L’anno che verrà
Questo pezzo è stato scritto da Beppe De Carli, che per noi si occupa della cronaca delle partite in trasferta, per il sito bergamoesport.it. Ringraziamo entrambi
L'anno che verra'
Quanto avrei voluto essere con Lucio Dalla quando, in quel giorno lontano del 1978, prese carta e penna per scrivere il testo della canzone “l’anno che verrà”. Il nostro poeta-artista-musicista quel giorno seppe appoggiare mirabilmente sul pentagramma le incertezze tipiche di un futuro che nessuno può anticipare se non nelle fantasie e grottesche evoluzioni che, a distanza di anni, strappano sempre un sorriso malinconico e riflessivo.
Si arriva alla fine di un anno con la tentazione e nel solco della tradizione, di trarre un bilancio, a prescindere, e spesso senza un senso logico. Non voglio parlare di quello che ci stiamo lasciando alle spalle poiché sarebbe troppo semplice e scontato. E’ un esercizio che consegno volentieri ad altri più preparati di me o più propensi alla polemica ed al lamento a tutti i costi. Peraltro il materiale per le recriminazioni e le polemiche quest’anno si trova a buon mercato e basta scavare appena nel substrato delle nostre epidermidi ferite per trovarne in quantità industriali. Senza minimamente negare o occultare quello che abbiamo vissuto, la mia riflessione è rivolta invece al domani, che se non altro si presta ad una maggiore positività, anche a voli pindarici che possono far disegnare nelle nostre menti scenari meno drammatici. Gli “ingredienti” per una ricetta sulla positività si possono confinare tra il “peggio di così non potrà andare” ed un “ce la faremo” che nelle loro semplicistiche accezioni potrebbero risolvere subito la questione. Non può essere così e, francamente, ritengono non lo sarà. Che anno sarà lo potremo sapere anche troppo presto. Tante cose ci aspettano con la mano tesa, quella che da mesi non possiamo più stringerci; dall’efficacia di un vaccino tanto atteso quanto difficile da poter distribuire a quanti lo vorranno all’anelata ripresa economica, motore di tutta la nostra società. Due speranze che lasciamo a virologi, esperti più o meno affermati, politici, economisti. Noi dovremmo invece puntare sulle nostre forze, sul nostro non abdicare alla disperazione o alla remissività che è segno di resa. Se attendiamo che sia qualcun altro a prendere l’iniziativa (la recente nevicata è la metafora della nostra vita attuale: tutti ad accusare attendendo che altri facciano….) insieme inconsciamente faremo un passo indietro.
L’anno che verrà vorrei fosse quello di tante riprese: dal lavoro (per chi non lo ha mai avuto e per quelli che lo hanno perso), alla salute certa per tutti, alla scuola totalmente in presenza, alle attività sportive di base, ai divertimenti, alla possibilità di rivedere i volti degli altri, anche immusoniti ma completi e non nascosti da tragiche pezze dai tanti colori. Vorrei fosse l’anno degli abbracci ritrovati, degli anziani rimessi all’interno della nostra vita quotidiana non come un peso ma come un valore aggiunto. Vorrei fosse l’anno del sorriso contagioso e non delle accuse ad ogni piè sospinto, che rendono triste la giornata e non risolvono uno solo dei tanti problemi che ingombrano i nostri tavoli che siano essi di casa, di un ufficio, di una scuola, di un’azienda, di un ospedale. Questa può sembrare una visione utopica dopo quello che stiamo lasciando alle spalle ma è una ricetta semplice e genuina come quella delle nostre nonne. Ridiamo noi, mondo degli adulti, una speranza a chi, più giovane, ha di fatto perso un anno della propria vita di fronte all’incalzare di eventi sempre più drammatici, caratterizzato dai colori non dell’iride ma di un bouquet dipinto solo di giallo, arancione e rosso. Non sarà solo la nostra speranza a salvarci ma l’unione di intenti che, come diceva il grande Lucio, può riassumersi in un:
“E se quest’anno poi passasse in un istante, vedi amico mio, come diventa importante, che in questo istante ci sia anch’io”
per combattere la solitudine che non è solo quella dei tanti clochard dimenticati, colpevolmente, dalla società, ma dei nostri sentimenti repressi anche senza un decreto.
L’anno che verrà, tra un anno passerà, ma rispetto al finale della canzone, non saremo mai preparati a questa novità perché sarà giusto viverlo minuto per minuto in attesa di un risveglio collettivo che dovrà essere la via maestra da seguire. Diversamente saremo qui a piangerci addosso proiettando il malessere sugli altri e per questo atteggiamento negativo, credetemi, non esisterà mai un vaccino.
