Persi nel sottosopra dei successi del calcio italiano in Europa ci eravamo quasi dimenticati cosa significasse assistere a una vera partita di Serie A. Un inferno di recriminazioni, tensione, ricerca esasperata della verticalità da qualsiasi posizione di campo e accorgimenti tattici pensati appositamente per sfruttare la più piccola delle debolezze avversarie. Una di quelle partite che ti fanno pensare che il pallone in fin dei conti sia un orpello non così necessario. Ce l’hanno ricordato Atalanta e Roma in un lunedì pre-festivo incastrato in maniera diabolica tra la sbornia dei successi europei della scorsa settimana e un turno che si preannuncia decisivo per la corsa alla prossima Champions League. Come a dirci che non si arriva alle copertine del giovedì o del venerdì senza prima essersi immersi fino alle ginocchia in queste partite fatte di palle lunghe e disperazione.
Di fronte due squadre che vivono momenti storici molto diversi, ma che avevano ognuna problemi contingenti molto seri. Da una parte l’Atalanta in mezzo a un processo di transizione che non si capisce più dove debba portare, con rotazioni che hanno sbiadito i confini tra titolari e riserve, e un’identità che dopo tanti anni di marchio DOCG della Serie A non è più così chiara. Dall’altra la Roma dall’insospettabile DNA europeo, che è uscita dal durissimo confronto con il Feyenoord con le ossa rotte, ovvero senza più quella che ormai si può a tutti gli effetti definire la sua spina dorsale, con Smalling a riprendersi da un infortunio, e Matic e Dybala in panchina a recuperare le poche energie rimaste per la fine di questa stagione. Entrambe le squadre all’ingresso in campo hanno fatto fatica a riconoscere sé stesse.
Eppure ci sono delle cose che non cambiano mai, soprattutto in Italia, e se volete mettete qui una citazione qualunque del Gattopardo. Una di queste è che non esistono in Serie A allenatori migliori di Gasperini nel leggere le partite e nel preparare accorgimenti ad hoc studiati su misura sull’avversario, e come detto non c’è cosa più italiana di questa. L’Atalanta non è più la squadra dalle marcature a uomo a tutto campo e dal pressing offensivo esasperato, ormai l’abbiamo capito, ma l’allenatore di Grugliasco non ha perso il gusto nell’immobilizzare gli avversari attraverso piccole mosse tattiche pensate per l’occasione, che sembrano i piccoli innumerevoli commi di quelle leggi incomprensibili che rendono la nostra routine burocratica un inferno kafkiano senza fine.
L’Atalanta è scesa in campo schierata con il suo tradizionale 3-4-2-1, che però non raffigura esattamente com’era disposta in campo. Gasperini voleva mantenersi la ciambella di salvataggio del due contro uno in difesa contro la punta avversaria Tammy Abraham, e questo comportava per una legge numerica ineludibile che davanti lasciasse uno dei tre centrali della Roma liberi di impostare, di solito uno tra Ibañez e Mancini. Per evitare di abbassare troppo il baricentro e finire mangiata dalla sua stessa passività, allora, l’Atalanta ha di fatto disposto il suo centrocampo a rombo affidando ai suoi due vertici esterni (Ederson e Koopmeiners) un doppio ruolo. Quando la palla veniva gestita centralmente dalla difesa della Roma i due centrocampisti di Gasperini si occupavano di schermare le linee di passaggio verso i trequartisti avversari piazzati nei corridoi intermedi (cioè Pellegrini e Solbakken). Quando la Roma iniziava a far circolare la palla orizzontalmente, da destra a sinistra o da sinistra a destra, Ederson e Koopmeiners si alzavano sui due braccetti giallorossi, con l’obiettivo di spingere l’avversario verso uno dei lati del campo.
A quel punto alla Roma non rimaneva che tornare indietro e riprovare la circolazione a U per arrivare dall’altro lato oppure cercare con una verticalizzazione diretta le corse in profondità di Tammy Abraham, ieri all’ennesima prestazione senza capo né coda della sua stagione. Proprio la leggerezza spalle alla porta di Abraham ha innescato il gol che ha aperto la partita, in una delle pochissime volte in cui è sceso fino in mediana con l’intenzione di aiutare la propria squadra a risalire il campo. L’attaccante inglese si è attirato dietro di sé l’ottimo Scalvini, che gli ha rubato palla come si farebbe con la metaforica caramella del metaforico bambino (cosa comunque più difficile di quanto non si dica, se avete qualche scrupolo morale), e ha regalato così un possesso pericoloso a Zapata, ieri di nuovo tirato a lucido nel suo valzer di sportellate con i difensori avversari.
La squadra di Mourinho poteva insomma far circolare facilmente il pallone in difesa ma le cose si complicavano non appena cercava di arrivare sulla trequarti avversaria, cosa che spiega il dato insolitamente alto del possesso palla anche in un primo tempo in cui non ha avuto occasioni da gol degne di nota (54,5%). Le uniche azioni potenzialmente pericolose sono nate da palle recuperate sulla trequarti a seguito di lanci lunghi avversari respinti dalla difesa, perché la verticalizzazione fin dalla mediana è un dogma difficilmente scalfibile per qualsiasi squadra di Serie A. Passare attraverso la pressione è un rischio che in Italia quasi nessuno vuole prendersi. La riaggressione delle seconde palle è ciò che più ha funzionato nella serata di ieri della Roma e questo, almeno da un punto di vista atletico, è una buona notizia per il finale di stagione giallorosso, soprattutto alla luce dei 120 minuti giocati giovedì. Da situazioni di questo tipo sono nate il tiro da fuori area di Pellegrini al 29esimo (deviato) innescato da un recupero alto di Bove, e la bella circolazione palla intorno al mezzo spazio di destra che al 32esimo ha portato Mancini al cross basso in area per Abraham (anticipato).
