Chimera nerazzurra - by Albo
Per Gasperini la Dea o vince o impara, ma è dura recepire qualcosa pochi secondi dopo la fine di un’altra finale di Coppa Italia persa. La seconda in tre anni, vero, un obiettivo non prefissato e quindi non si può assolutamente parlare di fallimento (altrettanto vero e indiscutibile), ma penso che tifosi e lo stesso Gasp si siano un po’ rotti di non concretizzare proprio sul più bello.
La ciliegina sulla torta ancora una volta la dobbiamo lasciare in frigorifero, ma anche senza quel tocco in più di classe, la torta rimane dolce.
Alla fine Chiellini& company hanno fermato quella che ritengono una favola, ma che il resto d’Italia e d’Europa reputa una realtà consolidata.
Non siamo una favola, anche perché nelle favole il lieto fine deve esserci sempre, mentre noi siamo andati sempre incontro a finali horror.
L’abbiamo chiamata sfortuna e scippo dopo la finale dell’Olimpico del 2019, ma il computo più ampio di ben 4 finali perse su 5 disputate al sottoscritto richiama le sembianze di una chimera, di quel mostro mitologico quasi impossibile da battere, quasi irraggiungibile da comprendere e affrontare.
Ho appositamente scritto “quasi” perché nella mitologia il mostro alla fine è stato sconfitto, con il solito coraggio dell’eroe e quel pizzico di fortuna che a noi pare esserci avversa in queste notte maledette.
Non solo questo, certo. Aldilà degli episodi netti del primo tempo che avrebbero potuto indirizzare il match su una strada diversa, perché se è vero che non c’è sconfitta nel cuore di chi lotta, beh nel secondo tempo ci è venuto il braccino corto del tennista, con conseguente rassegnazione. E forse è quest’ultimo dettaglio che rimane inspiegabile.
Una rassegnazione frutto di chissà cosa, dato che c’erano tutte le premesse per giocare un secondo tempo sfavillante e storico. Il giorno dopo è più facile fare ipotesi: dal cambio sbagliato di Malinovskyi, alla confusione tattica del Gasp, passando per l’incapacità della Dea di non sapere reggere la pressione quando in palio c’è qualcosa di concreto. La Dea della corsa che per tutta la gara non sente la fatica, ma che all’ultimo metro non ha più benzina e vede il traguardo allontanarsi. Un paradosso che per l’appunto è per definizione irrazionale, inconcepibile, ma che purtroppo esiste ed è divenuto una certezza.
Forse un pot-pourri di coincidenze e maledizioni che l’Atalanta ha ereditato proprio dal suo condottiero, alla sua terza finale persa (Supercoppa con l’Inter nel 2011 e le 2 con l’Atalanta), e che per primo si è chiesto “Davvero più di questo non potrò mai fare?”.
Ci sarà tempo per le recriminazioni, pensieri, studio e analisi degli errori, ma l’incubo vissuto al Mapei non cancella il sogno un giorno di poter passare dalla teoria alla pratica.
Come Gianni Morandi nella sua canzone, anche noi speriamo in cuor nostro che non si tratti di una chimera, e ci tocca per il momento contare i giorni che ci separano dal coronamento di un sogno che Gasperini in primis, poi i giocatori e un’intera città meriterebbero di vederlo trasformato in realtà.
Albo
La ciliegina sulla torta ancora una volta la dobbiamo lasciare in frigorifero, ma anche senza quel tocco in più di classe, la torta rimane dolce.
Alla fine Chiellini& company hanno fermato quella che ritengono una favola, ma che il resto d’Italia e d’Europa reputa una realtà consolidata.
Non siamo una favola, anche perché nelle favole il lieto fine deve esserci sempre, mentre noi siamo andati sempre incontro a finali horror.
L’abbiamo chiamata sfortuna e scippo dopo la finale dell’Olimpico del 2019, ma il computo più ampio di ben 4 finali perse su 5 disputate al sottoscritto richiama le sembianze di una chimera, di quel mostro mitologico quasi impossibile da battere, quasi irraggiungibile da comprendere e affrontare.
Ho appositamente scritto “quasi” perché nella mitologia il mostro alla fine è stato sconfitto, con il solito coraggio dell’eroe e quel pizzico di fortuna che a noi pare esserci avversa in queste notte maledette.
Non solo questo, certo. Aldilà degli episodi netti del primo tempo che avrebbero potuto indirizzare il match su una strada diversa, perché se è vero che non c’è sconfitta nel cuore di chi lotta, beh nel secondo tempo ci è venuto il braccino corto del tennista, con conseguente rassegnazione. E forse è quest’ultimo dettaglio che rimane inspiegabile.
Una rassegnazione frutto di chissà cosa, dato che c’erano tutte le premesse per giocare un secondo tempo sfavillante e storico. Il giorno dopo è più facile fare ipotesi: dal cambio sbagliato di Malinovskyi, alla confusione tattica del Gasp, passando per l’incapacità della Dea di non sapere reggere la pressione quando in palio c’è qualcosa di concreto. La Dea della corsa che per tutta la gara non sente la fatica, ma che all’ultimo metro non ha più benzina e vede il traguardo allontanarsi. Un paradosso che per l’appunto è per definizione irrazionale, inconcepibile, ma che purtroppo esiste ed è divenuto una certezza.
Forse un pot-pourri di coincidenze e maledizioni che l’Atalanta ha ereditato proprio dal suo condottiero, alla sua terza finale persa (Supercoppa con l’Inter nel 2011 e le 2 con l’Atalanta), e che per primo si è chiesto “Davvero più di questo non potrò mai fare?”.
Ci sarà tempo per le recriminazioni, pensieri, studio e analisi degli errori, ma l’incubo vissuto al Mapei non cancella il sogno un giorno di poter passare dalla teoria alla pratica.
Come Gianni Morandi nella sua canzone, anche noi speriamo in cuor nostro che non si tratti di una chimera, e ci tocca per il momento contare i giorni che ci separano dal coronamento di un sogno che Gasperini in primis, poi i giocatori e un’intera città meriterebbero di vederlo trasformato in realtà.
Albo
By staff