Giuseppe De Carli
L'anno che verra'
Quanto avrei voluto essere con Lucio Dalla quando, in quel giorno lontano del 1978, prese carta e penna per scrivere il testo della canzone “l’anno che verrà”. Il nostro poeta-artista-musicista quel giorno seppe appoggiare mirabilmente sul pentagramma le incertezze tipiche di un futuro che nessuno può anticipare se non nelle fantasie e grottesche evoluzioni che, a distanza di anni, strappano sempre un sorriso malinconico e riflessivo.
Si arriva alla fine di un anno con la tentazione e nel solco della tradizione, di trarre un bilancio, a prescindere, e spesso senza un senso logico. Non voglio parlare di quello che ci stiamo lasciando alle spalle poiché sarebbe troppo semplice e scontato. E’ un esercizio che consegno volentieri ad altri più preparati di me o più propensi alla polemica ed al lamento a tutti i costi. Peraltro il materiale per le recriminazioni e le polemiche quest’anno si trova a buon mercato e basta scavare appena nel substrato delle nostre epidermidi ferite per trovarne in quantità industriali. Senza minimamente negare o occultare quello che abbiamo vissuto, la mia riflessione è rivolta invece al domani, che se non altro si presta ad una maggiore positività, anche a voli pindarici che possono far disegnare nelle nostre menti scenari meno drammatici. Gli “ingredienti” per una ricetta sulla positività si possono confinare tra il “peggio di così non potrà andare” ed un “ce la faremo” che nelle loro semplicistiche accezioni potrebbero risolvere subito la questione. Non può essere così e, francamente, ritengono non lo sarà. Che anno sarà lo potremo sapere anche troppo presto. Tante cose ci aspettano con la mano tesa, quella che da mesi non possiamo più stringerci; dall’efficacia di un vaccino tanto atteso quanto difficile da poter distribuire a quanti lo vorranno all’anelata ripresa economica, motore di tutta la nostra società. Due speranze che lasciamo a virologi, esperti più o meno affermati, politici, economisti. Noi dovremmo invece puntare sulle nostre forze, sul nostro non abdicare alla disperazione o alla remissività che è segno di resa. Se attendiamo che sia qualcun altro a prendere l’iniziativa (la recente nevicata è la metafora della nostra vita attuale: tutti ad accusare attendendo che altri facciano….) insieme inconsciamente faremo un passo indietro.
L’anno che verrà vorrei fosse quello di tante riprese: dal lavoro (per chi non lo ha mai avuto e per quelli che lo hanno perso), alla salute certa per tutti, alla scuola totalmente in presenza, alle attività sportive di base, ai divertimenti, alla possibilità di rivedere i volti degli altri, anche immusoniti ma completi e non nascosti da tragiche pezze dai tanti colori. Vorrei fosse l’anno degli abbracci ritrovati, degli anziani rimessi all’interno della nostra vita quotidiana non come un peso ma come un valore aggiunto. Vorrei fosse l’anno del sorriso contagioso e non delle accuse ad ogni piè sospinto, che rendono triste la giornata e non risolvono uno solo dei tanti problemi che ingombrano i nostri tavoli che siano essi di casa, di un ufficio, di una scuola, di un’azienda, di un ospedale. Questa può sembrare una visione utopica dopo quello che stiamo lasciando alle spalle ma è una ricetta semplice e genuina come quella delle nostre nonne. Ridiamo noi, mondo degli adulti, una speranza a chi, più giovane, ha di fatto perso un anno della propria vita di fronte all’incalzare di eventi sempre più drammatici, caratterizzato dai colori non dell’iride ma di un bouquet dipinto solo di giallo, arancione e rosso. Non sarà solo la nostra speranza a salvarci ma l’unione di intenti che, come diceva il grande Lucio, può riassumersi in un:
“E se quest’anno poi passasse in un istante, vedi amico mio, come diventa importante, che in questo istante ci sia anch’io”
per combattere la solitudine che non è solo quella dei tanti clochard dimenticati, colpevolmente, dalla società, ma dei nostri sentimenti repressi anche senza un decreto.
L’anno che verrà, tra un anno passerà, ma rispetto al finale della canzone, non saremo mai preparati a questa novità perché sarà giusto viverlo minuto per minuto in attesa di un risveglio collettivo che dovrà essere la via maestra da seguire. Diversamente saremo qui a piangerci addosso proiettando il malessere sugli altri e per questo atteggiamento negativo, credetemi, non esisterà mai un vaccino.
Giuseppe De Carli
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