06/06/2017 | 04.44
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L'ultima parte della nostra intervista al Mister

(SECONDA PARTE - Prima parte pubblicata lunedi' 5 giugno 2017)

GASPINTERVISTA2

 

(segue)

Ributtiamoci a capofitto nell’Atalanta. E lo facciamo ritornando indietro di molti anni. Gasperini era ancora un ragazzino e forse gli sfugge quel momento (1975, finale di ritorno campionato allievi, Atalanta-Juve)

La Dea è entrata nel suo destino molti anni fa. Si ricorda quando?

“Da ragazzino, avevo sedici o diciassette anni, giocavo nella juventus e abbiamo vinto il campionato allievi, proprio qui allo stadio comunale. Non ricordo bene che anno fosse.”

1975.

“Già. Anche l’anno prima trovammo l’Atalanta in una finale a Chianciano. In quegli anni la juve aveva un settore giovanile forte, ma l’Atalanta te la trovavi sempre fra i piedi. Come adesso, era sempre molto competitiva.
Tornando a quella finale del ’75, me la ricordo benissimo. Lo stadio era pieno. Avevano chiuso le curve, ma le tribune erano pienissime. Tifo incredibile, ed eravamo solo ragazzini, ma i bergamaschi si facevano sentire, eccome. Era la finale di ritorno. A Torino vincemmo due a zero, segnò Schincaglia, che poi è stato anche giocatore dell’Atalanta. Il ritorno finì uno a uno e segnò ancora Schincaglia.
Questa fu la prima volta in cui l’Atalanta entrò nella mia carriera e quello che mi ricordo ancora era la splendida cornice di gente.”


Torniamo a qualche mese fa. Il presidente Percassi le propone di venire a lavorare a Bergamo. Quali certezze e quali dubbi l’hanno investita nel momento che ha appoggiato il ricevitore?


Il volto del mister si fa serio. Si raddrizza sulle spalle e i due solchi a parentesi si stringono leggermente. Si schiarisce la voce, come a prepararsi e a prepararci a cogliere in pieno in concetti della sua risposta.


“Allora, volevo conoscere il signor Percassi, perché in molti me ne avevano parlato bene. Sapevo che c’era nell’aria la possibilità di allenare l’Atalanta, però in quel momento io non ero molto predisposto. Ma mi ha chiamato il presidente e per una questione di educazione mi sembrava giusto andarlo a conoscere.
L’ho incontrato a casa sua. C’erano anche i suoi tre figli maschi. E mi ha convinto. Mi ha convinto lui con la sua visione del calcio e di cosa aveva nei suoi desideri.


In quel momento ho capito che qui potevo lavorare bene. Io avevo voglia di stare fermo un attimo. Le stagioni precedenti erano state molto dure sotto l’aspetto della tensione, anche se ricche di risultati. Due anni fa eravamo entrati in Europa, ma non abbiamo potuto giocarla e questo ha creato delle tensioni. La stagione scorsa è stata travagliata, anche se ho avuto grande riconoscenza da parte della gente. Quindi, mi ero convinto a prendermi un po’ di tempo.


Solamente una situazione veramente particolare mi avrebbe fatto cambiare idea. Una situazione che mi avrebbe fatto trovare l’entusiasmo giusto.


Qui ho capito che c’era la situazione giusta. Ho capito subito che c’erano delle importanti potenzialità, ma forse mancava un po’ di coraggio.


Certo, pensare allora che oggi saremmo stati qui a festeggiare l’Europa era troppo, ma si intuiva la possibilità di ricavare delle soddisfazioni. Mancava solo un po’ di coraggio. Qui rimanevano grandi opportunità nel settore giovanile, ma non avevano il giusto risvolto poi in prima squadra.


Poi Percassi mi disse che il suo sogno era di avere una squadra con in rosa sette o otto ragazzi del settore giovanile, cresciuti qui. Io gli ho detto che se quello era il suo sogno, avremmo fatto in modo di realizzarlo, anche in tempi brevi.


