Cinquanta sfumature di Muriel
Da ultimouomo.com
I momenti più belli della carriera del colombiano, ora che lascia l’Italia.
Da pochi giorni Luis Muriel è un nuovo giocatore dell’Orlando City e, nonostante abbia ancora 32 anni, non sappiamo se lo rivedremo più in Serie A. Le carriere dei calciatori si sono allungate ma Muriel ha sempre restituito questa sensazione di fragilità, che tutta l’eccezionalità del suo gioco potesse finire da un momento all’altro. La bellezza del suo gioco risiedeva anche nella sua precarietà. È stato uno di quei calciatori che hanno reso speciale la Serie A, anche senza mai ambire a nessuna grandezza, che sapevano scaldare una partita di gennaio a mezzogiorno a mezzo con un dribbling in mezzo a due. Abbiamo deciso di celebrarlo ricordando i momenti più importanti o significativi della sua carriera. Buona lettura.
La prima stagione in Serie A
Muriel è uno dei pochi giocatori a cui tutti gli appassionati hanno voluto genuinamente bene, a prescindere dalla fede calcistica. Per entrare nel cuore del pubblico bisogna saper regalare piccoli momenti di felicità, di quelli che si stratificano nella memoria e che tiriamo fuori nelle discussioni tra amici quando parliamo dei calciatori del passato.
Nel mio cassetto dei ricordi di Luís Muriel rimarrà soprattutto l’attesa per il suo esordio in Serie A dopo aver giocato un Mondiale Under 20 da stropicciarsi gli occhi. Era l’estate del 2011 e il colombiano era già un giocatore di proprietà dell’Udinese. Al Mondiale Under 20 la stella dei “cafeteros” era James Rodriguez, ma nelle prime partite era stato Muriel a catturare l’attenzione.
Alla prima giornata, contro la Francia, sconfitta per 4-1, aveva realizzato una doppietta. Sul primo gol, con una sterzata improvvisa aveva mandato col sedere per terra Kalidou Koulibaly. L’Udinese aveva da poco ceduto Sanchez al Barcellona e il pensiero di avere un altro funambolo sudamericano pronto a sostituirlo riempiva di speranze il suo arrivo in Serie A.
I bianconeri, però, avevano scelto di mandarlo in prestito al Lecce. Dopo un inizio di stagione in sordina, aveva esordito in campionato a fine ottobre e alla quattordicesima giornata, contro il Napoli, aveva fatto capire a tutti la portata del suo talento. Il Lecce aveva perso 4-2, ma lui aveva sfoggiato tutto il repertorio che aveva fatto innamorare chi lo aveva osservato con l’Under 20 della Colombia. Nel primo tempo si era lanciato in un assolo strabiliante in area del Napoli: dopo aver ricevuto un passaggio quasi sulla linea di fondo, si era inventato un numero con i tacchetti con cui aveva lasciato sul posto Federico Fernandez; dopodiché era passato tra l’argentino e Grava, aveva saltato De Sanctis in uscita e aveva appoggiato per Pasquato, che a porta vuota si era fatto intercettare il tiro.
Nel secondo tempo aveva firmato il suo primo gol in Serie A: taglio in area, controllo, frenata, dribbling su Aronica e piattone sul secondo palo. Quella capacità di frenare e ripartire, che insieme al suo volto paffuto avrebbe generato i paragoni con Ronaldo Nazário, l’avremmo apprezzata tante altre volte nei suoi anni di Serie A.
Dopo quella sconfitta, con l’arrivo di Cosmi in panchina Muriel sarebbe esploso definitivamente. A vent’anni, da punta di un 3-5-2 accanto a Di Michele, libero di correre in transizione, avrebbe firmato in totale 7 gol e 5 assist in 27 partite con una squadra in lotta per non retrocedere.
Cosmi era il tipo di allenatore perfetto per Muriel in quel momento, un tecnico a cui piaceva demandare le sorti dell’attacco a seconde punte estrose, come era stato qualche anno prima Miccoli a Perugia. Di Muriel, Cosmi ha parlato sempre con affetto e, negli anni, lo ha difeso da chi lo accusava di scarso impegno. «È una persona speciale e non ha mai dato problemi fuori dal campo. L’unico problema era il cibo, ha avuto un’infanzia difficile e spesso mangiava le Fiesta e lo bacchettavo».
