Dimenticarti, no.
Quando el Tio mi raccolse come uno straccio davanti alla porta della sua cascina, in un alba fredda e umida, avevo quell’età per cui un' ubriacatura non è più un vanto, ma non ancora una necessità.
Mi aveva messo sotto la doccia fredda per scrostarmi, dentro e fuori, il puzzo intenso del vino che avevo consumato in maniera irragionevole.
“E’ stato per colpa di una donna.”
Sentenziò senza neppure domandare.
Era la donna che, anni dopo, mi sembrava di intravedere in fondo a Calle de la Estafeta. Con i capelli neri come le notti d’inverno, gli occhi come pietre di lava e la carnagione andalusa.
Era la donna con cui avevo creduto di vivere per tutta la vita. Con la quale avrei messo al mondo una discendenza. Assieme alla quale sarei diventato vecchio.
E invece ci lasciammo così, all’improvviso. In una sera fresca, dopo una lite. Mettendo fra di noi un muro di orgoglio e di passione, che invece di unirci ci ha catapultati in due vite differenti.
Lei per la sua strada, non so dove. Io a roteare senza meta per l’Europa.
Lei a farsi una famiglia sulle coste nuvolose della Galizia. Io a consumarmi dentro una relazione con la commessa del supermercato, madre di due figli, che penso di amare come e quanto amavo mio padre.
Non la rividi mai più, quella donna che pensavo fosse il mio presente ed il mio futuro, invece era diventata di colpo il mio passato, fino a quella domenica mattina, moltissimi anni dopo, d’estate, in fondo a la Estafeta.
Lei non mi aveva ancora visto. Non mi girai. Non cambiai strada. Lasciai che il destino me la facesse arrivare incontro.
Camminava spensierata con una bella ragazza a fianco. Sua figlia, probabilmente. Stessi capelli, stesso sguardo, stesso profumo di fondo.
“Ciao.”
Non sembrò sorpresa nel vedermi. Pareva che non ci fossimo mai persi di vista.
Aveva gli stessi occhi di sempre, il seno decisamente più abbondante e i fianchi più generosi. Ma lo sguardo era lo stesso. Come il profumo e il sorriso dei momenti migliori che avevamo trascorso assieme. Il sorriso delle scoperte delle vette più alte che mai avremmo pensato di raggiungere e che abbiamo conosciuto per la prima volta assieme.
“Lui è Rodrigo.”
“Quel Rodrigo?” Chiese la figlia.
Sapeva di me.
Parlammo qualche istante del nulla e ci salutammo.
La sera, a casa, spensi le luci e misi sul vecchio giradischi un vinile di Gato Barbieri. Un bicchiere di Ramòn Bilbao e la luce fioca della luna.
Ripensai a lei alla sua lontananza, che, alla fine, mi aveva permessi di incontrare Charo e una vita da solitario errante, dalla quale non mi sarei mai separato e, in fondo, credo sarebbe l’unica vita che potrei vivere.
E, per la prima volta, mi tornò in mente il Papu.
Alla fine, è stata la stessa storia.
Non l’abbiamo mai dimenticato, ma fino a quella sera, al buio, infilato fra le note di “yo le canto a la luna”, non ci avevo mai pensato.
Forse mi si era anche disegnato un leggero e dolce sorriso sulle labbra.
Forse anche il cuore si era intenerito.
E il ricordo del Papu mi era sceso dentro, assieme al delicato sapore del Ramòn Bilbao. Assieme alle tenere emozioni di un passato che non dimenticheremo mai.
Rodrigo Dìaz
Mi aveva messo sotto la doccia fredda per scrostarmi, dentro e fuori, il puzzo intenso del vino che avevo consumato in maniera irragionevole.
“E’ stato per colpa di una donna.”
Sentenziò senza neppure domandare.
Era la donna che, anni dopo, mi sembrava di intravedere in fondo a Calle de la Estafeta. Con i capelli neri come le notti d’inverno, gli occhi come pietre di lava e la carnagione andalusa.
Era la donna con cui avevo creduto di vivere per tutta la vita. Con la quale avrei messo al mondo una discendenza. Assieme alla quale sarei diventato vecchio.
E invece ci lasciammo così, all’improvviso. In una sera fresca, dopo una lite. Mettendo fra di noi un muro di orgoglio e di passione, che invece di unirci ci ha catapultati in due vite differenti.
Lei per la sua strada, non so dove. Io a roteare senza meta per l’Europa.
Lei a farsi una famiglia sulle coste nuvolose della Galizia. Io a consumarmi dentro una relazione con la commessa del supermercato, madre di due figli, che penso di amare come e quanto amavo mio padre.
Non la rividi mai più, quella donna che pensavo fosse il mio presente ed il mio futuro, invece era diventata di colpo il mio passato, fino a quella domenica mattina, moltissimi anni dopo, d’estate, in fondo a la Estafeta.
Lei non mi aveva ancora visto. Non mi girai. Non cambiai strada. Lasciai che il destino me la facesse arrivare incontro.
Camminava spensierata con una bella ragazza a fianco. Sua figlia, probabilmente. Stessi capelli, stesso sguardo, stesso profumo di fondo.
“Ciao.”
Non sembrò sorpresa nel vedermi. Pareva che non ci fossimo mai persi di vista.
Aveva gli stessi occhi di sempre, il seno decisamente più abbondante e i fianchi più generosi. Ma lo sguardo era lo stesso. Come il profumo e il sorriso dei momenti migliori che avevamo trascorso assieme. Il sorriso delle scoperte delle vette più alte che mai avremmo pensato di raggiungere e che abbiamo conosciuto per la prima volta assieme.
“Lui è Rodrigo.”
“Quel Rodrigo?” Chiese la figlia.
Sapeva di me.
Parlammo qualche istante del nulla e ci salutammo.
La sera, a casa, spensi le luci e misi sul vecchio giradischi un vinile di Gato Barbieri. Un bicchiere di Ramòn Bilbao e la luce fioca della luna.
Ripensai a lei alla sua lontananza, che, alla fine, mi aveva permessi di incontrare Charo e una vita da solitario errante, dalla quale non mi sarei mai separato e, in fondo, credo sarebbe l’unica vita che potrei vivere.
E, per la prima volta, mi tornò in mente il Papu.
Alla fine, è stata la stessa storia.
Non l’abbiamo mai dimenticato, ma fino a quella sera, al buio, infilato fra le note di “yo le canto a la luna”, non ci avevo mai pensato.
Forse mi si era anche disegnato un leggero e dolce sorriso sulle labbra.
Forse anche il cuore si era intenerito.
E il ricordo del Papu mi era sceso dentro, assieme al delicato sapore del Ramòn Bilbao. Assieme alle tenere emozioni di un passato che non dimenticheremo mai.
Rodrigo Dìaz
By staff