Qual è il lavoro di un centrale difensivo dell’Atalanta? Deve marcare a uomo, certo, ma deve farlo in modo ambizioso. Rompere la linea, spingersi in avanti, impedire agli avversari di girarsi verso la propria porta. Togliergli tempo, spazio e respiro. È un lavoro rischioso, perché basta sbagliare un tempo, perdere un duello individuale, per permettere agli avversari di approfittare di un sistema squilibrato, disordinato dalla spregiudicatezza dei suoi interpreti. Un centrale dell’Atalanta, quindi, con le sue letture coraggiose deve alzare il baricentro, ma con le sue corse profonde deve anche diventare anche un attaccante aggiunto. I centrali difensivi finiscono spesso per contribuire ai meccanismi delle catene laterali, o finiscono persino in area di rigore. Non è semplice dire se si tratti di un lavoro facile o difficile, nel contesto del calcio di alto livello: se da una parte la quantità di duelli individuali e di rischi che bisogna prendersi lo rende un ruolo delicato, dall’altra giocare in un sistema così definito permette ai difensori di giocare con dei compiti semplificati. Non pensare troppo ed esaltarsi negli scontri fisici e nell’intensità.
Per questo non sembrano esserci mezze misure nella riuscita dei difensori con Gasperini. Centrali difensivi all’apparenza anonimi come Palomino o Djimsiti sono diventati affidabilissimi; altri che avevano dimostrato un talento incompiuto, come Toloi e Romero, sono diventati tra i migliori del campionato. Ma ci sono stati anche clamorosi fallimenti, come quello di Simon Kjaer, 6 presenze e mille incomprensioni, spedito al Milan dove è diventato in poco tempo un pilastro dei rossoneri. Il fallimento di Kjaer chiarisce, per esclusione, l’identità di un centrale adatto all’Atalanta. Il danese è un centrale abbastanza statico, che lavora soprattutto attraverso le letture e il posizionamento, ed è parso anacronistico rispetto alle richieste intrepide del sistema di Gasperini. «Analizzare la mia stagione a Bergamo è molto semplice: il mister ha sempre ripetuto che c’era un problema di ordine tattico» ha tagliato corto Kjaer. Romero invece sembrava cucito sul sistema dell’Atalanta per il modo ultra-fisico, quasi intimidatorio, che ha di difendere. Il connubio è andato comunque oltre le aspettative e la sua stagione non è passata inosservata nel campionato più fisico al mondo, la Premier League, dove il Tottenham sta facendo offerte enormi per portarlo a Londra e sostituire Alderweireld.
Matteo Lovato, una scommessa per il futuro
Proprio per sostituire la probabile partenza di Romero, l’Atalanta ha comprato Matteo Lovato, una delle rivelazioni della scorsa stagione, ed è vicina all’acquista di Merih Demiral dalla Juventus.
Il ds Giovanni Sartori ha scelto per un’operazione con un buon equilibrio tra rischio e affidabilità. Lovato è un giovane con appena 25 presenze in Serie A, non tutte da titolare, ma al contempo viene dal contesto tattico più simile a quello dell’Atalanta. Allenato dal più riuscito allievo di Gasperini, Ivan Juric, il Verona è stata l’unica squadra di Serie A che negli ultimi anni ha proposto un sistema di marcature a uomo simile a quello della Dea, anche se meno estremo. La linea difensiva è più bassa, c’è meno volontà di dominio, sia con che senza il pallone, e il sistema di marcature a uomo nella zona è meno rigido. Eppure non c’era habitat tattico migliore per Lovato per addestrarsi al sistema di Gasperini, e la sua scalata è stata rapidissima. A gennaio del 2020 aveva appena 17 presenze in Serie C con il Padova, un anno e mezzo dopo è stato protagonista di un trasferimento da 11 milioni ed è considerato uno dei prospetti difensivi più intriganti in Italia. Come potete immaginare, è un grande lavoratore: «Quando è finito lo scorso campionato ha voluto subito svolgere delle sessioni individuali per prepararsi al meglio», hanno detto di lui.
Dopo qualche mese di ambientamento a Verona ha preso il posto di Marash Kumbulla – con cui aveva condiviso i campi giovanili in Veneto – come centrale di sinistra della difesa a tre di Juric, e non lo ha fatto rimpiangere. In stagione Juric gli ha affidato compiti complicati: contro la Juventus ha giocato a uomo su Kulusevski seguendolo anche in bagno; contro la Lazio è stato il giocatore deputato a contrastare la supremazia aerea di Milinkovic. In generale, ha giocato grandi partite e messo in difficoltà giocatori offensivi di alto livello, con la sua aggressività e la sua intensità mentale. Proprio contro la Lazio, ad esempio, Lovato ha seguito Milinkovic ben oltre la propria metà campo, mettendo in difficoltà sul piano fisico uno dei centrocampisti meno marcabili del nostro campionato. Ha dimostrato un’attenzione notevole nell’accorciare sempre con i tempi giusti, prendendo il contatto fisico senza lasciare che l’avversario lo manipolasse col corpo.
Quando può difendere in avanti, impostando il duello individuale con l’attaccante, mettendo la sfida sul piano del fisico e dei nervi, Lovato è nel suo territorio. Quando deve descriversi, in un’intervista, dice: «Mi reputo un giocatore normale, che punta tutto sulla grinta, sull’accorciare, sul lato fisico. Tecnicamente devo migliorare». Il suo allenatore al Padova lo ha definito «Un guerriero».