Le polaroid di quella stagione rimangono un gol a San Siro segnato contro l’Inter, dove sterza su Lúcio e Maicon prima di freddare Júlio Cesar sul primo palo, e una splendida doppietta contro la Roma di Luis Enrique. Il primo gol è una sua classica citazione di Ronaldo, con dribbling sul portiere in uscita e appoggio facile in porta. Il secondo, invece, è un contropiede in cui mette a terra un pallone sulla fascia e sguscia tra De Rossi e Heinze, prima di scaricare una fucilata di sinistro da trenta metri all’angolino basso del secondo palo.
Per non parlare poi, di quella partita all’ora di pranzo contro il Siena, in cui lui e Cuadrado fecero capire a tutti che li aspettava un futuro da protagonisti in Serie A. Il Lecce vinse 4-1, Muriel segnò il gol dell’1-0 e si guadagnò il rigore del raddoppio. È un’azione in cui porta palla sulla destra e attira tre avversari: quando il centrale si allarga per aggredirlo, con un tocco morbido gli fa passare la palla tra le gambe. Poi arriva sul fondo, fa sedere Rossettini con una sterzata e, entrato in area, si fa stendere da Gazzi.
Alla fine il Lecce non ce l’avrebbe fatta a salvarsi. Tornato ad Udine, Muriel avrebbe saltato la prima parte del 2012/13 per via di un infortunio al femore. Da dicembre, però, avrebbe segnato 11 gol in 20 partite. Quella metà di stagione è stato l’ultimo momento in cui abbiamo creduto davvero che potesse diventare uno dei migliori al mondo. Dall’anno dopo, complici le incomprensioni con Guidolin e con l’ambiente, è diventato chiaro che Muriel non sarebbe mai sbocciato del tutto. Per una volta, però, dal punto di vista del pubblico non è stato un problema e tutti abbiamo continuato a fare il tifo per lui.
Anche i discorsi sul suo peso forma, che spuntavano ciclicamente in corrispondenza dei suoi periodi meno brillanti, nonostante fossero spesso infondati erano un po’ un riflesso del nostro affetto nei suoi confronti. Avevamo accettato che fosse umano, fallibile, discontinuo, senza per questo smettere di meravigliarci ad ogni suo colpo di genio. Muriel è stato uno dei pochi casi di giocatore dal potenziale enorme del quale abbiamo accettato le debolezze e, anzi, le abbiamo abbracciate. Il fatto di aver giocato per Lecce, Udinese, Samp, Fiorentina e Atalanta, senza mai vestire le maglie delle big, unito all’ossessione di noi italiani per il Fantacalcio, deve averci aiutato ad empatizzare con lui e a goderci semplicemente i momenti di brillantezza, senza pretendere che diventasse davvero uno dei migliori al mondo.
Il passaggio dall’Udinese alla Samp
Il 21 maggio 2017, alla penultima giornata di Serie A, Udinese e Sampdoria non hanno più molto da chiedere al campionato. Per Luís Muriel, però, quella è una partita speciale: l’Udinese è la squadra che lo ha portato in Italia, ma anche quella che ne ha messo in discussione la professionalità e che si è sbarazzata di lui senza troppi rimpianti. Quando nel secondo tempo trasforma il rigore del definitivo 1-1, dopo aver sopportato per tutta la partita i fischi del pubblico friulano si lascia andare ad un’esultanza sfrenata. Con un sorriso a trentadue denti il colombiano fa cenno ai tifosi di non sentirli abbastanza e li invita ad alzare il volume dei fischi. Si porta persino entrambe le mani alle orecchie, alla maniera di Ronaldo il Fenomeno in quel Derby della Madonnina giocato da ex nel 2007.
