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Magari un po' ci assomiglia - by Rodrigo Diaz

A volte, la vita è onesta. A volte, di fronte ad un caffè, ti restituisce brandelli di quelli che in gioventù furono dei sogni. Magari delle illusioni. Forse solo dei semplici desideri. Ed è così che, proprio di fronte ad un caffè, l’incontro fra chi vi scrive e colui che è il soggetto dello scritto è veramente avvenuto. Proprio come un piccolo reso della vita.

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Me lo aveva fatto notare Alvaro.

“Ma quello lì, non ti sembra un po’ El Tio?”

Alvaro è un amico di Villava. Suo padre e il mio frequentavano la stessa osteria in centro. Suo padre, come faceva il mio con me, a volte lo portava giù al campo a vedere le partite della nostra squadra.

Fu lì che lo conobbi. Io accompagnavo il mio vecchio ed ero entusiasmato da quel suo amico difensore. Quell’uomo che sarebbe poi diventato il mio porto sicuro. Il mio rifugio dell’anima.

Ormai quasi adulti, Alvaro aveva conosciuto sulle spiagge di Lloret de Mar una ragazza di Milano. Desiderava andarla a trovare, ma non se la sentiva di fare il viaggio da solo.

Accettai di fargli compagnia solo al patto che il mercoledì fossimo andati a Bergamo a vedere la mia Atalanta. Ottavi di finale di Coppa Italia contro la Juve.

“E’ vero, un po’ gli assomiglia.”

Dissi, non molto convinto.

Però, quando vidi quel numero 5, lo stesso sulla schiena del Tio, aggrapparsi alla maglia del centravanti bianconero, quando lo vidi far uscire le scintille dai tacchetti nei contrasti, mi parve veramente di vedere El Tio sul campo spelacchiato appena fuori dal paese. E le maniche rivoltate all’insù anche d’inverno, proprio come lui.

Io ho sempre amato quel calcio fatto di sfide. Di battaglie. Quel calcio dove la palla, per arrivare dentro la rete avversaria, doveva passare fra scontri all’arma bianca, fra strattonate e scivolate. Quel calcio dove la sciabola sfidava il fioretto e dove il gol era la somma di mille battaglie.

Ed era per quello che amavo più i difensori degli attaccanti. Amavo più i gladiatori dei giocolieri. Amavo più El Tio che il puntero goleador della squadra del paese.

Così, speravo che un giorno la sorte mi potesse far incontrare uno di questi gladiatori.

A volte la vita è onesta. Senza effetti speciali, senza estrarre conigli dal cappello, ti rende pezzetti di quei sogni di gioventù.

Non importa per quali ragioni ci siamo incontrati, importa solo che davanti a quel caffè eravamo seduti entrambi.

Mentre mi veniva incontro, l’incedere era ancora quello che ricordavo dentro i campi da calcio. Seppur appesantito dagli anni, il passo con le gambe leggermente arcuate era quello che incuteva timore agli attaccanti.

La smorfia sotto la berretta di lana era quella che vedevo quando lo inquadravano l’uscita dal tunnel dei nostri campioni.

A volte, la vita è onesta.

Mi ha restituito un pezzo di un sogno. Ripulito dalla magia di quello che era da ragazzo, lasciandomi lo spessore di quello che in realtà è.

Così, davanti a quel caffè abbiamo parlato. Di cose nostre e di passato. Di visioni di gioventù e di realtà che è.

E alla fine, la distanza che c’è fra un tifoso e i suoi eroi non è poi così grande. Almeno, fra i tifosi e gli eroi della mia generazione. Quella generazione delle maniche rivoltate in su anche d’inverno. Dei calzettoni abbassati e delle maglie tirate. Delle scivolate e degli strattoni. Della palla o caviglia, tanto è lo stesso.

Non so se assomiglia al Tio. Però, parlargli assieme è piacevole uguale. E poi, quella berretta che non molla mai.

 

 

Rodrigo Dìaz

By staff
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