di offrire degli stipendi più competitivi. Un anno fa circa, con il governo Draghi, si sono introdotti dei limiti per tutelare i vivai, così come introducendo la soglia del milione di euro. Dopo neanche un anno si toglie una norma che ha portato giocatori di qualità. Ci hanno sorpreso anche le dichiarazioni della Federazione che lo ha definito uno strumento non adatto».
fonte calcioefinanza.it