I giocatori dell’Udinese non la prendono bene. Il primo ad avvicinarsi a brutto muso è Jankto, poi però arriva Danilo, diventato capitano dei bianconeri alla prima stagione dopo il ritiro di Totò di Natale. Danilo era stato compagno di Muriel. Il brasiliano esplode di rabbia, prima lo spinge e poi gli mette le mani al collo quasi a volerlo strozzare. Negli occhi di Muriel è possibile intravedere un pizzico di terrore. Alla fine i due vengono divisi e l’arbitro decide di espellerli entrambi. In estate Muriel si sarebbe trasferito al Siviglia e la rissa con Danilo resta l’ultima immagine del colombiano con la maglia della Samp, la squadra che ne aveva salvato la carriera. Quell’esultanza è un buon riassunto della sua primo stint in Serie A, una storia di promesse non mantenute e di riscatto in una squadra che finalmente ne aveva assecondato la natura.
Muriel era diventato un giocatore dell’Udinese nell’estate del 2010. Gli osservatori bianconeri lo avevano adocchiato da tempo e Valentino Angeloni, capo dell’area scout, si era recato di persona al Torneo di Tolone per vederlo giocare con l’Under 20 della Colombia. Quel giorno, come racconta Angeloni, Muriel era in campo, ma doveva fare i conti con un infortunio alla caviglia. «Ero con l’agente e a un certo punto gli chiesi: “ma il ragazzo è zoppo?”. Faceva fatica a camminare, ma fece tre o quattro scatti e giocate da fenomeno. Chiamai il presidente e gli dissi “guardi, è infortunato, ma da prendere subito”».
Dopo un anno in prestito al Lecce, la prima vera stagione di Muriel con la maglia dell’Udinese è la 2012/13. Quel matrimonio era nato sotto una cattiva stella: aveva saltato l’andata dei preliminari di Champions League contro il Braga ufficialmente a causa di un problema muscolare (qualche giorno prima Guidolin lo aveva accusato di essere sovrappeso) e aveva passato tutta la gara di ritorno seduto in panchina: Guidolin aveva preferito far entrare Maicosuel, in una serata che lo avrebbe consegnato alla storia ma per i motivi sbagliati.
Il rapporto con Guidolin spiega, in parte, il fallimento di Muriel a Udine. L’idillio tra i due è durato solo sei mesi, da dicembre 2012 a maggio 2013. Dopo il preliminare Muriel aveva dovuto saltare la prima metà della stagione per una microfrattura al femore. Tornato in campo alla diciassettesima giornata, avrebbe realizzato la bellezza di 11 gol in 20 partite. Ad esclusione degli anni dell’Atalanta, assurdi dal punto di vista statistico, quello rimane il suo miglior periodo in Serie A per rapporto tra gol e minuti disputati (1393’ considerato anche l’inizio di stagione).
Udine sembrava il contesto ideale per Muriel: una squadra che attaccava a campo aperto, in cui poter esaltare la sua velocità e i suoi dribbling. Guidolin, però, pretendeva applicazione difensiva da tutti, non erano concessi sconti. Anche Sanchez con lui aveva sviluppato grande spirito di sacrificio. Con Muriel, però, non c’era riuscito. Lo aveva fatto notare anche Di Natale: «Muriel è anche più forte di Sanchez, ma deve prendere esempio da lui. Deve aiutare di più la squadra e correre di più». Per lo stesso motivo, un anno più tardi Stramaccioni, che intanto aveva sostituito Guidolin in panchina, gli avrebbe preferito Thereau: «Quando gioco con due punte preferisco affiancare a Totò un attaccante come Thereau. Rispetto a Muriel mi garantisce più copertura e più fisicità nelle palle inattive».
Penalizzato da una serie di infortuni muscolari, alla fine, come nelle più tristi delle narrazioni-stereotipo sull’intransigenza degli allenatori italiani e sullo scarso impegno dei talenti sudamericani, Muriel decide di lasciare Udine nella sessione invernale di calciomercato del 2014/15. Ricorderà con affetto solo Gino Pozzo, mentre non avrà piacere a parlare di Guidolin. «A Udine ero arrivato in ritiro che pesavo 84 chili, ne dovevo perdere due in un mese. All’inizio l’avevo presa sul ridere, poi Guidolin non perdeva occasione per menzionare il mio peso e allora la cosa è diventata spiacevole».
