13/11/2019 | 13.15
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La Savoldata - L'errore

Savoldi Gianluca

 

L’errore che fanno molte società, soprattuto in Italia, è quello di farsi condizionare dall’umore dei propri tifosi e peggio ancora, da una critica che nella maggior parte dei casi è totalmente impreparata.
Tutti hanno tutto il diritto di esprimere il proprio gradimento o meno sui risultati del campo (non per forza intesi come classifica) ma di fatto non hanno la minima idea di quello che succede dietro le quinte.
Mentre la gente si fa seghe mentali sul modulo, sulla formazione, l’allenatore ha problemi ben più seri da risolvere. Per questo motivo la maestria del coach, oggi e a certi livelli, è la gestione dei rapporti interni ed esterni. Il resto è una passeggiata.
Le grandi società sono quelle che vanno avanti per la propria strada, dando la giusta importanza alle critiche, troppo spesso immotivate perché prive di cognizione di causa. Tra queste società, sempre più rare in questo mondo, c’è sicuramente l’Atalanta.
Quello che mi propongo nel mio piccolo è: in generale di contribuire ad alzare il livello di cultura calcistica, nello specifico della mia amata Dea di aiutare a preservare il clima pressoché idilliaco creatosi negli ultimi anni.
Se da un lato mi dispiace (ma fino ad un certo punto) per questa deriva del calcio italiano, che ho vissuto da giocatore nel momento storico più importante, dall’altro sono determinato a “scendere in campo” per la squadra della mia città. Non mi importa se per il bene della mia squadra del cuore corro il rischio di diventare impopolare ed antipatico, oppure devo andare contro l’opinione comune, rinunciando ai facili consensi.
Per questo sono felice quando dei tifosi mi scrivono per un confronto. Anche se mi costa molto tempo, soprattutto quando, per motivare concetti per me banali, devo cominciare ogni volta dall’abc.

Nemmeno una settimana fa "avevo il problema” di spiegare come mai Malinosvkyi giocasse poco, un vero e proprio “tormentone”.
Oggi c’è già chi si lamenta per l'acquisto dell’ucraino, per di più dando per scontato che il prestito di Kulusevski al Parma fosse la diretta conseguenza dell’operazione. Pazzesco.
Sfido chiunque a trovare traccia di simili ragionamenti fatti a priori, quest’estate, subito dopo la partenza per Parma dell’ex Primavera. Sono pronto a scommettere che gli attuali nostalgici del numero 44 del Parma si sono accorti dell’operazione solo il 30 settembre scorso e precisamente al 2’ minuto di Parma-Torino, primo gol e vera e propria consacrazione del giovane atalantino nel calcio dei grandi.
L’impatto con la serie A da parte di Kulusevski (nello scorso campionato) non era stato dei migliori, “diciamocelo” (cit.), e stiamo parlando di sei mesi fa.
Non ricordo di aver mai visto in tribuna questi esperti di mercato, questi scopritori di talenti, ogni volta che ho commentato le partite della Primavera per Sportitalia. Non li ho visti a Azzano San Paolo due anni fa (1/10/17, Atalanta-Inter 2-0) quando sotto gli occhi del sottoscritto Kulusevski entrò con il numero 16 al posto di Elia infortunato, sfiorando per 3 volte il gol. Probabilmente mentre il sottoscritto durante la telecronaca indicava quel “mancino” come un talento da seguire, gli esperti di cui sopra conoscevano a malapena i nomi di Melegoni e Barrow (autori dei gol) e nemmeno sapevano chi fossero Zaniolo, Colpani e Carnesecchi.

Niente di più facile che i “lamentoni della settimana" siano gli stessi che dopo l’Udinese parlavano di scudetto, ma oggi, in depressione totale, cercano di contagiare i loro malumori. Questa gente è la parte marcia del calcio.

Dejan Kulusevsky non è il primo giocatore della Dea che va in prestito a giocare. Prima di lui (nel passato recente) altri figli di Zingonia hanno fatto lo stesso percorso: Caldara, Kessie, Conti, Gagliardini. L’Inter ha fatto la stessa cosa con Bastoni (proprio al Parma) prima di inserirlo in una rosa che lotta per le prime posizione. La Juve, il club più importante d’Italia, ci ha dato in prestito Spinazzola. Se inserire in prima squadra un giovane della Primavera fosse semplice non avremmo fatto affari con i giovani degli altri (Cristante, Petagna, Mancini) che non avevano sbocco nei rispettivi club (Milan e Fiorentina) che se ne sono privati, magari anche a malincuore.


Dejan oggi è probabilmente lo stesso giocatore di pochi mesi fa, sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista fisico. Cosa è cambiato in lui? La consapevolezza nei propri mezzi, che ha conquistato mettendosi in luce in una squadra dove il livello tecnico è certamente inferiore alla nostra Atalanta. Avrebbe fatto lo stesso a Bergamo quest’anno? Avrebbe trovato spazio dietro a Ilicic, Gomez, Muriel, Pasalic, Zapata? Si sarebbe sentito altrettanto importante? Perché è questo il punto che non riesce a capire, a volte, chi non ha mai giocato.
La fiducia nei propri mezzi è tutto!
A Parma è il vero e proprio “gioiello” mentre a Bergamo sarebbe stato uno dei tanti; forse come Malinovskyi, che è fortissimo, sarebbe stato penalizzato dalle scelte dell’allenatore. È normale che il mister nei momenti critici tenda a fidarsi di più di chi conosce meglio.
Ammesso e non concesso che Kulusevski sia "meglio di Malinosvskyi”, di certo c’è solo la ragione di chi ha deciso di mandarlo a fare esperienza. Al contrario non sappiamo se, restando a Bergamo, avrebbe perso un anno, se il peso delle aspettative l’avrebbe penalizzato come è successo a qualche suo collega. Qual è l’unità di misura del “peso delle aspettative”, che gli scienziati del calcio ancora non sono riusciti quantificare, classificare?

Vi do un consiglio: segnatevi i nomi di chi oggi, per attirare un po’ di attenzione durante la lunga sosta della serie A, si inventa insensati paragoni (con tanto di dati numerici).
Probabilmente saranno i primi a contestare Kuluseskyi quando tornerà. Prima o poi capiterà anche a lui la giornata storta, magari proprio prima della pausa del campionato.

 

GianLuca Savoldi

 

By staff
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