La partita ha avuto un suo primo spartiacque al 64esimo, quando Mourinho ha fatto ben quattro cambi con un solo slot e inaspettatamente ha messo mano alla struttura della sua squadra. Con gli ingressi di Dybala, El Shaarawy, Matic e Spinazzola la Roma è passata al 4-2-3-1. Un cambio intelligente che ha immediatamente permesso alla squadra giallorossa di avere uomini in più sulla trequarti alle spalle della prima pressione avversaria e quindi di abbassare il baricentro dell’Atalanta, che nel secondo tempo ha avuto un possesso palla di nemmeno il 28%. La Roma però ha continuato a fare fatica a passare per il centro e trovava sfogo sempre sugli esterni, dove adesso Spinazzola e Celik potevano salire fino alla trequarti e bombardare l’area di cross (ben 19 nel solo secondo tempo). Proprio uno di questi, complice l’incertezza nell’uscita alta di Sportiello, ha portato Dybala al tiro quasi a porta vuota al 68esimo. L’argentino, però, invece della porta ha centrato la faccia di Maehle.
Gasperini ci ha messo un po’ a capire come adattarsi al nuovo contesto tattico e, ancora una volta sorprendentemente, alla fine ha deciso di accettare il nuovo tre contro tre che si era formato in difesa, come se avesse nostalgia del suo recente passato. Invece di ricreare un nuovo due contro uno, magari passando a sua volta alla difesa a quattro, l’allenatore di Grugliasco ha esasperato la ricerca delle marcature a uomo con un cambio in difesa. Dieci minuti dopo il passaggio della Roma al 4-2-3-1, ha messo quindi in campo Palomino con l’istruzione di uscire aggressivo su Dybala tra le linee (anche troppo aggressivo, visto l’intervento pericolosissimo da dietro inspiegabilmente non sanzionato dall’arbitro con il rosso), e una manciata di minuti dopo ha spostato Scalvini sull’esterno destro togliendo Maehle dal campo per arginare gli intelligenti movimenti verso l’interno di Celik, che cercava di creare in questo modo superiorità alle spalle del centrocampo avversario.
Gasperini ci aveva visto lungo perché proprio da una ricezione di Celik vicino al cerchio di centrocampo all’83esimo è nato il gol che per un attimo ha riaperto la partita. Il terzino turco si è inventato una geniale verticalizzazione di prima d’esterno per Belotti, che ha risposto a questo primo accordo in maniera ancora più brillante, e cioè lasciando il pallone con il tacco al centro della trequarti per l’accorrente Pellegrini, che poi ha segnato con un tiro radente non banale.
Chissà se Gasperini si è maledetto in quel momento, per questo ritorno giovanilistico alle marcature a uomo a tutto campo, o se al contrario si sia sentito vivo, ricordandosi del momento in cui guardare l’Atalanta equivaleva a giocare a flipper sotto ketamina. In ogni caso la fortuna ha aiutato la sua audacia solo una manciata di secondi dopo, facendo scivolare la palla tra le mani di Rui Patricio come una saponetta e chiudendo definitivamente la partita.
Difficile però che il risultato finale ci insegni qualcosa, a poco più di tre giorni dall’inizio di una nuova giornata di questa Serie A a tappe forzate. È stata una partita in cui le presenze sono pesate tanto quanto le assenze. La Roma continua a dimostrare di non poter fare a meno dei suoi titolari e alla fine, in maniera diabolica, ha pagato l’unico che proprio non poteva mettere in campo. Nei circa 130 minuti in cui ha giocato senza Smalling la squadra di Mourinho ha già subito quattro gol, di cui uno – ieri – per la pena del contrappasso su calcio d’angolo. I tifosi giallorossi adesso vedono le proprie giornate appese anche alle precarie condizioni fisiche di Dybala, per cui questo finale di stagione assume sempre più le tinte di una vera e propria passione verso il sacrificio carnale per la propria squadra.
Gasperini dal canto suo può esultare per aver ritrovato un Duvan Zapata finalmente all’altezza delle sue stagioni passate, ma arrivati alla fine d’aprile cosa significa davvero per l’Atalanta? Ieri in panchina è rimasto Boga, mai veramente digerito dal tecnico piemontese, mentre in tribuna a guardare la partita c’era Ademola Lookman, che nella prima parte di stagione sembrava aver catapultato la squadra bergamasca in una nuova eccitante dimensione. L’Atalanta sembra rimasta incastrata tra il passato e il futuro – in un presente cioè che non assomiglia a nessuna delle due cose. In campo si vedono sprazzi di uno (Zapata per l’appunto) e dell’altro (Ederson, ieri in una delle sue migliori prestazioni stagionali) senza che nessuno dei due riesca davvero a prendere il sopravvento. Per adesso bastano i tre punti che teoricamente la rimettono in corsa per un posto in Champions League, ma del domani non c’è certezza.