Dopo le prime settimane di ambientamento, a Genova, con Mihajlović in panchina, Muriel ritrova il posto da titolare e la gioia di stare in campo. In una sconfitta a Napoli per 4-2 segna scazzato, con un bolide da fermo da 25 metri sotto l’incrocio. Con 4 gol e 4 assist contribuisce alla qualificazione della Samp ai preliminari di Europa League
Il 2015/16 per i blucerchiati è un disastro, chiuso con soli due punti di margine sulla zona retrocessione. La società di Ferrero decide di ripartire da Marco Giampaolo, affidandogli una squadra piena di estro: Škriniar in difesa, Torreira, Praet, Linetty a centrocampo, Bruno Fernandes o Ricky Álvarez sulla trequarti e Muriel e Quagliarella o Schick davanti.
Nel 4-3-1-2 di Giampaolo Muriel non ha più campo da attaccare in contropiede. Tuttavia, è libero di allargarsi per ricevere sulla sinistra, rientrare in dribbling sul piede forte e inventare. È un calcio di possesso che però, per i problemi strutturali del rombo, nell’ultimo terzo di campo si affida molto al talento del colombiano. È una versione più matura di Muriel, che accetta responsabilità non solo in fase di definizione, ma anche nello sviluppo del gioco: con i movimenti verso l’esterno, resistendo ai terzini, permette alla squadra di avanzare; con la precisione nel gioco di prima staccandosi sulla trequarti contribuisce a creare quella fitta rete di passaggi vitale per il calcio di Giampaolo.
La Samp chiuderà al decimo posto e Muriel comparirà in tutti i momenti migliori della stagione. Scrive il suo nome anche nella storia dei Derby della Lanterna. Quell’anno i blucerchiati li vincono entrambi, qualcosa che non accadeva dal 1959/60. All’andata Muriel segna il primo gol e propizia la rete del 2-1 finale di Quagliarella. Al ritorno sfrutta un errore di Ntcham e sigla il definitivo 1-0. Muriel chiude la stagione con 11 gol in 31 presenze. Il rendimento gli vale l’acquisto da parte del Siviglia. Lontano da Genova il colombiano tornerà a intristirsi e a ricevere le solite accuse sul suo regime alimentare.
Il bivio di Firenze
Le cose su cui si può essere d’accordo sul calcio sono poche, ma tra queste credo ci sia il fatto che questo di Muriel contro l’Inter sia uno dei gol più belli segnati su punizione in Serie A nel ventunesimo secolo. Non c’è bisogno di questo gol per dimostrare che Muriel abbia un talento straordinario, ma se penso a Muriel è il primo che mi viene in mente, forse perché lo allontana finalmente dallo paragone stanco con Ronaldo il fenomeno, o forse perché tra i suoi è il più misterioso. Una punizione potente come un tiro di collo ma calciata con una specie di mezzo interno, che dovrebbe dare alla palla un giro a uscire – come un tiro a giro, ma verso il palo del portiere – o ubriaco come una maledetta, e che invece esce teso verso il sette, dove Handanovic sembra andare semplicemente a una velocità diversa. A rivederla a replay da dietro non si capisce nemmeno come volesse calciarla veramente: e se fosse stato solo fortunato? Su questa domanda si è retta in bilico una buona fetta della carriera di Muriel, che fino alla definitiva e tarda consacrazione all’Atalanta, ha alternato momenti di brillantezza accecante a partite pigre, lunghi periodi di grigiore, infortuni a intermittenza. Il prestito di sei mesi alla Fiorentina, nella seconda metà della stagione 2018/19, è stato il momento in cui la sua carriera poteva tornare di qua o cadere di là, e per questo a posteriori è il più interessante, come la Belle Epoque prima delle grandi guerre e tutti quei periodi che precedono grandezza o distruzione. Alla Fiorentina Luis Muriel ha giocato 23 partite, non tutte indimenticabili, e in molti pensavano che non potesse più davvero arrivare a quei livelli che il suo talento prometteva, e nelle due stagioni successive ha segnato 40 gol solo in campionato giocando un quarto di finale di Champions League.
Muriel veniva da un’esperienza a Siviglia che già sembrava una pietra tombale: arrivato in Spagna da acquisto più oneroso della storia del club, aveva finito per segnare appena 13 gol in 65 presenze, e alla fine la squadra andalusa lo aveva dato in prestito alla Fiorentina con un diritto di riscatto piuttosto basso (12 milioni di euro). Tornato in Italia, aveva fatto la cosa più Muriel di tutte: segnare metà dei suoi gol con la maglia viola nelle prime due partite giocate, e il più bello in assoluto al suo debutto, contro la Sampdoria, partendo dalla propria metà campo e scartando il primo avversario con un primo controllo di tacco spalle alla porta.
