La Mala Educaciòn
Un bell'articolo preso dal sito ebookextra.it su un problema che affligge il nostro sito come milioni di altri : la maleducazione in Rete. Cos'è, perche' si manifesta, cosa fare per cercare di arginarla
In America ne parlano da tempo : commenti violenti e maleducati anche negli argomenti piu' innocenti, proliferare dei cosiddetti troll che infestano la Rete con insulti e volgarità fuori da ogni umana comprensibilità, aumento nella vita reale della disillusione e della povertà percepita che danno vita a una rabbia crescente che trova sfogo nei mezzi più a portata di mano e a maggiore diffusione, come Internet appunto.
La ferocia diffusa e implacabile di internet è un problema comune a tutto il mondo come dimostra uno studio dell’Università di Pechino che ha analizzato più di 70 milioni di tweet per capire come l’emotività dei commenti influenzi l’interazione e come sia la rabbia il sentimento più coinvolgente e diffuso, quello che, rispetto alle altre emozioni basiche come gioia, tristezza e disgusto, ha maggior peso nel sommuovere i flussi di informazione e la partecipazione popolare. Su internet, la rabbia non è dunque solo un canale di sfogo ma un lubrificante di comunicazione.
D’altra parte, se la cultura digitale ci ha insegnato qualcosa, è che internet amplifica tutto: dalla quantità di informazioni reperibili all’intensità delle umane reazioni. Voyeurismo ed esibizionismo, sadismo e masochismo non sono certo invenzioni dell’era dei social network, ma il mondo parallelo di internet e la possibilità di guardare non visti e di insultare nascosti hanno regalato libero sfogo alle nostre tensioni e perversioni. L’anonimato della folla ci fa sentire più protetti e meno inibiti, oltre a scatenare un effetto a catena che vuole che solo chi urla più forte riesca a farsi davvero sentire. Non è un caso che la questione degli insulti sui forum negli ultimi tempi ritorni sistematicamente in primo piano. Che sia per la qualità delle offese (omofobe, razziste, sessiste) o per la notorietà degli offesi, lanciare messaggi provocatori e sprezzanti è ormai uno sport da competizione intercontinentale e sono sempre più numerose le voci che reclamano una seria regolamentazione. Quasi tutte le leggi promulgate di recente sui reati di molestia, stalking o intimidazione contengono clausole che riguardano esplicitamente i mezzi di comunicazione elettronici.
Ma le leggi da sole non sono bastate a scoraggiare i provocatori seriali della rete, così come a poco sono servite le forme di controllo sull’identità degli utenti introdotte dalla maggior parte dei fornitori di contenuti negli ultimi anni come Facebook e Yahoo. Perfino la Casa Bianca sta lavorando a un sistema di controllo dell’identità al fine di creare un’infrastruttura che permetta ai siti web di verificare le identità degli utenti senza forzarli a divulgare informazioni personali. “Se i troll avessero tutti un vero pseudonimo permanente, come un numero di previdenza sociale – sostiene Bob Blakley, ricercatore che presiede l’NSTIC - smetterebbero di comportarsi da troll”.
C’è però un’altra storia che ci racconta la ricerca dell’Università cinese e il fatto che la rabbia sia un carburante più dinamico per la rete di qualunque altra emozione. L’insulto, se ben direzionato e regolamentato, ha un forte appeal comunicativo e, proprio come l’incredibile Hulk, la rabbia degli utenti diviene un modo attraverso cui un content provider può far mostra dei propri muscoli. Da questo punto di vista, pare di risentire un vecchio discorso. Quando cominciarono a sorgere i primi blog, si diceva che la rete e la democratizzazione dei contenuti e delle opinioni avrebbe garantito un accesso più diretto e una maggiore circolazione della verità. Adesso sappiamo bene che non è così, e che la pubblica opinione tende più spesso alla provocazione fine a se stessa piuttosto che alla legittima opinione. E quando anche la maggioranza degli utenti sembra contribuire pacificamente e con entusiasmo alla causa, può bastare una scheggia impazzita a far saltare anche il più saldo degli equilibri. Nick Bilton, autore del pezzo dedicato al nuovo Kinja sul “New York Times”, dice a questo proposito che i commentatori sono spesso come “lo zio ubriaco che nessuno vuole invitare a casa per Natale, ma che si presenta ugualmente”. D’altronde, è pur vero che in rete il situazionismo va più di moda della pacificazione e del consenso. E che a mettere un ‘mi piace’ a un articolo o a ritwittare un post siamo tutti bravi, ma argomentare una critica in modo serio, comprensibile e costruttivo mettendo assieme rabbia e ragione è un esercizio che forse dovremmo cominciare a imparare da bambini.