24/06/2021 | 15.53
21

Gritti si racconta e ci racconta: sorprendente intevista al vice Gasp



 

«L’ospite di serata è…». Con voce stentorea e con la compitezza che gli deriva dal suo ruolo di presidente del Panathlon Bergamo, Gianluigi Stanga, ciclista e manager di lunghissimo corso delle due ruote, tradisce l’emozione tipica delle assegnazioni degli Oscar. Del resto la proclamazione «The winner is», potrebbe attagliarsi anche a Tullio Gritti, perché nell’Atalanta dell’iperspazio è lui che siede come secondo accanto al comandante Gasperini. «Sono 15 anni che ci sopportiamo», attacca Gritti davanti ai panathleti orobici, a cui non pare vero di ritrovarsi in presenza dopo mesi di pandemia e festeggiare i 70 anni del sodalizio che ha nel fair play il suo mantra.
La coppia perfetta

Gritti parla con lo stesso tono che usano le mogli con i mariti, e viceversa. Fingono sopportazione reciproca, ma in realtà si vogliono un gran bene e non concepirebbero di vivere uno lontano dall’altra. «Quando siamo in giro, tutti fermano lui mentre a me va meglio, non mi conosce nessuno», scherza. Gasperini e Gritti come il bianco e nero, Parigi e Londra, Yin e Yang. Non potrebbero essere più diversi, quasi opposti che se non si attraggono, si capiscono perfettamente. «Io sono il suo contrario», ammette con una mitezza che è direttamente proporzionale all’umiltà con cui ha calcato i campi del calcio professionistico, dalla D alla Serie A (con Verona, Torino e Brescia). Brevilineo e rapinoso in area, aveva iniziato la carriera da ragazzo come portiere dell’Inter. «Un giorno un avversario a cui avevo tolto il pallone a momenti mi porta via la milza. Quando sono ritornato tutto intero sui campi da gioco, sono stato chiaro, in porta ci sarebbe andato qualcun alto. Io non avrei mai più indossato dei guantoni».




L’incontro al Genoa

Insomma, Gritti capisce che il pallone è più facile e divertente metterlo in fondo al sacco che andarlo a togliere e così, in versione bomber, si toglie parecchie soddisfazioni prima di arrivare a masticare il duro legno della panca. Eterno allenatore in seconda («esperienze che mi misero in contatto con Giovanni Vavassori, una grandissima persona») prima alla Triestina e poi al Torino, finché anche per lui arriva l’era Gasp: «Il Genoa di quel primo anno aveva una rosa molto ampia, e quella fu la mia fortuna. Allenavo quelle che erano le seconde scelte del mister, giocatori che poi sono usciti dai radar scremati dall’azione di Gasperini, che quando c’è da tagliare sa bene cosa fare. Quando la rosa fu a posto, fu una sua scelta tenermi come suo allenatore in seconda». Ruolo non facile, ma tutto sta nell’intendersi e i due, in anni e anni, hanno affinato l’intesa, come più volte ha ribadito Gasp per il quale Gritti usa parole sì al miele — «è un genio, come lui ce ne sono pochi, anzi nessuno, ha il suo carattere e la sua determinazione — ma aggiungendo che «deve avere qualcosa per caricarsi e come tutti i geni trova dei finti nemici. Comunque, io sono seduto alle sue spalle e mi diverto pure, mentre lui è in prima linea e vede tante cose, ingiustizie comprese».





«La rivoluzione di Gasperini»

La sua è un’ammirazione composta, scaturita da una frequentazione che ha raffinato le reciproche sintonie interpersonali: «È facile stare accanto al mister, so che cosa dice, so come e se si arrabbia. A quel punto entro in campo io, i rapporti con gli altri, anche con qualche membro della società, li tengo io». La cartina di tornasole delle fumanterie caratteriali di Gasperini sono le presenze di Gritti in panchina. «Ci sono andato 13 o 14 volte, ho perso una sola partita, 4 le ho pareggiate e tutte le altre vinte». Una sorta di portafortuna per i colori nerazzurri, anche se, aggiunge: «Lo stipendio è sempre quello e l’ho anche fatto presente al presidente Percassi». Il patron fa capolino nel racconto di Gritti, riavvolgendo il nastro alla vigilia del momento più difficile, quando dopo le prime partite e altrettante sconfitte, in campo andava la sfida contro il Napoli. L’ultima spiaggia: «Ci siamo detti io e il mister, se dobbiamo imboccare l’autostrada per tornare a casa, almeno lo facciamo con le nostre idee. Ma il presidente già allora ci diede la massima fiducia. La rivoluzione più grossa compiuta da Gasperini è stato il cambio di mentalità perché lui non è il tipo di mister che punta a salvarsi alla 37esima giornata di campionato».





«Le sconfitte in Coppa Italia? Possono bastare»

E pazienza se alla vigilia di quel match che avrebbe dato il via alla Storia vittoriosa, Percassi non chiuse occhio: «Gli succede anche adesso. Le notti insonni non sono finite, ogni tanto ritornano». Quelle che Gritti si augura davvero siano finite, sono le sconfitte delle finali di Coppa Italia: «Tre possono bastare», mentre dà due pennellate della sua vita in panchina: «Sto tranquillo, ma quando vedo il quarto uomo che si avvicina al mister salto su. Quanto ai giocatori, la cosa più difficile è farsi capire, ma i nostri sono ragazzi intelligenti anche con la lingua. Ruslan, ad esempio, è andato a scuola di italiano e nel giro di un mese e mezzo riusciva a capire a farsi capire, fermo restando che i concetti nel calcio, e quindi anche le frasi che servono per spiegarli, non sono tantissimi».





La malattia nascosta sotto il cappellino

Si capisce che l’understatement di Gritti non è di maniera, quando dopo l’allenatore ombra esce l’uomo. Succede dopo la partita di ritorno contro il Lione. Un linfonodo ingrossato rivela la sua natura tutt’altro che benevola, ma al Papa Giovanni XXIII, Gritti trova una squadra di medici abituati a vincere contro la malattia. Anche quando questa si ripresenta, con altre caratteristiche, al cuore. Gritti non molla. Supera tutto e da tre anni, a fronte di controlli ogni sei mesi, sta benissimo. «Nessuno si era accorto di nulla, perché era inverno e portavo il cappellino. Sotto ero diventato pelato, ma a me non interessava perdere i capelli, che tanto poi sono rincresciuti. Mi spiaceva perdere gli allenamenti».




Fonte corrieredellasera bergamo

 
By sigo
21 commenti