Il suo ultimo gol con la maglia viola risale al 10 marzo, contro la Lazio, nemmeno due mesi dopo il debutto con la Fiorentina. La cosa a cui Muriel, in forme diverse, ci aveva abituato: segnare, illudere, sparire. Lo stereotipo uscito rafforzato dai mesi alla Fiorentina si è mischiato poi ad altri fattori, il cosiddetto contesto al di fuori del quale per il talento non c’è salvezza. L’esonero di Stefano Pioli, che l’aveva voluto fortemente alla Fiorentina al punto da dirottare Giovanni Simeone verso Cagliari; l’arrivo di Vincenzo Montella, che invece non sembrava puntarci troppo; soprattutto il cambio societario, con la cessione dei Della Valle e l’insediamento di Commisso, che ha spostato l’attenzione e soprattutto ha portato al divorzio con Pantaleo Corvino, un altro degli artefici dell’arrivo di Muriel a Firenze. Tutto questo ha portato la Fiorentina a non esercitare il diritto di riscatto e la storia a dispiegarsi nel modo in cui conosciamo. Le variabili che si sono dovute incastrare per portarlo all’esperienza che ha dato un senso a tutta la sua carriera sono state tante, non ultima l’intuizione di Gian Piero Gasperini di puntarci una volta che la Fiorentina si era sfilata.
“È finita nel modo più strano”, ha scritto Muriel nel suo ultimo messaggi ai tifosi viola, inconsapevole di cosa lo attendeva. Oggi Firenze rimane una parentesi nella sua carriera, di cui però conserva un ricordo dolce: «Firenze è una città stupenda, da incanto: abitavo a piazzale Michelangelo, mi svegliavo la mattina e mi godevo un panorama incredibile che mi accompagnava per l’intera giornata». Chissà se ogni tanto ci ripensa, alla realtà in cui quel panorama continua ad essere lo sfondo della sua vita anche dopo quei sei mesi.
La rinascita all’Atalanta
di Daniele Manusia
A conti fatti è la squadra in cui ha passato più tempo – cinque stagioni e mezzo – ed è normale identificare Luis Muriel con i colori nerazzurri, chiudere gli occhi e immaginarlo idealmente, tra tutte le maglie che ha indossato, con quella dell’Atalanta. A Bergamo è arrivato nel 2019 e non serve un grande sforzo di memoria per ricordare che in quel momento, dopo i sei mesi piuttosto incredibili con la Fiorentina, dopo i due anni così e così al Siviglia, Luis Muriel sembrava già aver dato tutto quello che aveva da dare.
Aveva 28 anni ma parevano, boh, 40, anche perché da quando era arrivato in Italia quasi dieci anni prima avevamo fatto in tempo a illuderci e disullerdeci almeno quattro o cinque volte. Sarà questo l’anno in cui Luis Muriel esploderà davvero? Per un giocatore che fin da quando aveva vent’anni veniva accusato di scarso professionismo, la cui forma fisica tra genetica e cattive abitudini era sempre a rischio, chi avrebbe mai immaginato che le sue due migliori stagioni sarebbero arrivate a cavallo dei 30 anni?
Muriel non è mai stato così presente in campo e così prolifico come è stato tra il 2019 e la prima metà del 2021. Paradossalmente in una squadra accusata di essere troppo meccanica, basata sull’intensità difensiva e una verticalità a volte un po’ ottusa, Muriel ha trovato piena libertà (come avevano fatto prima di lui Gomez e Ilicic, altri due giocatori che rappresentavano una discontinuità rispetto al contesto “gasperiniano”, anche se è Gasperini stesso a creare lo spazio per giocatori di questo tipo). Mai come nell’Atalanta si è visto che Muriel, forse, chissà, con un po’ di fortuna e di costanza in più, avrebbe potuto fare la differenza anche ad altissimo livello.
