Il frastuono del silenzio
Il pezzo sotto e' stato preso dall'account facebook di Andrea Mastrovito, artista poliedrico conosciutissimo in ambito atalantino (una sua opera per tutte il Cristo in croce col volto del Bocia all'ospedale Giovanni XXIII) anche per aver espresso in molte sue opere la grande passione che ci accomuna.
Con le parole ha descritto, come meglio non si sarebbe potuto, il sentimento di tantissimi presenti alla festa di venerdi' sera e cioe' la sensazione che al piu' grande ritrovo atalantino di sempre, per festeggiare la nostra piu' grande vittoria di sempre, mancasse soprattutto lui, quello che ha soffiato sulla nostra passione e alimentato per tanti anni il nostro credo nerazzurro quando la squadra era quella che era e per questo ci ha rimesso, oltre che una buona parte dei suoi interessi e della sua vita personale, anche la sua liberta. Un grande abbraccio da parte di tutti al Bocia, Claudio Galimberti
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Il frastuono del silenzio
Il 2 giugno 1963 la Dea vinse il suo primo trofeo, la Coppa Italia, contro il Toro a San Siro, ma Bergamo restò silente, nessuna festa in quanto la città attendeva, di lì a poche ore, la notizia della morte di Papa Giovanni XXIII, il papa bergamasco.
Silenzio.
Meno di un anno dopo, è il marzo 1964, Simon & Garfunkel registrano il loro brano più celebre, The Sound of Silence: nel testo si narra di una moltitudine di diecimila persone (“ten thousand people, maybe more”) ormai avvezza a vivere nel silenzio.
Un silenzio che nella nostra bacheca dura per sessant’anni, sino a quando, entrati all’Aviva Stadium di Dublino, poco prima del match - ormai siamo tutti dentro e siamo davvero diecimila or maybe more - gli altoparlanti improvvisamente fanno partire The Sound of Silence.
E una rilettura automatica prende forma nelle nostre teste forgiate da decenni di curva. Le parole del duo folk americano si trasformano in inno:
SIAMO SEMPRE INSIEME A TE
NON TI LASCEREMO MAI
DEVI SEMPRE SOLO VINCERE
DEVI SEMPRE SOLO VINCERE
DAI DEA, NON MOLLARE PER GLI ULTRÀ,
PER GLI ULTRÀ!
DAI VINCI…PER NOI!
E la Dea vince davvero: sul 3-0 per davvero quel silenzio si rompe e ci ritroviamo tutti a urlare, tra seggiolini che volano, chi in ginocchio sguardo al cielo inneggiando al miracolo (io), chi bestemmiando, chi saltando, chi spaccando tutto, chi salutando chi non c’è più.
E, nel momento clou, quando mancano pochi minuti alla fine, ancora silenzio: sì, ci guardiamo tutti l’uno con l’altro, increduli e soprattutto senza sapere come si fa ad esultare per una vittoria. Sotto il cielo d'Irlanda, il settore nerazzurro diventa una Macondo al contrario: questa cosa ha un nome, “vittoria”, ma nessuno sa cosa sia, nessuno la conosce! È la prima volta per tutti noi e nell’ incredulità di tutta Bergamo questo silenzio pur dolcissimo, incredulo, festoso, pur inframezzato da grida di gioia e sorrisi a bocca spalancata, permane sino a ieri sera quando, una città che NON ha mai saputo godersela e che non ha mai festeggiato granché, si riversa in strada, per le piazze, si ritrova tutta in 100.000 anime - dieci volte diecimila - che si stringono attorno a quegli eroi, i nostri Argonauti - il meraviglioso Gasp su tutti! - che sul carro della vittoria attraversano il centro baciando idealmente ognuno di noi.
Non avrei mai pensato di saper festeggiare, l’animo bergamasco è poco incline alla festa ed al “buon tempo”. Eppure quelle 5 ore per strada sono state preparate per anni, per un ventennio buono, da quel fenomeno straordinario che è stata la Curva Nord Atalanta.
A chi non è venuta in mente la Festa della Dea ieri sera, con Claudio che aizzava 15.000 persone per volta?
E ieri si sono riviste torce, bandiere, fumogeni, cori, un baccano inverosimile, un frastuono clamoroso, si é annusata e assaporata la libertà, tutte cose che la repressione ha tentato di distruggere in questi anni.
Ieri tutta Bergamo ha festeggiato la sua immensa Dea con un linguaggio ultras, con i modi ultras, con una passione ultras, con quanto appreso in tanti anni da una persona che ieri era forzatamente assente, causa immotivata persecuzione.
E allora questa Coppa, che è di tutti noi che amiamo la Dea, diciamolo, è, prima di tutto, di Claudio.
