24/01/2020 | 16.35
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Il Giorno dell'Infamia, 30 anni oggi

24 gennaio 1990, una data destinata a rimanere negli annali del calcio italiano, esempio lampante di antisportivita' ed arroganza.


Parlare di quell'Atalanta - Milan ad uno di noi è tempo sprecato, sappiamo tutti, e a memoria, cosa successe.


Perche' se ne parli ancora oggi è presto detto: il Milan di allora era un'esempio di organizzazione, gioco e potenza politica e, quel che piu' conta, la sua dirigenza voleva apparire esempio di sportivita' e correttezza.


La mancata restituzione della palla e il rigore che ne segui' sancirono la nostra eliminazione e il passaggio del turno ad opera dei rossoneri che arrivarono sino alla finale per perderla contro la Juventus.


Fu giorno di comportamenti estremi (anche nostri), di eccessi e di aneddoti. Per gentile concessione dell'autore riportiamo un pezzo comparso su Facebook dello scrittore Gino Cervi (no, non è quello che ha fatto Peppone e il Commissario Maigret...) e un breve video del 2008 con il povero Mondo che spiega quanto successe in un simposio nel quale eravamo presenti, a Lodi


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[PECCATI CAPITALI E PECCATI CAPITANI]


Roberto Pelucchi mi ricorda che oggi sono 30 passati dall'invereconda messa in scena del Milan di Berlusconi, Sacchi e Baresi ai danni dell'Atalanta in una partita di Coppa Italia del 24 gennaio 1990.


Era successo questo. A tre minuti dal novantesimo l'Atalanta sta vincendo per 1-0. Daniele Massaro ha il pallone in mano e si appresta a effettuare una rimessa laterale nella metacampo atalantina. Poco prima Stromberg, il capitano dei bergamaschi, aveva cavallerescamente calciato fuori il pallone per fermare il gioco: era infatti rimasto a terra infortunato Borgonovo, attaccante del Milan. Dopo l'intervento di medico e massaggiatore, la partita riprende. Massaro però invece di restituire la palla, la passa a Rijkaard che fa un cross in area avversaria. Borgonovo riceve e, mentre sta per battere a rete, viene atterrato da uno stranito difensore atalantino. L'arbitro fischia il rigore.


Lo stadio ammutolisce. Se Baresi, che ha posizionato il pallone sul dischetto, segna il Milan pareggia e basta un pareggio per qualificarsi per la semifinale secondo le regole del gironcino a tre (la terza squadra era il Messina e aveva perso col Milan e pareggiato con l'Atalanta).

Massaro, Rijkaard e il Borgonovo redivivo (lo scrivo senza ironia, pensando alla triste sorte che lo colpirà qualche anno più tardi) l'avevano già combinata bella grossa, ma Baresi, il capitano Baresi, adesso aveva tutto il tempo e la comodità per mettere le cose al loro posto, secondo la logica dello sport.


Tutti pensarono: "La tirerà fuori". Invece rincorsa, tiro, gol. E gigantesca figura di merda degli Invincibili. Siccome poi San Giovanni non fa inganni, mesi dopo finale di Coppa Italia la perdemmo per mano della più scarsa Juventus degli ultimi, appunto, trent'anni, per giunta in casa, a San Siro, beffardo ma, sub specie aeternitatis, giusto gol di Galia. Ma questo non bastò a cancellare appunto quella gigantesca figura di merda e la sensazione che quella cosa lì, il calcio ai tempi del Berlusca, ormai, con lo sport avesse ormai poco a che fare.


Poco meno di trent'anni dopo, siccome le colpe dei padri le scontano i figli (anche quelli illegittimi), la domenica prima del Natale 2019 l'Atalanta ci ha suonato a noi milanisti decaduti un memorabile De Profundis (un Dea Profundis).


Qui sotto, in un incontro di parecchi anni fa (quando ancora non portavo "le mutande della faccia", ovvero la barba), e che si teneva a Lodi all'interno di un festival intitolato Peccati capitali, ho chiesto a Emiliano Mondonico, l'allenatore atalantino di quella partita, di dirci cosa successe dopo il fischio finale dell'arbitro.

Il racconto è tutto da ascoltare.


 


By staff
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