Ha numeri notevoli per quanto riguarda i pressing in avanti, con quasi 13 azioni ogni 90 minuti (la media del campionato è di 9, dati Statsbomb). Certo, bisogna dire che a spiccare in questa graduatoria c’è Romero con 17 e rimpiazzare l’argentino non sarà facile. Stiamo parlando di un vero freak fisico per elasticità muscolare e per l’intensità che riesce a raggiungere nella difesa aggressiva. Ma Romero è anche piuttosto rapido quando deve recuperare un avversario che gli è scappato davanti: una situazione non infrequente nel sistema sempre un tantino scomposto dell’Atalanta. Lovato non ha quel tipo di velocità in spazi più ampi, e quando un avversario riesce a girarglisi fatica a recuperarlo. Aspetti su cui paga un corpo pesante e non molto elastico, ma che magari col tempo potrà compensare grazie all’esperienza.
Oggi ha appena ventun anni e la dimensione del gioco su cui ha detto di dover migliorare è quella col pallone, dove però abbina a doti tecniche non eccelse una certa razionalità nell’impostazione. Ha numeri discreti nei passaggi progressivi, quelli che fanno guadagnare campo alla sua squadra. Col Verona non temeva neanche sporadiche corse in avanti classiche del sistema di Juric, e che gli torneranno utili anche a Bergamo. Più preoccupante è il suo gioco aereo, la percentuale di duelli aerei vinta è inferiore al 50%: un altro aspetto vitale nell’Atalanta su cui ha bisogno di migliorare.
Considerati i suoi limiti attuali, e la sua poca esperienza (lo scorso anno solo 14 presenze da titolare), l’acquisto di Lovato sembra più pensato per il futuro, o per le rotazioni di una squadra che tende a cambiare spesso i propri difensori centrali. Per rimpiazzare Romero forse c’è bisogno di un giocatore più pronto (in effetti si parla di Demiral). Eppure, se c’era un giovane su cui investire per il calcio di Gasperini, difficilmente si poteva trovare un profilo più adatto di quello di Matteo Lovato.
Merih Demiral, una scommessa per il presente
Demiral è in un momento completamente diverso della sua carriera. È arrivato alla Juventus nell’estate del 2019 con un hype che aveva portato qualcuno a pensare potesse essere considerato più titolare di Mathis de Ligt. (Per avere un’idea sulle aspettative che lo circondavano, basterebbe leggere i commenti sotto il suo video di presentazione). Era arrivato in un progetto di svecchiamento della retroguardia della Juve, ma anche per aggiungere un difensore fisico e aggressivo che sembrava mancare in rosa. L’impatto iniziale è stato in effetti notevole, ma un grave infortunio al legamento crociato nel ginocchio a gennaio del 2020 – curiosamente, la stessa partita in cui si è rotto il ginocchio Nicolò Zaniolo – ne ha compromesso la stagione.
Anche quest’anno Demiral non è sembrato al meglio. Ha sofferto di diversi problemi muscolari che gli hanno impedito di recuperare una condizione brillante. È stato il giocatore di movimento meno utilizzato della rosa e a buone prestazioni (come contro l’Inter in Coppa Italia o contro la Lazio in campionato) si sono alternati momenti meno convincenti (contro il Porto in Champions League). Diciamo subito che, per un difensore con le sue caratteristiche, avere una condizione fisica eccellente è il prerequisito per esprimersi. Ha un fisico pesante, una certa lentezza sui primi passi, e senza condizione fisica i suoi migliori pregi diventano opachi. Quest’anno è sembrato un difensore più “normale” di come sembrasse prima dell’infortunio: meno esuberante, meno capace di imporre il proprio contesto sugli avversari.
Sulla carta, però, sembra un giocatore nato per giocare nell’Atalanta di Gasperini, nonostante non abbia mai giocato nella difesa a tre – a parte qualche uscita col Sassuolo, ma in una squadra con un’identità completamente diversa. Le uscite in anticipo aggressive, l’esaltazione nel duello fisico, la ricerca del dominio sugli attaccanti avversari. Demiral è uno di quei giocatori capaci di rendere entusiasmante il lavoro difensivo, che trasforma la difesa in un’arte fisica in cui un essere umano non solo vuole togliere la palla a un altro, sembra volerlo mangiare. Le sue compilation sono piene di tackle che fanno gridare i tifosi dal divano di casa.
Inoltre, la sua inclinazione a commettere errori vicino l’area può essere mascherata da un sistema che lo inviterà a difendere il più possibile lontano dalla propria porta. Se per Lovato i dubbi riguardano l’esperienza e i margini di miglioramento, per Demiral si tratta solo di verificare la sua condizione. Tutte caratteristiche che rendono la scommessa dell’Atalanta molto sensata.
Demiral prima dell’infortunio era un centrale difensivo per certi versi ancora più completo di Romero e la formula, con un diritto di riscatto fissato attorno ai 28 milioni, pone pochi rischi. Se l’Atalanta riuscisse a rispolverare il giocatore che avevamo ammirato prima del brutto infortunio sarebbe un’operazione davvero geniale.
fonte ultimouomo.com