Non pensavo di arrivare in Europa, almeno così velocemente, ma credevo che il sogno del presidente fosse veramente realizzabile.”


Cosa le piace di Bergamo, intesa come città, come gente e come modo di intendere il calcio?


“La città è fatta dalla gente. Mi piace come la gente rappresenti i propri valori, il modo di vivere, il rispetto del proprio territorio, l’operosità. Che alla fine sono anche i miei stessi valori. I valori della gente comune. Della gente per bene.
Così ti inserisci più facilmente in un contesto dove ne condividi i valori ed il modo di vivere.”


E cosa non le piace?


“Non ci sono cose che non mi piacciono. Poi, è andato tutto così bene.
Però c’è qualcosa che non è che non mi piaccia, ma che mi ha un po’ colpito. Forse ci vorrebbe un po’ più di slancio. Di capire che a volte non siamo inferiori di altri. A volte bisogna scrollarsi un po’ e convincersi di potercela fare.”


Gesticola, il mister. Per sottolineare con il gesto delle braccia la sua continua voglia di mettere sempre il piede un passettino più avanti. Senza avere troppa paura.


Il freno a mano un po’ troppo tirato, insomma.


“Esatto. Ci vorrebbe un po’ più di slancio, perché poi alla fine premia.”


Marco, che di carattere non è certo uno che usa spesso il freno a mano, sottolinea la risposta con un applauso, fra una foto e l’altra. Calep, invece, che è molto più riflessivo, non ha mai perso per un attimo le espressioni del mister. Gli sottopone una domanda profonda.

Tra un portiere, un allenatore ed un presidente, chi è la persona più sola?

“Un presidente non può essere una persona sola. Nel nostro caso, il presidente sta facendo una cosa che coinvolge tutta una città. Fa una cosa che gli dà un senso di appartenenza. Non ha bisogno dell’Atalanta per i suoi affari. L’Atalanta fa parte della sua vita. Ha giocato qui, la sente sua e di tutta la città, di tutta la sua terra.
Il portiere, quando fa una papera è solo. Ma di papere ne fa un paio all’anno, poi per il resto è parte integrante di un gruppo.
L’allenatore, dei tre, alla fine è quello più solo.
Solo, perché alla fine, tutte le settimane deve decidere lui. E solo lui.”


E poi lo incalza ancora.


Un proverbio dice che una persona, prima di addormentarsi, ha solitamente due pensieri. Uno è il dubbio sull’immortalità dell’anima e l’altro è il pensiero di cambiare la batteria della macchina. Questo per dimostrare come l’astratto ed il quotidiano materiale riempiano la vita delle persone.
Qual è il pensiero prima di addormentarsi di Giampiero Gasperini?


“Oddio, la batteria della macchina…”


Marco interviene ad attualizzare il proverbio. Magari ricordarsi di ricaricare la batteria del cellulare rende più l’idea.
Ride, il mister. Ride come si fa in un bar con amici. Come si fa tra persone che condividono una certa genuinità di sentimenti e di modo di vivere.
Poi torna serio.


“Non sono un abitudinario, però il mio ultimo pensiero è se ho fatto tutto quello che potevo fare, senza aver tralasciato niente. Sia come uomo che come allenatore.
Se mi accorgo di aver tralasciato qualcosa, quello è il mio ultimo pensiero prima di addormentarmi. Ed il primo al mio risveglio.”


Roma agli americani. Inter ai cinesi. Milan pure. Squadre inglesi agli arabi. Atalanta ai Bergamaschi.


“Fantastico!”


Nel calcio italiano, si tratta di una mosca bianca, di una situazione in via di estinzione o di un punto di partenza?


“Io credo debba essere assolutamente un punto di partenza.
Ma temo sia solo una mosca bianca.
Però, lasciatemelo dire, peggio per gli altri.”


Rodrigo Dìaz

- 2 FINE

 

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By staff
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