03/01/2017 | 19.22
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LINKiesta sulla Dea

Un articolo in Rete, molto bello e approfondito propostoci da Marco R. che ringraziamo. Dal sito linkiesta.it

Atalanta, la provinciale che fattura 70 milioni con tv e giovani (e che ora vuole lo stadio di proprietà)

Al 31 dicembre 2015 il club bergamasco è riuscito a contenere i costi grazie anche alle plusvalenze. Oggi è in corsa per la qualificazione in Europa e vuole fare il grande salto: nel mirino c'è l'acquisto dell'impianto cittadino

Non c’è solo la classifica di Serie A che sorride all’Atalanta, ovvero la sorpresa di questo inizio di stagione. Se non fosse stato per i 16 anni di Gigio Donnarumma ad abbassare l’età media del Milan, quella di Bergamo sarebbe oggi la squadra più giovane d’Italia e, di conseguenza, la prima italiana per linea verde in campo, tra le cinque leghe top del Vecchio Continente. Per “colpa” di quello che ormai è destinato a diventare il nuovo Buffon, invece, i nerazzurri sono al 27° posto tra A, Premier, Bundesliga, Liga e Ligue 1 (media di 26,46 anni), dietro il 12° del Milan con una media di 25,37 anni in campo. Comunque meglio di tutte le big, che certo possono spendere in cartellini milionari, mentre l’Atalanta preferisce farlo in quella fabbrica di talenti riconosciuta che è Zingonia.

Certo, se allarghiamo il discorso, c’è poco da esultare: scorrendo la classifica delle squadre con l’età media più bassa in Europa stilata dal Cies lo scorso 21 novembre, dopo l’Atalanta, per trovare un’altra italiana dobbiamo guardare la seconda parte del tabellone delle prime 50. Per intenderci: tra le prime undici ci sono solo francesi e tedesche, che evidentemente hanno imparato a fare sistema. Le italiane si arrangiano da sole, per inseguire quel risultato capace di raddrizzare i bilanci a fine anno, meglio noto come plusvalenza, grazie alla valorizzazione dei giocatori costruiti in casa o acquistati e poi rivenduti dopo un’opportuna valorizzazione.

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Lo scorso anno, stando al bilancio del 31 dicembre 2015, l’Atalanta ha raggranellato plusvalenze totali per 23 milioni di euro. Non male, visto che il risultato da calciomercato ha contribuito a far arrivare il fatturato del club di Percassi oltre 70 milioni di euro. E se consideriamo che parliamo di una squadra cosiddetta “provinciale”, i ricavi a 74 milioni del 2015 sono un risultato non da poco, unito alla perdita (contenuta) di circa 1,5 milioni. E il club non ha uno stadio di proprietà che ne rimpingui le casse.

Come ha fatto a raggiungere un simile risultato? Le fonti di guadagno dell’Atalanta sono ancora per buona parte legati, come anticipato, alle plusvalenze. Simbolo recente della politica di valorizzazione dei giovani in chiave mercato e bilancio è il caso di Daniele Baselli, venduto al Torino di Urbano Cairo (altro “maestro” in questa arte) per una plusvalenza di 4,8 milioni di euro dopo che l’Atalanta lo ha cresciuto in casa. Stesso discorso per Gianluca Barba, ceduto al Pescara per una plusvalenza di di 1,5 milioni; o per Moussa Konè, che grazie alla cessione al cesena ha generato una plusvalenza di 3,4 milioni. Il business riguarda anche calciatori “già fatti” e valorizzati, nello scorso come nel prossimo bilancio: vale per tutti il caso di Marten De Roon, comprato lo scorso anno per 1,5 milioni e rivenduto quest’estate in Premier a 14 milioni. A questo affare si unirà quello di Alberto Grassi, altro talento cresciuto in casa e ceduto al Napoli lo scorso gennaio: solo dall’ultimo mercato invernale, l’Atalanta metterà a bilancio circa 10 milioni di euro in plusvalenze.

Un bottino che potrà essere rimpinguato, visti gli altri prodotti del vivaio: Gagliardini si è guadagnato la convocazione in Nazionale maggiore, Conti e Caldara sono nel giro dell’Under 21. Ragazzi nati e cresciuti a Zingonia, nel centro tecnico dove si allena tutta l’Atalanta, dalla prima squadra ai ragazzini. Nell’ultimo bilancio, il club ha iscritto costi per 5,6 milioni di euro per mantenere una macchina che continua a sfornare talenti, ai quali vanno aggiunti 1,3 milioni per il nuovo manto sintetico e circa 500mila euro per sovvenzionare le squadre della galassia nerazzurra e l’osservazione dei calciatori. Grazie alla rete di controllo nerazzurra ora c’è un nuovo possibile caso De Roon: Kessiè, scovato in Costa d’Avorio e aggregato in Primavera, prima di un anno di prestito in B al Cesena e ora già conteso da molte grandi di A dopo un ottimo inizio di stagione. E poi, a proposito di promesse, ci sono i ricavi per 417mila euro dall’Atalanta Football Camp, ovvero le attività estive organizzate dal club per i ragazzi dai 7 ai 14 anni e tenute dai tecnici di Zingonia.

