Come giocava il Genoa di Gasperini
«Quando finirò spero di girare il mondo, magari andando a guardare giocatori ovunque». Quando finirò, certo. Ci vogliono più di dieci anni, perché i capelli bianchi solo tra un po’ cominceranno a non rendergli più ingiustizia. Allora di nuovo: quante cose si possono fare fino al 2020? Non si possono neanche contare». Era questa la domanda che si poneva Beppe Di Corrado del Foglio dieci anni e mezzo fa, in un articolo che, come molti di quel periodo, cercava di carpire i segreti del miracoloso Genoa di Gasperini, capace di lottare per la Champions League già alla seconda stagione in Serie A.
Dal 2009 a oggi in effetti Giampiero Gasperini ne ha passate parecchie, però ha rispettato le attese e le ha superate fino al punto in cui oggi è impossibile non riconoscerlo come uno dei più brillanti allenatori d’Europa. L’Atalanta è una squadra peculiare, “d’autore” come direbbe Bielsa, di cui non si possono confondere i tratti. Anche il pubblico meno avvezzo all’analisi tattica ormai conosce principi dei nerazzurri come il pressing alto e le marcature a uomo.
È straordinaria la longevità delle idee di Gasperini. Una proposta di gioco viva dai tempi della Serie C a Crotone, nel 2003, in grado di resistere all’usura delle stagioni in un calcio in continua evoluzione. Se il sistema di Gasperini si è affermato, però, è grazie alla sua capacità di innovarsi e all’inserimento di individualità diverse, che hanno permesso di sperimentare soluzioni inedite: Burdisso, le cui doti in marcatura consentivano di affrontare in parità numerica gli attaccanti avversari, Ilicic, che ha portato una gestione meno frenetica dei possessi offensivi, o il lavoro a tutto campo di Gomez, fondamentale per sopperire alla cessione di Cristante.
Spinto dalla curiosità, ho riguardato alcune partite del primo Genoa di Gasperini, quello del ciclo 2006-2010, per vedere quali fossero i punti di contatto con l’Atalanta e per capire come principi così all’avanguardia si incastrassero nel calcio di dieci anni fa. Il contesto è differente (molte più fasi di difesa posizionale, attacchi più diretti) ma è impossibile non riconoscere in quel Genoa gli stessi fili che muovono l’Atalanta: le marcature a uomo, la riaggressione dopo aver perso palla in attacco, la costante ricerca dell’anticipo, le combinazioni lungo le catene con i quadrilateri di fascia. Alla fine, ho isolato quattro azioni del Genoa che potrebbero essere estratte da una qualsiasi partita dell’Atalanta degli ultimi quattro anni, un piccolo tributo alla solidità delle idee di Gasperini, allenatore d’avanguardia e di proposta offensiva in una Serie A allora legata a idee più conservatrici.
La riaggressione come strumento di produzione offensiva. Da Genoa-Juventus 3-2, Serie A 2008/09
Nell’aprile del 2009 il Genoa è in piena lotta per la qualificazione in Champions League con la Fiorentina di Prandelli quando accoglie a Marassi la Juventus di Ranieri. Il Genoa impone ritmi altissimi alla partita grazie al pressing alto e per gran parte del match la Juve non riesce a respirare. Contro il 4-4-2 di Ranieri, Gasperini lascia un solo uomo, la punta Jankovic, in mezzo ai due centrali per preservare la superiorità numerica in difesa. Le ali Sculli e Palladino marcano i terzini, mentre i mediani Motta e Juric si occupano dei pari ruolo avversari. È la pressione dei due centrocampisti a elevare ritmi e baricentro del Genoa. Non si occupano solo di aggredire Poulsen e Marchisio, ma in caso di retropassaggio al difensore, il più vicino dei due deve abbandonare l’uomo di riferimento per alzarsi sul centrale, stando attento a coprire con la corsa la linea di passaggio verso il centrocampista alle spalle. Il mediano che sale si alza sulla stessa linea di Jankovic e crea parità numerica contro i difensori juventini. Quello che resta più basso deve essere pronto, in caso, a scalare sull’uomo lasciato libero, in modo da comprimere gli spazi e impedire la ricezione.
È un meccanismo di pressione alta tipico del Genoa di Gasperini: si conserva la superiorità numerica in difesa e si sopperisce all’inferiorità numerica a centrocampo e in attacco attraverso le scalate. Il principio è valido sia in fase di pressing che in fase di riaggressione dopo aver perso la palla. Il gegenpressing infatti schiaccia la Juve nella sua metà campo. Persa palla gli attaccanti aggrediscono i difensori più vicini e trascinano con sé centrocampisti e difensori: il Genoa porta il baricentro nella metà campo avversaria e dai recuperi riesce a generare anche tiri in porta. Come al quarto d’ora, quando una serie di scalate in avanti dopo la perdita del pallone genera un tiro pericoloso di Sculli.
