10/03/2022 | 18.00
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Come Ilicic



Due anni fa, esattamente in questi minuti intorno a mezzogiorno, sentivo per l’ultima volta la voce di mia madre.

Mi chiamava dall’ospedale, dove lottava contro il Covid, preoccupandosi di sapere se avevo fatto alcune cose in sospeso che la riguardavano, cose che non potevo fare perché ero in isolamento ma che, mentendo, la rassicurai di aver fatto.
La sua voce era affaticata dalle difficoltà di respiro ma mi sembrava migliore rispetto ai giorni precedenti e chiusi la telefonata moderatamente ottimista.
Un’ora dopo, i medici ci comunicavano di prepararci, non ce l’avrebbe fatta e l’avrebbero accompagnata dolcemente, per quanto possibile.

La sera si giocava Valencia-Atalanta, ottavo di finale di Champions League, dopo molte indecisioni dovute all’opportunità di svolgerla, a causa dell’avanzante preoccupazione sanitaria, non ancora diventata emergenza mondiale.
Sperai per tutto il giorno che si giocasse, non osavo pensare alla mia serata da solo, con il pensiero a mia madre che non avrei rivisto più.
Si giocò, vinse l’Atalanta per 4 a 3 e Josip Ilicic segnò tutte e 4 le reti della mia squadra, salvando il mio sistema emotivo-nervoso ed evitandomi di crollare del tutto, quella notte.

Poi Ilicic andò in depressione, non giocò i quarti col PSG, sparì per qualche tempo poi ritornò, giocò ancora e poi ricadde nuovamente in depressione, poche settimane fa, scomparendo un'altra volta.

Finché ieri, questa fotografia lo mostra seduto ai bordi del campo di allenamento, in attesa di riprendere il suo posto in campo.

Ecco, due anni dopo, io mi sento così, come Ilicic.

 

Pierr Nosari
By Otis
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