Lazar Samardzic, piede fatato
Guizzo improvviso sull’out di destra. Assolo in dribbling ad libitum: cinque tocchi, tre avversari a spasso. E rasoiata implacabile sul primo palo. C’è tutto il repertorio di Lazar Samardzic, nel suo primo gol di sempre in Champions League. La progressione nello stretto. La conclusione da PlayStation. La faccia attonita di compagni e avversari – quella di Tolói per un attimo si trasforma in un cartone animato, mascella che si allunga all’inverosimile. E incoronazione dell’allenatore. «Ha segnato una rete straordinaria. Di gran classe». Gian Piero Gasperini sceglie le parole giuste, dopo la scorpacciata dell’Atalanta sul campo dello Young Boys. All’indomani sui social montano i meme, i voli pindarici tra Samardzic e il “prime Messi” (il suo idolo, e chi sennò). Calma. Eppure in quei sette secondi di serpentina c’è un dettaglio, un marchio di fabbrica, sul quale il trequartista serbo non è secondo a nessuno: la carezza al pallone con la suola, più tunnel decisivo per armare il tiro. Un calcio d’altri mondi.
A 23 anni Samardzic è ancora un talento irrisolto. Capace di giocate da urlo, saette fra lunghe fasi di frustrante quiescenza. Bergamo e il Gasp sono il contesto ideale per coltivarlo: oggi da jolly, una ciliegina sulla torta – il suddetto gol è pur sempre arrivato al 90’, sul 5-1 – e domani chissà. Finora la sua vera continuità è l’estetica. Giochi bene o male, il ragazzo ha semplicemente un rapporto con la palla da pochissimi eletti. La smista, la frena, talvolta dà la sensazione di perderla e invece la nasconde soltanto, inventando passaggi senza bisogno di spazio, oltre il tempo limite di gioco per chi viene braccato a centrocampo. E nonostante una struttura fisica – un longilineo metro e 84, nessun baricentro basso – che poco si presta ai colpi di prestigio. Il fulcro della qualità è il piede mancino, ma quando conviene non disdegna l’uso del destro per finalizzare. Ha un’intelligenza calcistica sopra la media, Samardzic. Ma ancora di più i mezzi: rallenta la velocità del pallone perfino prima di controllarlo, lo tiene incollato a sé whatever it takes, trasforma i duri tacchetti della scarpa in polpastrelli supplementari. Setole di un pennello che gli altri non hanno.
L’eurogol allo Young Boys è la sua nuova immagine del profilo. E svetta in cima a una lunga lista: non è stata la giocata della vita ma una delle tante, forse tra le più belle, di un giocatore raffinatissimo che ha conquistato la Serie A con la maglia dell’Udinese. Lazar-parade in ordine sparso. Un trucchetto simile, suola-suola e arrivederci, l’aveva inaugurato contro l’Empoli alla sua prima stagione in Friuli: quella volta si liberò da fuori area, incrociando con un gran sinistro all’angolino. Stesso copione a Sassuolo l’anno dopo. Finta dal vertice, altra carezza, doppio dribbling e infine – pure sbilanciato, con gli avversari che lo costringevano a indietreggiare – piattone col destro in fondo al sacco. Sono magie che spaccano difese e partite. E Samardzic le esercita con una facilità disarmante, scegliendo spesso la via meno intuitiva. Prodezze d’antan, appunto: una domenica schiantò la Cremonese – tra le sue prestazioni da one-man-show in bianconero – con un esterno di punta dai venti metri. Alla Roberto Carlos, alla Quaresma.
Come si dice “trivela” in serbo?
Altre volte, vedere il gol al Verona, gennaio 2023, sembra che la palla gli rimanga troppo sotto, che non ci sia lo spazio per calciare forte e preciso: come non detto. In un’altra vita deve aver giocato a futsal, Lazar. O al campetto, di sicuro: «Sono cresciuto col calcio 10 ore per strada e il mio modo di esprimermi ne ha sicuramente beneficiato», ha raccontato in una lettera a Cronache di Spogliatoio. Il resto erano partite a Fifa. E a giudicare da certe azioni “telecomandate”, pure il joystick male non gli ha fatto.
Veniamo così a quel che probabilmente è il suo capolavoro più puro. Per splendore, coefficiente di difficoltà, luogo dell’incanto. A settembre dell’anno scorso, l’Udinese sta perdendo al Maradona contro il Napoli campione d’Italia. Sul 3-0, Samardzic dalla trequarti decide di incunearsi fra tre avversari, liberandosi del pallone un nanosecondo prima del disperato intervento di Ostigard in scivolata: riceve Success, che quasi per inerzia chiude il triangolo, il numero 24 raccoglie al limite, supera Di Lorenzo, mette a sedere Natan con la suola adorata e soltanto a quel punto – unico tocco col destro dell’intero blitz – scarica in rete. Viene voglia di rivederlo con la telecronaca di Víctor Hugo Morales. «So che il gol era bello, ma senza vittoria non conta», si limita a commentare lui. «Anche io me lo sono chiesto: perché non ne segno uno del genere ogni partita? A volte ho la mente più libera di altre. Devo imparare a prendermi qualche responsabilità in più e farmi trascinare meno dal risultato».
Come si dice “barrillete cosmico” in serbo?
Il rovescio della medaglia è che non sempre l’estetica di Samardzic è applicata all’efficacia. A Udine i tifosi lo adorano e si strappano i capelli al tempo stesso. Mai avevano ammirato un mancino del genere: per curiosa coincidenza, tutti i più grandi della storia bianconera – da Zico a Di Natale, passando per Amoroso, Pizarro, Sanchez e De Paul – calciavano col destro. Lazar, “Laki”, è uno di quelli. Cristallino. E allora è contro natura se pochi mesi fa, sotto la leadership di Samardzic, la squadra ha evitato la retrocessione soltanto a 15 minuti dalla fine del campionato. Il suo estro fa a stento la differenza nella lotta salvezza. Si cosparge di dubbi, di spettri: la telenovela estiva che mandò in fumo il suo trasferimento all’Inter, rischia di ridurre il campione del futuro a ragazzino presuntuoso e scostante (almeno così dice la contro-narrazione, mentre lui non smette di allenarsi e mai si fa notare per atteggiamenti sopra le righe). La realistica via di mezzo è che Samardzic dispone di un bagaglio tecnico sconfinato, ma è pur sempre a inizio carriera, e dall’intensità nei 90 minuti alla capacità di lettura delle varie fasi di una partita ha ancora enormi margini di crescita. Il che, per lui e l’Atalanta, può essere solo una buona notizia.
Nell’annata in corso, il serbo è stato schierato titolare meno di una volta su quattro. Sta facendo il suo, pur senza spiccare in una squadra che macina calcio e risultati. Forse non ce n’era nemmeno bisogno: il lusso dei nerazzurri è che finora Samardzic resta un lusso. Una golden sub. I suoi tre gol più assist a referto sono arrivati tutti dalla panchina: solita giocatona nello stretto contro il Monza – e doppietta sfiorata con l’esterno –, piazzato da fuori area per acciuffare il Bologna. È l’abito su misura, per un ragazzo che pure all’Udinese impattava alla grande a gara in corso. Oggi senza pressioni, un acuto alla volta. Non è ancora un leader, non sarà mai il nuovo Koopmeiners – che ha rimpiazzato in organico – anche e soprattutto per caratteristiche. Le sue, nelle grandi notti d’Europa, fanno cantare il pallone come da tempo non si sentiva. C’è da alzarsi in piedi e chiedere il bis
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