Jankovic riceve defilato a sinistra, si gira verso il centro e prova a innescare Sculli sul versante opposto. La difesa della Juve scivola bene e Molinaro, terzino del lato debole, intercetta. La posizione di punta è occupata momentaneamente da Palladino. Difesa e centrocampo della Juve sono vicinissimi. Molinaro appoggia al centrale sinistro, Chiellini, e allora Palladino va subito in pressing sul toscano. Chiellini prima dell’intervento avversario serve Poulsen pochi metri davanti a lui. Allora il mediano di destra, Juric, si alza su Poulsen.
Il danese per evitare l’aggressione rigioca indietro su Molinaro. Juric non si ferma, abbandona Poulsen e corre in avanti verso Molinaro che, intimorito e costretto ad agire in fretta, prova un filtrante col piede debole verso Iaquinta.
Thiago Motta, che era rimasto sul centro sinistra nella zona di Marchisio, legge il passaggio e corre in orizzontale per lanciarsi in scivolata e intercettare il passaggio. Il tackle rinvia il pallone rasoterra nella zona di Molinaro che però controlla male il pallone. Juric gli stava già andando incontro per aggredirlo. Un paio di passi più a destra Sculli era pronto a portare il raddoppio. Molinaro prova a proteggere il pallone ma Juric glielo porta via e col contrasto serve il vicino Sculli. Il Genoa ha recuperato palla al limite dell’area e vicino l’ala calabrese ci sono Juric e Jankovic con cui rifinire. Sculli però vede la porta e prova a calciare rasoterra sul secondo palo. Buffon si allunga e blocca.
Verticalizzazione dettata dalla punta e centrali laterali come rifinitori. Da Genoa-Inter 0-2, Serie A 2008/09
Fino al minuto 21:58.
Insomma, anche il Genoa di Gasperini sapeva già proporre fasi di pressing e gegenpressing che inclinavano il campo verso la porta avversaria, soprattutto al Ferraris. José Mourinho vuole evitare a tutti i costi quel tipo di contesto. Per questo nella partita di ritorno tra Genoa e Inter nel 2009 non prova mai a costruire dal basso. Con la palla al portiere o ai difensori i nerazzurri cercano sempre il lancio verso Ibrahimovic. Il Genoa quindi non ha modo di attivare il pressing e non riesce a indirizzare la contesa sui binari desiderati. La partita comunque è equilibrata e i rossoblù creano occasioni pericolose soprattutto grazie al gioco aereo. Una delle manovre più interessanti si sviluppa intorno al 20’ ed è un’azione in cui ci potrebbero essere benissimo Zapata al posto di Milito, Toloi o Djimsiti al posto di Biava e Cristante al posto di Thiago Motta.
L’Inter batte una rimessa laterale sulla destra per Ibrahimovic, che per proteggere il pallone commette fallo. Il Genoa batte subito la punizione e Juric, mediano di sinistra, gira velocemente il pallone su Thiago Motta, mediano di destra. Prima che gli arrivi il pallone, Motta ha già visto il taglio interno-esterno di Milito verso sinistra. Il futuro centrocampista della Nazionale allora di sinistro lancia di prima l’argentino alle spalle della difesa, una giocata da mente superiore che probabilmente manca all’Atalanta e che, vista la qualità del piede e del cervello di Motta e Milanetto mi fa pensare che il centrocampo di quel Genoa fosse addirittura superiore per qualità assoluta a quello dell’Atalanta, malgrado l’ottimo livello di Freuler e De Roon.
Milito addomestica il pallone sul lato sinistro dell’area: sembra uno di quei tagli con cui Zapata detta la verticalizzazione, abbassa le difese, tiene botta al marcatore e permette all’Atalanta di impossessarsi della trequarti. Allo stesso modo Milito riesce a mantenere il possesso nonostante abbia addosso Cordoba. La protezione di palla dà il tempo ai compagni di salire. Jankovic, Motta, Sculli e il tornante opposto, Marco Rossi, si avvicinano all’area, mentre Juric offe un appoggio all’indietro a Milito. Il croato riceve e il difensore centrale, Bocchetti, si alza per dargli subito lo scarico. Bocchetti conduce per pochi metri, quanto basta per attrarre Zanetti e Stankovic, che restano bloccati al centro per controllarlo e lasciano scoperta la ricezione di Biava sul centro destra. Il terzo centrale di destra, Biava appunto, è salito fin sulla trequarti interista. Grazie alla conduzione di Bocchetti ha tutto il tempo per alzare la testa e preparare il cross. In area ci sono Jankovic sul centro sinistra e Sculli sul centro destra, che si allarga e abbozza lo scatto profondo per un eventuale filtrante. Il movimento del calabrese allontana Burdisso e Maxwell dal cuore della difesa. Si crea così lo spazio per l’inserimento centrale di Motta, che si muove alle spalle di Cambiasso e chiama il cross a Biava. Il difensore pennella un traversone perfetto che finisce sulla testa del centrocampista. Motta torce il collo e colpisce verso il secondo palo; Julio Cesar, come spesso gli capitava in quegli anni, compie un miracolo e respinge.
