04/08/2025 | 08.30
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Lettera al sito: "A proposito di Lookman"


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Siamo nella solita palude del calciomercato moderno: tra contratti firmati, pressioni più o meno lecite e il solito balletto degli agenti. Dal punto di vista formale e giuridico, il comportamento di Lookman (o meglio, del suo entourage) è borderline, ma purtroppo sempre più comune nel calcio professionistico.

Ecco la realtà dei fatti:

1. Il contratto con l’Atalanta vale fino al 2028.

Questo significa che, giuridicamente, Lookman è vincolato alla Dea e non può andarsene di sua iniziativa, a meno di rescissione consensuale o pagamento della clausola rescissoria (se esiste, cosa che non risulta pubblicamente). L’Atalanta detiene tutti i diritti sportivi sul giocatore fino alla scadenza.

2. L’accordo con l’Inter “vale zero” senza l’ok dell’Atalanta.

Un giocatore sotto contratto può essere contattato da altri club solo con il consenso della società di appartenenza. Se ci sono stati contatti diretti con l’Inter senza autorizzazione, siamo in ambito di “tampering” o “induzione alla rottura contrattuale”, pratica teoricamente vietata ma difficile da dimostrare e perseguire (a meno che l’Atalanta non voglia fare guerra aperta).

3. La “pressione” del giocatore

È uno strumento di fatto, non di diritto. Lookman può chiedere la cessione, fare dichiarazioni pubbliche, anche minacciare scarso impegno... ma non ha alcun diritto unilaterale di imporsi sulla società. Ovviamente il rischio di “caso spogliatoio” è sempre dietro l’angolo e spesso le società, per non intossicare l’ambiente, preferiscono trovare un accordo.

4. Dal punto di vista etico

La condotta di Lookman non è elegante né professionale: ha firmato un contratto fino al 2028, la Dea ha investito su di lui, e adesso lui (o chi per lui) sfrutta il suo valore di mercato per forzare la mano. È un modus operandi che abbiamo già visto mille volte, ma che non lo rende meno scorretto sotto il profilo morale.

In conclusione, dal punto di vista legale l’Atalanta ha il coltello dalla parte del manico. Dal punto di vista pratico e gestionale, però, la questione va gestita con intelligenza: forzare un giocatore scontento a rimanere può essere controproducente. La chiave sarà il prezzo: se l’Inter vuole Lookman, dovrà pagare quanto chiede l’Atalanta, non quanto decide il procuratore.

Qui non si tratta solo di Lookman, si tratta di difendere un principio. Se Percassi cede al ricatto di un giocatore sotto contratto, spalanca la porta a qualsiasi altro calciatore o procuratore che in futuro voglia "pilotare" la propria cessione con la stessa strategia.

L'Atalanta non è il PSG o il City che possono permettersi di gestire i mal di pancia milionari con indifferenza: qui ogni giocatore è un asset strategico, costruito, valorizzato e difeso. Cedere a pressioni esterne significherebbe svalutare il concetto stesso di “progetto sportivo”.

Un giocatore è un capitale aziendale.
Le società di calcio investono milioni tra acquisti, ingaggi, formazione, valorizzazione.
Se un contratto pluriennale può essere “bypassato” con una stretta di mano segreta e qualche dichiarazione di malumore, allora il concetto stesso di contratto perde di significato.
L’Atalanta ha due strade:

1. Imporsi e tenerlo, anche a costo di rischiare la tensione (la famosa “linea Milan con Kessié e Donnarumma”)

2. Cederlo solo a condizioni economiche tali da rinforzare la squadra e ribadire che l’Atalanta non svende, ma capitalizza.

Percassi qui si gioca non solo un’operazione di mercato, ma la credibilità di un modello: se accetta la pressione, manda un messaggio pericoloso a spogliatoio, tifosi e futuri acquisti.
Ma la vera falla sta nel sistema FIFA: servirebbero regole più severe contro il “tampering” (induzione di un giocatore sotto contratto a rompere con la propria società) e una tutela vera per i club che rispettano i contratti. Altrimenti diventa il Far West: chi ha più soldi si compra anche il diritto di violare i contratti altrui.

Forza Dea

Paolo Franchin

(Lupo, nostro utente)


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