Lettera al sito in risposta a "Ma set ön ultras te?"
"MA SET UN ULTRAS TE?"
“Anche!”
Scrivo queste poche righe, in risposta, o se vogliamo, ad integrazione della bella lettera scritta da IL VALO, pubblicata su Sostieni la Curva e ripresa anche dal vostro sito.
La scrivo dalla penna di un tifoso che, per motivi propri, non è un ultras. Ma ne condivide la medesima passione per il medesimo scopo. L’Atalanta.
Queste righe non vogliono dare un giudizio e nemmeno hanno la pretesa di essere lette, condivise o che portino con sé una sorta di verità.
Vantano solo il tentativo, seppur minimo come una goccia nel mare, di riempire quei solchi e quelle gabbie di cui ha parlato IL VALO nella sua lettera.
Per il tifoso, quello senza altri aggettivi o sostantivi a supporto, diciamo per quello che non è ultras, è ben chiaro come certe istituzioni abbiano screditato, e stiano ancora screditando gli ultras. Sono chiari e palesi i continui soprusi perpetrati, specialmente qui a Bergamo.
Per il tifoso, quello senza altri aggettivi o sostantivi a supporto, diciamo per quello che non è ultras, sono chiare e lampanti la passione, gli sforzi, la bontà di intenti che spesso gli ultras mettono concretamente sul piatto, soprattutto quando si parla di solidarietà.
Il tifoso sa benissimo, e magari conosce anche personalmente, quelle ragazze e quei ragazzi splendidamente descritti dal Valo.
Quello che al tifoso non torna, però, sono alcune situazioni, che il Valo stesso ha espresso.
Chi ignora non ha il diritto di giudicare.
Ma il significato di ignorare è un valore assoluto o relativo e interpretabile?
Dalla lettera del Valo si evincerebbe, poi magari ho capito male io, che chi non è ultras ignora. Quindi non può giudicare.
Se così fosse, dissento. Poiché, come spiegato prima, molti dei tifosi che riempiono domenicalmente il Bortolotti sanno benissimo chi sono e cosa fanno gli ultras.
Quindi, non ignorano, bensì conoscono. Solo che non lo fanno dall’interno.
E per questo non possono giudicare?
Mi pare alquanto restrittivo e pretenzioso.
Sarebbe come dire che nessuno di noi (cattolici, atei o di qualsiasi professione, purchè non mussulmana) non può giudicare i gesti degli jihadisti solo perché jihadista non è. Se mi informo, studio e ci ragiono sopra, il gesto del kamikaze lo posso giudicare, pur non essendo kamikaze io stesso, sia che lo approvi o che lo condanni.
Io credo che la maggior parte dei tifosi dell’Atalanta apprezzi la stragrande maggioranza delle azioni degli ultras e non ne approvi solo alcune. Credo che la maggior parte dei tifosi dell’Atalanta conosca e perciò non si permetterà mai di giudicare le persone ultras seguendo gli stereotipi da carta stampata, ma lo faccia seguendo la sua propria coscienza e conoscenza.
Quello che il tifoso, quello senza altri aggettivi o sostantivi a supporto, diciamo per quello che non è ultras, non comprende, o meglio, comprende ma non fino infondo è relativo ai solchi e alle gabbie.
Non è che i solchi e le gabbie raccontati dal Valo siano sì stati costruiti da chi agli ultras vuole male, ma che gli ultras non hanno proprio tutto questo interesse a smantellare?
E’ assodato che un tifoso qualsiasi sia considerato dall’ultras come un mezzo tifoso o come una sorta di “pariah”, di fuori casta.
Le gabbie, in fondo, le abbiamo viste fisicamente anche dentro allo stadio. Quei recinti tracciati con il nastro biancorosso durante le partite in cui (legittimamente) gli Ultras hanno deciso di non partecipare, non li hanno messi né i tifosi, né le forze dell’ordine. E l’accesso a quell’area non è stato impedito ai supporter ospiti, o alle forze dell’ordine, ma ad altri tifosi atalantini. Ragazze e ragazzi con la medesima passione, che chi ignora non può giudicare. Come dice il Valo.
Questo non è per dire che l’ultras debba rinunciare ad esserlo. Anzi, il calcio senza ultras non sarebbe il calcio. E il tifo senza gli ultras non sarebbe tifo.
Solo per dire che l’isolamento non è soltanto imposto, ma è in parte anche voluto.
Quello che mi auspico, anche con queste poche righe, è che gli ultras tendano una mano a chi è tifoso e non ultras. Poiché ritengo che, se vuole, l’ultras può comprendere la passione che permea anche il tifoso qualunque, dato che è la medesima.
Che l’ultras rimanga ultras e che il tifoso rimanga tifoso, ma che la grande famiglia dell’Atalanta possa avere dei ponti, sopra quei solchi.
Solo in questo modo si può tentare di smantellare quel “confine ben definito…quel solco profondo scavato da chi da anni svolge l’infame lavoro di screditare il tifo organizzato”.
