Magari è là, al Rio
Mio padre mi ci portava da piccolo, a prendere le anguille, nei tiepidi sabati pomeriggio di fine estate.
C’è un posto, lungo il Rio Ulzama, appena dopo il ponte e la Basilica della Santissima Trinidad de Arre, risalendo il fiume, dove mio padre fingeva di cercare le anguille.
In realtà, si rintanava in quell’angolo per pensare. A cosa, non l’ho mai saputo.
Ci portava anche me, mio padre. Cosicché mia madre non si preoccupasse e ci credesse impegnati a pescare.
Invece stavamo ore in silenzio, accompagnati dal rumore del Rio che struscia fra le rocce.
Da adolescente ci andavo da solo. A pensare alle delusioni dei miei amori improbabili. Da giovane ci andavo per capire dove realmente mi stesse portando la vita. E fu lì che decisi che avrei preso di nascosto la Fiat 124 di mio padre e sarei andato, il 16 agosto dell’88, a vedere l’Atalanta a Lisbona.
Ora, trentadue anni dopo, l’Atalanta sarà di nuovo a Lisbona, per giocarsi i quarti di finale della più importante coppa europea.
Ed io sono tornato sulla riva del Rio Ulzama, risalendo dalla Basilica della Santissima Trinidad de Arre.
Non ci andrò, a Lisbona. Non ci posso andare. Non ci andrà nessun tifoso, a Lisbona.
E non ci andrà nemmeno Ilicic.
La pandemia che ha rivoltato la vita come un calzino. Charo non la vedo da settimane. E quando la vedo c’è sempre una mascherina di mezzo. Il lavoro non lo vedo da mesi. E Ilicic che si è ritratto come una lucertola fra le sue rocce.
Forse sono venuto qui, al Rio, per cercarlo.
Forse Josip è venuto qui. A pensare a chissà che cosa, come faceva mio padre. A capire dove realmente lo stesse portando la vita, come facevo io da ragazzo.
Forse Josip è venuto qui solo a fingere di pescare le anguille.
Era già buio quando me ne sono andato.
La luce storta della luna faceva sembrare la piccola Basilica più grande di quando in realtà lo sia. E anche il ponte di pietra, vecchio come il mondo.
Alla cascina del Tio ci sono arrivato a piedi.
Il cane Ernesto mi è venuto incontro. Speravo di vedere la luce della cucina ancora accesa.
Era lì el Tio. Come se mi aspettasse.
“Perché hai le scarpe bagnate?”
“Sono stato al Rio Ulzama.”
El Tio si voltò per preparare due caffè.
Io andai al frigorifero per prendere la bottiglia di orujo de hierbas dalla ghiacciaia.
“Non ci sarà a Lisbona, Ilicic.”
Gli dissi mentre versavo il liquore.
“E’ la fragilità che fa cari gli eroi. Amavo Ettore, non Achille.”
Mi disse, senza voltarsi.
“Forse non l’ho visto. Magari è là, al Rio, a fingere di pescare le anguille.”
Rodrigo Dìaz
(NDA. La frase sulla fragilità pronunciata dal Tio è in realtà una frase di Secundus riferita ad Ilicic. Ringrazio Secundus non solo per avermela lasciata usare, ma soprattutto per averla creata.)
C’è un posto, lungo il Rio Ulzama, appena dopo il ponte e la Basilica della Santissima Trinidad de Arre, risalendo il fiume, dove mio padre fingeva di cercare le anguille.
In realtà, si rintanava in quell’angolo per pensare. A cosa, non l’ho mai saputo.
Ci portava anche me, mio padre. Cosicché mia madre non si preoccupasse e ci credesse impegnati a pescare.
Invece stavamo ore in silenzio, accompagnati dal rumore del Rio che struscia fra le rocce.
Da adolescente ci andavo da solo. A pensare alle delusioni dei miei amori improbabili. Da giovane ci andavo per capire dove realmente mi stesse portando la vita. E fu lì che decisi che avrei preso di nascosto la Fiat 124 di mio padre e sarei andato, il 16 agosto dell’88, a vedere l’Atalanta a Lisbona.
Ora, trentadue anni dopo, l’Atalanta sarà di nuovo a Lisbona, per giocarsi i quarti di finale della più importante coppa europea.
Ed io sono tornato sulla riva del Rio Ulzama, risalendo dalla Basilica della Santissima Trinidad de Arre.
Non ci andrò, a Lisbona. Non ci posso andare. Non ci andrà nessun tifoso, a Lisbona.
E non ci andrà nemmeno Ilicic.
La pandemia che ha rivoltato la vita come un calzino. Charo non la vedo da settimane. E quando la vedo c’è sempre una mascherina di mezzo. Il lavoro non lo vedo da mesi. E Ilicic che si è ritratto come una lucertola fra le sue rocce.
Forse sono venuto qui, al Rio, per cercarlo.
Forse Josip è venuto qui. A pensare a chissà che cosa, come faceva mio padre. A capire dove realmente lo stesse portando la vita, come facevo io da ragazzo.
Forse Josip è venuto qui solo a fingere di pescare le anguille.
Era già buio quando me ne sono andato.
La luce storta della luna faceva sembrare la piccola Basilica più grande di quando in realtà lo sia. E anche il ponte di pietra, vecchio come il mondo.
Alla cascina del Tio ci sono arrivato a piedi.
Il cane Ernesto mi è venuto incontro. Speravo di vedere la luce della cucina ancora accesa.
Era lì el Tio. Come se mi aspettasse.
“Perché hai le scarpe bagnate?”
“Sono stato al Rio Ulzama.”
El Tio si voltò per preparare due caffè.
Io andai al frigorifero per prendere la bottiglia di orujo de hierbas dalla ghiacciaia.
“Non ci sarà a Lisbona, Ilicic.”
Gli dissi mentre versavo il liquore.
“E’ la fragilità che fa cari gli eroi. Amavo Ettore, non Achille.”
Mi disse, senza voltarsi.
“Forse non l’ho visto. Magari è là, al Rio, a fingere di pescare le anguille.”
Rodrigo Dìaz
(NDA. La frase sulla fragilità pronunciata dal Tio è in realtà una frase di Secundus riferita ad Ilicic. Ringrazio Secundus non solo per avermela lasciata usare, ma soprattutto per averla creata.)
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