Nella stagione 2021-22 il sogno era già finito di nuovo, o quasi, come sempre succede con Muriel. Ad aprile, dopo essere usciti dalla Champions con un girone deludente, l’Atalanta affronta ai quarti di finale di Europa League la sua nemesi tedesca, la squadra di Lipsia del franchise Red Bull. Intensità contro intensità, fuoco contro fuoco. Alla fine passerà il Lipsia grazie alla doppietta di Nkunku a Bergamo, ma il gol di Muriel in Germania, dopo un quarto d’ora di gioco, rimane come segno tangibile della sua capacità di trasformare in oro qualsiasi pallone.
È un gol in cui ci sono tutte le sue qualità. La conduzione sensibile, con la palla sempre attaccata al piede, ondeggiando come una barchetta di carta nella corrente di un fiume, sempre pronto a sbilanciarsi a destra o a sinistra (perché col piede debole calciava quasi altrettanto bene che con quello forte) pur di prendere in controtempo i difensori. Muriel prende palla oltre lo spigolo sinistro dell’area, punta Klostermann e quando arriva il raddoppio di Henrichs, anziché sterzare sul sinistro, lungolinea, accelera e passa in mezzo ai due avversari. Poi con l’esterno destro allontana la palla dalla porta e crea lo spazio per il tiro evitando l’ostruzione di Kampl. E come se niente fosse spedisce la palla sotto l’incrocio più lontano.
Qui c’è tutta la sua incredibile capacità di calciare in porta, un dono davvero semidivino, alla portata di pochissimi altri calciatori se si considera quanti gol abbia segnato da lontano. Con tiri sempre secchi ed angolati, come se per lui tirare da venti o trenta metri fosse come farlo da undici. La palla si staccava dal suo piede alla velocità con cui gli UFO si spostano nel cielo, bisogna rallentare l’immagine per capire la forma dell’oggetto che ha attraversato il cielo. C’è qualcosa di alieno e di illeggibile nel modo in cui Muriel calcia in porta, qualcosa che è solo suo e di altri grandissimi calciatori.
Siamo spesso troppo severi nel giudicare le carriere dei calciatori di maggior talento. Potevano fare questo, poteva fare quello… ma dentro di noi, lì dove alberga il nostro senso di realtà, la nostra capacità di riconoscere un capolavoro da uno scarabocchio, una pianta vera da una di plastica, una tigre in carne e ossa da una di peluche, lì dentro sappiamo bene che Luis Muriel aveva le qualità del campione vero e proprio. Le qualità del fenomeno.
Luis Muriel il fenomeno
di Marco D’Ottavi
Il primo a paragonarlo a Ronaldo, rivendica lui, fu Serse Cosmi nel 2011 dopo un gol all’Inter. «Sai chi segnava così tutte le domeniche? Ronaldo», predisse. Ronaldo, quello brasiliano, si era appena ritirato. L’ultimo, poche settimane fa, è stato Mario Balotelli, dopo il gol di tacco al Milan («Sì, come tecnica di base e come movenze»). In mezzo c’è una carriera intera, passata a essere inseguito dallo spirito del Fenomeno, come un fantasma in una storia di fantasmi. È un paragone ingombrante ed esagerato, che però in qualche modo non stona, anche a distanza di tutti quegli anni: in Muriel c’è qualcosa di Ronaldo, inutile negarlo, nelle movenze, nell’indole, nell’espressione sognante, nell’idea del calcio come àncora alla nostra spensieratezza.
Cosmi insiste ancora nel 2012. «Sono stato il primo a parlarne e confermo: il ragazzo ha qualcosa che mi ricorda il “vero” Ronaldo. I tratti somatici, certi colpi». Porta il paragone allo stremo: «In vita mia ho visto tre fuoriclasse assoluti: Maradona, Ronaldo e Messi. Oggi ho Muriel e non ho mai allenato uno così forte alla sua età».
A Udine Guidolin non ci casca, dice «Non diventerà mai un campione perché è troppo grasso, mangia troppe merendine» (anche questo col cibo può essere considerata una contiguità col Fenomeno). Escono fuori i bastian contrari, spesso brasiliani, i più legati al “vero” Ronaldo. Edinho, ex bandiera dell’Udinese, reagisce così: «Muriel come Ronaldo? Non scherziamo».
