Lettera al sito: un grazie alla mia Dea
In questo periodo di estrema difficoltà per ognuno di noi vorrei condividere una mia esperienza, purtroppo di grande attualità. Anche io ho avuto la sfortuna di incontrare quella brutta bestia del virus. Se da un lato sono stato fortunato ad aver avuto solo sintomi lievi, che però mi hanno fatto sottoporre a relativo tampone ed esito positivo, dall’altro ho avuto la sfortuna che tutto questo mi capitasse mentre per lavoro mi trovavo in una nazione extra europea. Ho vissuto momenti terribili, con isolamento da tutto e da tutti per tre settimane, in una camera che sembrava più ad una cantina che ad una struttura di degenza. Senza nessuno con cui parlare, nessuno con cui confrontarmi. Senza mai poter guardare le stelle. Ero il primo caso in quella nazione, e nemmeno i dottori erano in grado di fornirmi una qualsiasi informazione riguardo l’andamento della malattia. Solo un telefono con connessione internet per far passare le giornate. La lontananza da casa, la solitudine e l’incertezza del futuro hanno messo a durissima prova la tenuta psicologica. Ma alla fine ce l’ho fatta e, dopo quasi un mese, sono tornato a casa. E cosa potrebbe interessare questo al popolo nerazzurro? Poco, almeno per il mio aspetto personale. Qualcosa in più se invece si contestualizza il tutto in ottica neroazzurra.
Facendo un passo indietro, io ho avuto la grandissima fortuna di essere presente alla partita di andata col Valencia insieme a mio figlio ed alcuni amici. Ho gioito in modo incredulo, ho pianto di gioia per un sogno ad occhi aperti, condiviso con mio figlio. Ad ogni gol, io e lui ci scambiavamo pizzicotti, come quasi volerci svegliare da quello che sembrava un sogno. Un’emozione che porterò dentro per sempre. Per sempre.
La partita di ritorno, a cui avrei dovuto essere presente (dopo un’organizzazione maniacale nella quale ero riuscito a trovare biglietto, volo, pernottamento a prezzi bassissimi), l’ho vissuta invece con sentimenti opposti in una camera afosa, in triste solitudine. Almeno inizialmente. Non c’erano gli amici con cui scambiare opinioni e stemperare la tensione, non c’era mio figlio, con la sua spensieratezza ed ingenuità. Non c’era nessuno con cui condividere questo momento. Da solo, con un telefonino su cui guardare le immagini che di tanto in tanto si bloccavano per la scarsa connessione. Meglio di niente.
Ma durante le due ore della partita mi è sembrato di essere a casa. Mi è sembrato di essere in Italia, di poter quasi toccare materialmente le emozioni. Ho dimenticato la mia condizione. E mi è sembrato di vedere mio figlio, sul divano di casa mia, che gioiva in modo irrefrenabile. Le mie lacrime, che fino a qualche ora prima erano di sofferenza, ora erano diventate di gioia. Una gioia irrefrenabile, che mi hanno portato ad urlare in modo sguaiato per più di una volta, tanto da far intervenire le infermiere per verificare che tutto stesse andando bene. Urla di gioia in una notte, il cui caldo torrido per un attimo era diventato meno opprimente.
Vedere quella maglietta “Bergamo, mola mia”, mi ha fatto sentire vicino alla squadra, ai tifosi che stavano festeggiando in modo composto, ma anche a quelli che come me stavano soffrendo, magari in modo diverso. Ecco, un gesto che ho sentito “mio”, quasi indirizzato a me, che mi ha lasciato molta gioia. Una vicinanza che ho avvertito per un paio di giorni, e che mi ha permesso di alzare il mio umore in modo deciso. Tanto che negli esami a cui venivo sottoposto a giorni alterni, il giovedì mattina è stato evidenziato un notevole miglioramento di valori corporei (anticorpi e valori del virus nel sangue), dati dall’umore in risalita.
Anche per questo voglio ringraziare la mia Atalanta. Per avermi aiutato ad alleviare la mia sofferenza. E come me, quella di molti altri che in questi momenti stanno soffrendo. Sicuramente la battaglia più difficile la vinceremo tutti insieme, per poi poter tornare a gioire insieme della nostra Atalanta. E quando succederà, sarà mille volte più bello. E succederà presto, ne sono sicuro.
Lettera firmata