“Storicamente, la linfa vitale dell’Atalanta è sempre stata il suo settore giovanile. In sei anni abbiamo investito 35 milioni di euro nel vivaio e nel centro sportivo di Zingonia. Siamo stati ripagati, ma continueremo lungo questa strada”, ha spiegato di recente Antonio Percassi, presidente del club (di cui è proprietario attraverso la holding Odissea, quasi 18 milioni di utili nel 2014) e artefice di quello che, come siamo cercando di dimostrare, miracolo non è, ma frutto di organizzazione. Prima giocatore, poi capitano e già proprietario una prima volta della Dea a inizi anni Novanta, Percassi è uno che parla poco in pubblico, ma lavora molto, moltissimo. Quando lasciò il pallone per dedicarsi agli affari immobiliari, si guadagnò la fama di vero e proprio fuoriclasse nel settore. Quello che nel calcio sarebbe un passaggio decisivo, per Percassi nel mattone si verificò un giorno del lontano 1976. La storia è questa. Un giorno passeggia in centro a Verona, quando nota un negozio targato Benetton pieno di gente. Così prende su due piedi e va a Treviso, a parlare con Luciano Benetton in persona. Poco tempo dopo ecco nascere la catena in franchising, con l’accordo che a Percassi un business model a tutto tondo: nacque così la società “L’Innominato”, con la quale stringe accordi di franchising con grandi marche da portare in Italia come Nike, Guess, Ferrari. Quindi la joint venture a inizio 2000 con Inditex per lo sbarco di Zara in Italia (e conseguente problemi con Benetton, diretto concorrente del marchio spagnolo). Da qui al business dei centri commerciali, il passo è breve, da quello di Orio al serio al nuovo e gigante Westfield Milan, a Segrate (Milano). E poi il marchio Kiko – lo zara dei cosmetici – e l’arrivo in Italia di marchi come Victoria’s Secrets , Starbucks e Wagamama. L’ultimo mattoncino, è il caso di dirlo, è lo store Lego nel centro di Milano. E quando c’è provare a conquistarsi un posto al tavolo che conta, Percassi non si tira indietro: si veda la partecipazione da 15 milioni nella ricapitalizzazione di Alitalia datata 2013, tramite la Odissea.

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Al momento, nel ramo d’azienda chiamato Atalanta, il business model è quello di giovani e plusvalenze dunque, ma è anche legato ai diritti tv. Questi ultimi negli ultimi bilanci si sono ormai assestati in una forbice compresa tra i i 29 e i 30 milioni di euro: nel 2015 sono stati di 29,2 milioni, in crescita rispetto ai 26 del 2014, dopo i 29,7 del 2013 e i 30 circa del 2012. Se si guarda il fatturato netto (cioè la somma dei ricavi tv, da gare e commerciali, escludendo quindi i risultati da cessione calciatori), i diritti televisivi la fanno da padrona: i ricavi da gare sono stati di 3,4 milioni di euro, quelli commerciali di 8,9 milioni. Anche queste due voci sono in crescita. I guadagni commerciali sono cresciuti di quasi 2 milioni e sono la terza voce di ricavi. E poi c’è lo stadio, i cui ricavi sono in crescita grazie ai lavori eseguiti nell’impianto cittadino. Nel dettaglio, sono state rifatte completamente la tribuna d’onore e la centrale; inoltre sono stati aggiunti i nuovi “sky box”. In tutto i lavoro sono costati 5,6 milioni, così suddivisi: 4,4 milioni a “uso privatistico” e 1,2 di rilevanza pubblica. Questi ultimi sono stati sostenuti al 50% con l’altra squadra che gioca allo stadio “Atleti Azzurri d’Italia), l’Albinoleffe. Gli altro costi sono stati finanziati dal Credito Sportivo. I lavori hanno permesso al club di incamerare 400mila euro in più dal matchday, vista la migliore qualità offerta.

I lavori sono stati sostenuti in attesa del bando, annunciato ormai un anno fa, per la vendita dello stadio da parte del Comune di Bergamo. Percassi ha già dimostrato interesse, per una struttura la cui destinazione naturale sembra proprio la prima squadra della città: l’Albinoleffe, a parte delle buone stagioni in B, non ha la stessa visibilità dei nerazzurri, abituati negli anni a partecipare a diverse stagioni in A e ora in odore d’Europa. E ora per Percassi è arrivato il momento di fare affari davvero, con l’Atalanta. Tenuto bene a galla il bilancio, si deve puntare sul marketing. Se Percassi è abile a fare business con negozi e relativi marchi, lo stadio di proprietà diventa snodo cruciale per aumentare ancora i ricavi del club. Che l’Atalanta punti ad esempio sul marketing è sotto gli occhi di tutti: dopo la chiusura dello store dedicato alla squadra all’aeroporto di Orio, ne è stato aperto uno nuovo in città. E poi ci sono le iniziative come il Christmas Match, la partita di campionato giocata prima della sosta natalizia le cui maglie indossate dai berazzurri in campo vengono poi vendute all’asta.

L’operazione stadio è tra i punti in agenda di Percassi. Si attende la pubblicazione del bando da parte del Comune di Bergamo. La Avalon, società di Milano incaricata di stimare il valore dell’immobile, lo scorso aprile ha emesso il verdetto: ci vogliono 7,5 milioni. Da questi, si dice, verrebbero scontati i soldi già spesi dal club per i lavori del 2015. Un bando che sarebbe quindi tagliato su misura per l’Atalanta, che però dal canto suo dovrà provvedere a mettere mano al portafoglio: vanno rifatte palestra e sala stampa, oltre che aggiunti i negozi. Il nuovo calcio, quello fatto di business, marketing e impianti moderni, passa anche dalla provincia.

 

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