Quando arriva alla Sampdoria, invece, Massimo Ferrero lo accoglie proprio col paragone: «Per me può essere paragonato ad un Ronaldo, perché ha capacità, voglia, testa. Diamogli questo paragone così lo stimoliamo un pò, un paragone stimolante e di buon augurio». Lui segna 3 gol in 5 partite e tocca a Mihajlovic, l’allenatore di quella Samp: «Per me Muriel somiglia a Ronaldo il brasiliano: per movenze e tocco di palla».
Ma Muriel che dice? Sono decine le interviste in cui è costretto a rispondere: «Cosa ho io del più grande? Forse qualche movenza, l’accelerazione palla al piede, ma poi?»; «All’inizio mi distraeva, volavo con la testa da un’altra parte»; «Paragone con Ronaldo? Bellissimo»; «Paragone con Ronaldo? Non scherziamo; «Mi basterebbe fare la metà di quello che ha fatto»; «Ho movenze alla Ronaldo? Bastassero quelle…». Le risposte sembrano cambiare a seconda del suo stato di forma, dei suoi umori. Ronaldo, racconta, lo ha visto una volta mentre faceva il raccattapalle in un Brasile-Colombia. Aveva 9 anni e voleva stringergli la mano, ma quello si era volatilizzato. Poi lo ha incontrato: era in Nazionale e uscendo da un ascensore se lo ritrova davanti «e io nulla, mi paralizzo per l’emozione».
Non si sottrae neanche Giampaolo: «Muriel ricorda Ronaldo Il Fenomeno in alcune movenze ma lo vedo ancora appesantito» (ma sarà lui, dice Muriel, a svoltargli la carriera). A Siviglia, sui giornali, lo definiscono “il nuovo Ronaldo”, “il Ronaldo del Siviglia”, ma sembra più ironico, un soprannome che “puzza”. Ci vuole allora il ritorno in Italia per far tornare le vibrazioni di Muriel-che-ricorda-Ronaldo. L’inizio esplosivo alla Fiorentina a Pioli glielo cava di bocca. Sembra quasi non vorrebbe, ma… «Se questo è Muriel posso andare a casa tranquillo. Ho parlato chiaro con lui: mi ricorda Ronaldo il Fenomeno, il brasiliano. Ha qualità enormi, che non ha saputo mettere a frutto come avrebbe dovuto». A questo punto siamo già alla fase post-storica del paragone. Negli stessi giorni a farlo sono Corvia: «Era incredibile. Aveva le stesse movenze», Colonnese: «Stesse movenze, stesso modo di tenere palla e stessa corsa», Ciccio Graziani: «nei movimenti e nelle capacità tecniche ricorda molto Ronaldo»; Vieri: «Sarò esagerato ma a me ricorda Ronaldo… il Fenomeno» (Vieri si ripeterà anche alla Bobo TV anni dopo, ma Cassano gli dirà di «non sparare cagate»).
Curiosamente il paragone si affievolisce quando Muriel arriva all’Atalanta. In quella che è la sua tappa più stabile, il luogo dove trova un po’ di quella continuità che gli impediva di essere davvero “come Ronaldo”, perde anche quell’aura da Fenomeno. Muriel mette insieme momenti di onnipotenza, segna a un ritmo spaventoso, sempre entrando dalla panchina. Forse è proprio questo ruolo da subentrante che lo libera dal fardello: Ronaldo non ha mai fatto panchina, neanche alla fine, con le ginocchia martoriate e il girovita allargato.
Gasperini, che pure nei quattro anni e mezzo passati insieme avrà parole al miele per il colombiano (una rarità), non tira mai fuori Ronaldo come riferimento, attenendosi ai meno impegnativi superlativi (clamoroso, straordinario, da solo vale il prezzo del biglietto, immortale). Muriel come Ronaldo rimane allora un paragone divisivo da social. C’è chi dice che Muriel ha “l’1% di Ronaldo”, chi nega più o meno simpaticamente. Arrivano i meme, i tik-tok, gli influencer. Lui si congeda col gol di tacco al Milan: non è Ronaldo, è Muriel e va bene così.
