05/07/2017 | 14.30
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Ilicic : un certain regard

Uno sguardo particolare al neo acquisto atalantino. Da chi? da chi si occupa di solito di calcio balcanico e cioe' il blog "Il Calcio balcanico".

Ecco cosa scriveva di Ilicic giusto un anno fa:

 

“DATEMI DUE SPALLE E SOLLEVERÒ IL MONDO”

La rubrica “I Balcani e l’Italia” è dedicata a tutti quei calciatori partiti dalla penisola balcanica per cercar fortune nello Stivale. Nell’appuntamento di oggi Josip Iličič.

Ho avuto modo di osservare la prima settimana di Josip Iličič in ritiro con la Fiorentina. E lo sloveno è quanto di più buono abbiano a disposizione i viola dal punto di vista squisitamente tecnico. Forse se la gioca con quell’altro essere baciato dal Dio dei Piedi Sinistri che risponde al nome di Giuseppe Rossi.  Iličič è davvero il ritratto di ciò che raccontano, forse il simbolo più fulgido del calcio old style, è quel giocatore che a volte ti dà l’impressione di star trotterellando, che riesce a farsi perdonare quindici minuti nei quali non tocca il pallone con due giocate consecutive in grado di far spellare le mani anche ad eventuali tifosi avversari. È un calciatore che vive fuori tempo massimo, un anacronismo in scarpini tacchettati.

Josip Ilicic Slovenia
Qui con la Nazionale slovena. Non ha il 10.

Tempo fa mi capitò di intervistare il direttore sportivo del Venezia, Giorgio Perinetti. Perinetti ebbe Iličič con sé quando era a Palermo, ed è stato testimone delle debolezze caratteriali che attanagliano lo sloveno. È stato anche l’artefice della sua cessione alla Fiorentina nell’estate del 2013. Il direttore mi raccontava che «Iličič non è un giocatore che ha particolare continuità: ha un aspetto umano e caratteriale molto debole. Non ha forza caratteriale, ed è molto umorale, il che lo rende anche particolarmente incostante: quando le cose vanno bene si esalta oltre ogni limite, quando le cose vanno male tende ad incupirsi e ad intristirsi, e questo aspetto va a inficiare sulle sue prestazioni, oltre che sul suo lavoro quotidiano». Ma nel suo discorrere, percepivo quella sensazione di star ascoltando un padre che racconta quasi malinconicamente di quanto suo figlio sia una sorta di genio, ma non abbia la benché minima volontà di applicarsi. Anche il presidente Zamparini lo amava alla follia, e non lo ha mai nascosto. L’ambientamento di Iličič alla Fiorentina è stato, come suggeriva il copione, difficile: arrivato con un fardello da 9 milioni di euro più bonus sulle sue spalle, lo sloveno era chiamato a rispondere da subito, come non gli era mai capitato prima d’ora in carriera. A gennaio 2015 sembrava pronto all’addio, ma una seconda parte da urlo lo riassestò negli indici di gradimento. Il cambio di allenatore da Montella a Sousa poi, fu probabilmente salvifico per lui: l’allenatore portoghese infatti, sin dal momento del suo insediamento in viola, ha dimostrato pubblicamente di voler puntare forte le sue fiches su Iličič. Lo sloveno ha ripagato con una prima parte di stagione mai vista, per poi perdersi però nella seconda parte, tra panchine plurime e prestazioni anonime. Ora le solite voci di mercato…

Josip Ilicic e Vicenzo Montella
Montella che forse ride per non piangere.

Anche nel ritiro estivo di Moena, la percezione di un Iličič discontinuo è stata prevalente. Nei primi giorni addirittura si faceva fatica a ricordare che ci fosse anche lui con il resto della squadra. Letteralmente invisibile, mentre Pepito Rossi si prendeva il centro della scena, e Zárate i complimenti per le doti da estroso funambolo. Persino i giovani emergenti – si legga alle voci dei due figli d’arte Chiesa e Hagi – rubavano maggiormente la scena rispetto a Iličič. Ma lo sloveno, come spesso accade, ha lasciato parlare il suo caldissimo mancino, iniziando a farsi vedere con un gol di tacco in allenamento difficile anche solo da pensare, su un cross non irresistibile di Bagadur. Pioggia di applausi. E da lì, come a voler confermare la teoria dei livelli umorali di Iličič, è stato un crescendo continuo: nell’amichevole-goleada contro la rappresentativa dilettantistica del Trentino Team lo sloveno, entrato nei cambi di massa dell’intervallo, ha letteralmente illuminato il prato del Cesare Benatti, pur esprimendo in maniera chiara solo una parte del suo potenziale, costretto dalle circostanze a giocare sotto ritmo. Ma ha realizzato un gol di pallonetto dal limite dell’area, che solo i grandi giocatori possono eseguire, oltre che concepire. È questo Iličič: genio e discontinuità, con indosso la maglia numero 72. E personalmente riterrei opportuno che la Fiorentina consegnasse a lui la 10, senza nulla togliere a Bernardeschi, attuale possessore. I numeri di maglia, nelle squadre di club ancora di più, hanno un significato preciso, che va oltre la semplice numerazione: Bernardeschi è un bel talento di prospettiva, e già un grande faticatore, uno di sacrificio, oltre che di spunto, ma è tutto fuorché un dieci, o almeno quel dieci che ci racconta la storiografia del calcio. Quel dieci, il trequartista, è Iličič, senza se e senza ma: Bernardeschi probabilmente diventerà uno dei migliori esterni d’attacco – o anche di centrocampo – dell’Italia del futuro, ma non è un trequartista. Di più, con l’addio di Vázquez, volato in direzione Siviglia, Iličič è il Trequartista, con la T maiuscola, della Serie A. E non ha la dieci… rimediare. Un pensiero di fine pezzo: date due spalle più larghe a Iličič per poterci caricare sopra tutto il peso della Fiorentina. È una tristezza non aver mai potuto vederlo da trascinatore, da leader del gruppo… sarebbe stato forse uno dei giocatori più forti che Firenze – ma non solo lei – avesse visto nella sua storia. A Sousa è richiesto un miracolo.

By staff
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