Non so quanto crediate alla numerologia, all’interpretazione dei sogni o alla cabala. Sinceramente sono scettico, di carattere e di formazione, nel ricondurre inequivocabilmente tutte le dinamiche che riempiono la quotidianità. C’è sempre qualcosa di inspiegabile, di inequivocabilmente inconoscibile. Qualcosa che deve rimanere celato, qualcosa che il Caso trattiene tra le sue grinfie, non concedendoci di collocarlo nella sfera della razionalità.

È qualcosa di difficile da accettare: esistono delle coincidenze, degli scherzi del Destino. Ma quello che è passato sottotraccia in settimana, ingiustamente non celebrato al Gewiss e sui social, è un passaggio di consegne che di aleatorio o di mistico non ha nulla. Nella notte di sabato col Sassuolo, Marten de Roon ha raggiunto quota 272 presenze con la maglia nerazzurra.

272, numero all’apparenza anonimo. Se si parla di Atalanta non lo è. Non è solo crasi di due numeri, 27 e 72, che hanno rappresentato croci e delizie della storia della Dea. No: 272, proprio parlando di presenze, significa molto di più. Tra Serie A, Serie B, Coppa delle Coppe, Coppa Italia e Mitropa Cup, 272 sono le volte che un biondissimo scandinavo ci ha esaltato con indosso delle strisce nerazzurre.

Glenn Peter Strömberg. Non uno a caso, insomma. Quando, spulciando le statistiche in settimana, è saltato all’occhio il traguardo di Marten, tutto mi è parso perfettamente equilibrato. Marten, leader emotivo dell’Atalanta del Gasp, ha eguagliato il Capitano con la C maiuscola della nostra Dea in una delle prima volte che quella fascia, ironicamente, l’ha indossata fisicamente. Una fascia che sembra cucitagli su misura dal sarto più elegante, una fascia che sembra impressa con l’inchiostro dal tatuatore più artistico.

Un ideale passaggio di consegne, un testimone della staffetta dell’anima atalantina. Da Strömberg a De Roon, da un Capitano all’altro. Uno la reincarnazione dell’altro. Tutto come se fosse architettato dal Fato. Dove anche il più scettico vacilla.

 

Ombra