In quest’azione abbiamo visto tutti i principi del calcio di Gasperini in fase di attacco posizionale: la risalita del campo in verticale grazie al lavoro della punta, il giro palla orizzontale per spostare velocemente il pallone da un lato all’altro del campo e punire lo scivolamento della difesa, la partecipazione attiva dei difensori, chiamati a salire fino al limite dell’area per occuparsi della rifinitura. Ma anche i movimenti coordinati degli attaccanti che aprono spazio all’inserimento dei difensori e l’occupazione in massa degli ultimi sedici metri: al momento del cross in area ci sono Sculli, Motta, Jankovic e Milito contro quattro difensori dell’Inter.
Il centro usato per passare da un lato all’altro. Da Genoa-Sampdoria 3-1, Serie A 2008/09
Fino al minuto 53:36.
Il 2008/09 per i tifosi del Genoa è una stagione ricca di soddisfazioni non solo per il ritorno in Europa (il grifone si qualifica per la prima edizione dell’Europa League; raggiunge il quarto posto a pari punti con la Fiorentina ma in Champions ci vanno i viola per via degli scontri diretti). Per la prima volta dopo venticinque anni i rossoblù chiudono il campionato davanti alla Sampdoria. Una superiorità certificata dalle vittorie in entrambi i derby stagionali. In particolare quello del girone di ritorno è la ciliegina sulla torta della straordinaria stagione di Diego Milito, che firma il 3-1 finale con una tripletta. È una partita cattiva, che si chiude addirittura con tre espulsioni, in cui il Genoa sfrutta la difesa a tre per controllare la coppia Cassano-Pazzini. Biava segue a uomo Cassano anche oltre il centrocampo, una marcatura che ricorda quelle che Masiello riservava a Dybala negli scontri tra l’Atalanta e la Juve di Allegri.
All’inizio del secondo tempo, sul punteggio di 1-1, gli uomini di Gasperini costruiscono un’occasione con una serie di passaggi in orizzontale in cui il corridoio centrale viene sfruttato semplicemente come check point per far passare il pallone da un lato all’altro del campo, in modo da trovare l’uomo sul fianco scoperto. Un pattern caratteristico dell’Atalanta, soprattutto quando Gomez si abbassa per dare olio alla catena e scoprire il pallone per cercare il cambio gioco. Qui nelle veci del Papu troviamo Raffaele Palladino, ala sinistra talentuosa, innamorato come l’argentino di tunnel e dribbling irrisori, che purtroppo però non è riuscito a evolversi in un giocatore davvero funzionale. In attacco il Genoa non aveva il talento dell’Atalanta e quindi gli sviluppi sulle catene erano molto più diretti, per sfruttare la verticalità di Jankovic e Sculli. Palladino però riusciva con i dribbling e la tecnica a rendere più fluida la manovra.
Qui Bocchetti inizia la costruzione sulla sinistra e appoggia a Juric. Si forma un triangolo composto dal croato in possesso, Criscito largo e Palladino nel mezzo spazio. Bocchetti resta più arretrato. Juric gioca in verticale per Palladino nel mezzo spazio, dopodiché si lancia in area. Palladino è aggredito alle spalle da Campagnaro, il centrale di destra del 3-5-2 di Mazzarri.
Allora arretra e appoggia a Criscito. Il tornante campano è chiuso da Raggi e restituisce a Palladino. L’ex Juve alza la testa: Milito gli sta andando incontro e in questo modo porta fuori zona Lucchini, il difensore centrale. Sculli dal lato opposto individua lo spazio svuotato da Lucchini e lo occupa. Palladino vede il movimento del calabrese e con un laser pass in diagonale lo serve: un passaggio di qualità superiore, che passa in mezzo a tre avversari. Sculli, spalle alla porta, appoggia di prima a Biava che si era alzato sul centro destra e sfrutta il passaggio verso il centro per ribaltare il lato. Il passaggio orizzontale infatti ha dato il tempo a un uomo in più, Biava, di occupare la trequarti doriana. Rossi, tornante destro, è alto e tiene Pieri bloccato. Il centrale sinistro, Accardi, deve coprire molto spazio in avanti per andare incontro a Biava, che infatti ha il tempo di prendere la mira e calciare. Il suo destro termina di poco fuori. L’atteggiamento proattivo di Biava è davvero avveniristico in una partita in cui la squadra avversaria, la Samp, schiera da tornanti due giocatori di contenimento come Pieri e Raggi.