"Set on ultras te?"
“Anche.”
Lettera Firmata
“Anche!”
Scrivo queste poche righe, in risposta, o se vogliamo, ad integrazione della bella lettera scritta da IL VALO, pubblicata su Sostieni la Curva e ripresa anche dal vostro sito.
La scrivo dalla penna di un tifoso che, per motivi propri, non è un ultras. Ma ne condivide la medesima passione per il medesimo scopo. L’Atalanta.
Queste righe non vogliono dare un giudizio e nemmeno hanno la pretesa di essere lette, condivise o che portino con sé una sorta di verità.
Vantano solo il tentativo, seppur minimo come una goccia nel mare, di riempire quei solchi e quelle gabbie di cui ha parlato IL VALO nella sua lettera.
Per il tifoso, quello senza altri aggettivi o sostantivi a supporto, diciamo per quello che non è ultras, è ben chiaro come certe istituzioni abbiano screditato, e stiano ancora screditando gli ultras. Sono chiari e palesi i continui soprusi perpetrati, specialmente qui a Bergamo.
Per il tifoso, quello senza altri aggettivi o sostantivi a supporto, diciamo per quello che non è ultras, sono chiare e lampanti la passione, gli sforzi, la bontà di intenti che spesso gli ultras mettono concretamente sul piatto, soprattutto quando si parla di solidarietà.
Il tifoso sa benissimo, e magari conosce anche personalmente, quelle ragazze e quei ragazzi splendidamente descritti dal Valo.
Quello che al tifoso non torna, però, sono alcune situazioni, che il Valo stesso ha espresso.
Chi ignora non ha il diritto di giudicare.
Ma il significato di ignorare è un valore assoluto o relativo e interpretabile?
Dalla lettera del Valo si evincerebbe, poi magari ho capito male io, che chi non è ultras ignora. Quindi non può giudicare.
Se così fosse, dissento. Poiché, come spiegato prima, molti dei tifosi che riempiono domenicalmente il Bortolotti sanno benissimo chi sono e cosa fanno gli ultras.
Quindi, non ignorano, bensì conoscono. Solo che non lo fanno dall’interno.
E per questo non possono giudicare?
Mi pare alquanto restrittivo e pretenzioso.
Sarebbe come dire che nessuno di noi (cattolici, atei o di qualsiasi professione, purchè non mussulmana) non può giudicare i gesti degli jihadisti solo perché jihadista non è. Se mi informo, studio e ci ragiono sopra, il gesto del kamikaze lo posso giudicare, pur non essendo kamikaze io stesso, sia che lo approvi o che lo condanni.
Io credo che la maggior parte dei tifosi dell’Atalanta apprezzi la stragrande maggioranza delle azioni degli ultras e non ne approvi solo alcune. Credo che la maggior parte dei tifosi dell’Atalanta conosca e perciò non si permetterà mai di giudicare le persone ultras seguendo gli stereotipi da carta stampata, ma lo faccia seguendo la sua propria coscienza e conoscenza.
Quello che il tifoso, quello senza altri aggettivi o sostantivi a supporto, diciamo per quello che non è ultras, non comprende, o meglio, comprende ma non fino infondo è relativo ai solchi e alle gabbie.
Non è che i solchi e le gabbie raccontati dal Valo siano sì stati costruiti da chi agli ultras vuole male, ma che gli ultras non hanno proprio tutto questo interesse a smantellare?
E’ assodato che un tifoso qualsiasi sia considerato dall’ultras come un mezzo tifoso o come una sorta di “pariah”, di fuori casta.
Le gabbie, in fondo, le abbiamo viste fisicamente anche dentro allo stadio. Quei recinti tracciati con il nastro biancorosso durante le partite in cui (legittimamente) gli Ultras hanno deciso di non partecipare, non li hanno messi né i tifosi, né le forze dell’ordine. E l’accesso a quell’area non è stato impedito ai supporter ospiti, o alle forze dell’ordine, ma ad altri tifosi atalantini. Ragazze e ragazzi con la medesima passione, che chi ignora non può giudicare. Come dice il Valo.
Questo non è per dire che l’ultras debba rinunciare ad esserlo. Anzi, il calcio senza ultras non sarebbe il calcio. E il tifo senza gli ultras non sarebbe tifo.
Solo per dire che l’isolamento non è soltanto imposto, ma è in parte anche voluto.
Quello che mi auspico, anche con queste poche righe, è che gli ultras tendano una mano a chi è tifoso e non ultras. Poiché ritengo che, se vuole, l’ultras può comprendere la passione che permea anche il tifoso qualunque, dato che è la medesima.
Che l’ultras rimanga ultras e che il tifoso rimanga tifoso, ma che la grande famiglia dell’Atalanta possa avere dei ponti, sopra quei solchi.
Solo in questo modo si può tentare di smantellare quel “confine ben definito…quel solco profondo scavato da chi da anni svolge l’infame lavoro di screditare il tifo organizzato”.
"Set on ultras te?"
“Anche.”
Lettera Firmata
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