Perché, senza di lui, è bene ricordarlo, avremmo fatto ancora tutti silenzio.
Andrea Mastrovito
Con le parole ha descritto, come meglio non si sarebbe potuto, il sentimento di tantissimi presenti alla festa di venerdi' sera e cioe' la sensazione che al piu' grande ritrovo atalantino di sempre, per festeggiare la nostra piu' grande vittoria di sempre, mancasse soprattutto lui, quello che ha soffiato sulla nostra passione e alimentato per tanti anni il nostro credo nerazzurro quando la squadra era quella che era e per questo ci ha rimesso, oltre che una buona parte dei suoi interessi e della sua vita personale, anche la sua liberta. Un grande abbraccio da parte di tutti al Bocia, Claudio Galimberti
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Il frastuono del silenzio
Il 2 giugno 1963 la Dea vinse il suo primo trofeo, la Coppa Italia, contro il Toro a San Siro, ma Bergamo restò silente, nessuna festa in quanto la città attendeva, di lì a poche ore, la notizia della morte di Papa Giovanni XXIII, il papa bergamasco.
Silenzio.
Meno di un anno dopo, è il marzo 1964, Simon & Garfunkel registrano il loro brano più celebre, The Sound of Silence: nel testo si narra di una moltitudine di diecimila persone (“ten thousand people, maybe more”) ormai avvezza a vivere nel silenzio.
Un silenzio che nella nostra bacheca dura per sessant’anni, sino a quando, entrati all’Aviva Stadium di Dublino, poco prima del match - ormai siamo tutti dentro e siamo davvero diecimila or maybe more - gli altoparlanti improvvisamente fanno partire The Sound of Silence.
E una rilettura automatica prende forma nelle nostre teste forgiate da decenni di curva. Le parole del duo folk americano si trasformano in inno:
SIAMO SEMPRE INSIEME A TE
NON TI LASCEREMO MAI
DEVI SEMPRE SOLO VINCERE
DEVI SEMPRE SOLO VINCERE
DAI DEA, NON MOLLARE PER GLI ULTRÀ,
PER GLI ULTRÀ!
DAI VINCI…PER NOI!
E la Dea vince davvero: sul 3-0 per davvero quel silenzio si rompe e ci ritroviamo tutti a urlare, tra seggiolini che volano, chi in ginocchio sguardo al cielo inneggiando al miracolo (io), chi bestemmiando, chi saltando, chi spaccando tutto, chi salutando chi non c’è più.
E, nel momento clou, quando mancano pochi minuti alla fine, ancora silenzio: sì, ci guardiamo tutti l’uno con l’altro, increduli e soprattutto senza sapere come si fa ad esultare per una vittoria. Sotto il cielo d'Irlanda, il settore nerazzurro diventa una Macondo al contrario: questa cosa ha un nome, “vittoria”, ma nessuno sa cosa sia, nessuno la conosce! È la prima volta per tutti noi e nell’ incredulità di tutta Bergamo questo silenzio pur dolcissimo, incredulo, festoso, pur inframezzato da grida di gioia e sorrisi a bocca spalancata, permane sino a ieri sera quando, una città che NON ha mai saputo godersela e che non ha mai festeggiato granché, si riversa in strada, per le piazze, si ritrova tutta in 100.000 anime - dieci volte diecimila - che si stringono attorno a quegli eroi, i nostri Argonauti - il meraviglioso Gasp su tutti! - che sul carro della vittoria attraversano il centro baciando idealmente ognuno di noi.
Non avrei mai pensato di saper festeggiare, l’animo bergamasco è poco incline alla festa ed al “buon tempo”. Eppure quelle 5 ore per strada sono state preparate per anni, per un ventennio buono, da quel fenomeno straordinario che è stata la Curva Nord Atalanta.
A chi non è venuta in mente la Festa della Dea ieri sera, con Claudio che aizzava 15.000 persone per volta?
E ieri si sono riviste torce, bandiere, fumogeni, cori, un baccano inverosimile, un frastuono clamoroso, si é annusata e assaporata la libertà, tutte cose che la repressione ha tentato di distruggere in questi anni.
Ieri tutta Bergamo ha festeggiato la sua immensa Dea con un linguaggio ultras, con i modi ultras, con una passione ultras, con quanto appreso in tanti anni da una persona che ieri era forzatamente assente, causa immotivata persecuzione.
E allora questa Coppa, che è di tutti noi che amiamo la Dea, diciamolo, è, prima di tutto, di Claudio.
Perché, senza di lui, è bene ricordarlo, avremmo fatto ancora tutti silenzio.
Andrea Mastrovito
By staff