Il Muriel ipotetico
di Emanuele Atturo
Esiste un Muriel reale e uno immaginato. Un Muriel che suggeriva di poter essere il migliore, e uno che lo è stato davvero. Un Muriel che riesce ad attraversare la fisica del campo, bucare i corpi dei difensori, qualche volta in una carriera, e un altro che lo fa ogni domenica, nelle nottate di Champions League, o durante i campionati del mondo di calcio. C’è un Muriel esistito nel mondo reale, e uno che è esistito solo nella nostra testa.
È in questa distanza tra due immagini che abbiamo coltivato il nostro amore per lui.
Muriel è uno di quei giocatori di cui si parla sempre in termini ipotetici. Se non avesse avuto infortuni, se avesse avuto un’altra testa, se il calcio contemporaneo non fosse stato così brutale. Soprattutto: se non gli fosse piaciuto così tanto mangiare. In una lettera al Corriere di Bergamo Pietro Serina ringrazia «la tua smodata passione per i piaceri della tavola. Non fosse esistita, non ti avremmo visto per 4 anni e mezzo nell’Atalanta, perché avresti vissuto tutta la carriera nell’Olimpo del calcio. Di certo più ricco, più magro e meno sorridente».
Guidolin diceva che non sarebbe mai diventato un campione perché mangiava troppe merendine – e lui anni dopo precisò che a lui, in realtà, le merendine non gli piacciono. «C’è chi ingurgita di tutto ed è secco come un chiodo, tipo Cuadrado, mentre io appena mangio un po’ di più ingrasso: è genetica». Questo aspetto del cibo sta bene insieme a quello della pigrizia. In un’intervista alla Gazzetta racconta che ai tempi del Granada è riuscito a restare a letto dal venerdì a lunedì ininterrottamente; racconta che ai tempi del Lecce Cuadrado gli ha bussato in camera per mezz’ora senza che lui sentisse niente.
Quella maglia celeste della Sampdoria sembra disegnata apposta per farlo apparire più grasso. Lui, pesante ma felpato, scappa dietro la linea difensiva della Roma, e segna questo gol al volo diverso da quelli più nelle sue corde.
Storie che danno a Muriel un’aria da grande Lebowski, da personaggio sfasato, altrove, una specie di Snorlax degli attaccanti – grosso, dolce e sonnolento. Però al contempo felice, sorridente, in grado di giocare con la calma consapevole dei grandi giocatori, e di farlo per il gusto del pubblico. Nel grande atlante dei talenti sprecati Muriel è lontano da ogni maledettismo, da ogni frustrazione, da ogni sfortuna; ha più a che fare col disimpegno, con una pigrizia che pare una forma di resistenza alla pressione produttivistica.
È anche in questa assenza di competitività così famigliare, in questa leggerezza auto-sabotante, che abbiamo coltivato il nostro amore per lui. Ci abbiamo visto, nonostante tutto, un modello positivo. Ci abbiamo visto quel nostro amico che si ammazza di canne, ma sa recitare Ovidio a memoria, o risolvere equazioni di terzo grado senza sforzo – e che poi lavora al negozio di animali del padre.
E così ogni estate abbiamo sperato che comunque arrivasse a vestire la maglia della nostra squadra, o abbiamo finito per comprarlo al Fantacalcio, scommettendo su una sua rinascita.
Ogni volta che perdevamo le speranze, Muriel riusciva a ricucire le distanze tra il sé reale e il sé ipotetico. Dopo cinque stagioni anonime, ne giocò una bellissima nella Sampdoria di Giampaolo; dopo il naufragio di Siviglia, quei primi gol allucinanti in maglia viola. Questi momenti sono diventati sempre più lunghi e costanti con la maglia dell’Atalanta. Per un paio d’anni, negli stadi svuotati dal Covid, ha trovato una paradossale efficacia: 45 gol in due stagioni. Più invecchiava, più diventava essenziale, capace di massimizzare il proprio talento sottoporta.
Negli ultimi due anni, col peggioramento fisico, è tornato in questo ruolo defilato, leggermente periferico, da cui può permettersi di sparire per mesi, poi ricomparire con un colpo di tacco, un passo di cumbia, uno di quei sorrisi che ci fa pensare che niente è davvero importante.
By marcodalmen