L’occupazione in massa dell’area di rigore e il gol del tornante opposto. Da Roma-Genoa 3-2, Serie A 2007/08
Fino al minuto 1:11:45.
Alla fine della prima stagione in Serie A, la 2007/08, il Genoa ha poco da chiedere al proprio campionato. Avrebbe chiuso la stagione con un ottimo decimo posto e il centravanti, Borriello, autore di diciannove gol, avrebbe strappato una convocazione per Euro 2008. La Roma invece è in piena lotta per lo scudetto e chiude il primo tempo in vantaggio per 2-0. Gasperini non ci sta e pretende una reazione. Nel giro di due minuti i rossoblù piantano le tende nella trequarti giallorossa e dal 12’ al 14’ della ripresa ottengono il pareggio. L’azione del 2-1 è un trattato sul modo in cui il grifone, proprio come l’Atalanta, riusciva a portare molti uomini in area di rigore. Il gol di Marco Rossi, tornante destro nel 3-4-3, prefigura la soluzione offensiva più iconica dell’Atalanta del Gasp: l’esterno del lato debole che finalizza quanto costruito sul lato opposto.
Tutto inizia da un contropiede della Roma, con Taddei che riceve largo a destra. Criscito, tornante sinistro, aggredisce il brasiliano che cerca il passaggio in diagonale su Giuly. Il francese pensava di ricevere in corsa e si muove in avanti. Alessandro Lucarelli, il centrale, legge il passaggio, si alza e lo intercetta. Lucarelli lascia il pallone al mediano di destra Konko, che lo porta sulla trequarti. Konko scarica in avanti su Borriello. Il centravanti, prima che Panucci esca su di lui, orienta il controllo verso sinistra e in questo modo si libera del ritorno di Perrotta. Con grande proprietà tecnica Borriello conduce a piccoli passi verso sinistra e col braccio tiene lontano Panucci. Borriello scarica per Sculli sul vertice sinistro dell’area. Sul calabrese esce Cicinho ma ecco che arriva puntuale la sovrapposizione di Criscito che mette in inferiorità numerica il brasiliano. Sculli serve il tornante sulla corsa e, quando Criscito riceve, in area ci sono le altre due punte, Borriello e Leon, il mediano di destra Konko e il tornante destro Rossi. Cinque uomini del Genoa contro sei della Roma. Criscito gioca a rimorchio per Borriello che calcia in porta. Doni respinge verso il secondo palo dove Marco Rossi mette in rete, da buon tornante di Gasperini.
In realtà non sono molti i gol segnati così dai centrocampisti esterni del Genoa. Tuttavia era una soluzione già presente. L’uomo deputato all’attacco del secondo palo infatti era Beppe Sculli, vero specialista dei tagli sul lato debole. Milanetto in particolare era bravissimo a innescare il compagno col filtrante dietro il terzino avversario. Sculli finalizzava non solo grazie al tempismo negli inserimenti ma anche grazie a un’ottima abilità nel gioco aereo. Non a caso in situazioni di emergenza il Genoa ricorreva al lancio per la sua testa.
Ho voluto però scegliere il gol di Rossi perché, nonostante nasca dalla respinta di Doni, è il frutto dell’inserimento di un tornante sul lato debole alle spalle del terzino, il marchio di fabbrica del calcio di Gasperini dieci anni dopo.
Insomma, già dal primo anno di Serie A Gasperini aveva lasciato ben chiara quale fosse la sua idea di calcio. La dimostrazione di quanto valide e moderne fossero le sue idee già ai tempi di Genova sono i suoi allievi, gli ex giocatori genoani che hanno intrapreso la carriera da allenatore e che si ispirano alle idee del proprio maestro. L’Hellas Verona di Juric oggi è una squadra in grado di competere con chiunque attraverso 3-4-3 e marcature a uomo. Più in basso, in Serie C, si sta affermando Francesco Modesto, sempre fedele al 3-4-3, ai duelli a tutto campo e all’uso attivo dei braccetti in difesa.
Sono pochi gli allenatori italiani a poter vantare un lascito così evidente sui tecnici più giovani. C’è chi magari ha ereditato dai propri maestri le doti di gestione dello spogliatoio, come Conte e Zidane con Lippi, ma è ancora più raro vedere allenatori mutuare direttamente schemi difensivi e offensivi. Magari tra qualche anno anche gli ex dell’Atalanta proveranno a ispirarsi al loro vecchio allenatore: il 3-4-3, i centrali che portano palla e servono assist e le marcature a uomo continueranno a perpetuarsi e a rimanere patrimonio della Serie A.
fonte ultimouomo.com
By marcodalmen